Anno | 2023 |
Genere | Docu-fiction, |
Produzione | Francia, Belgio |
Durata | 95 minuti |
Regia di | Mona Achache |
Attori | Marion Cotillard, Marie Bunel, Didier Flamand, Pierre Aussedat, Mona Achache Tella Kpomahou, Guy Donald Koukissa. |
Distribuzione | Movies Inspired |
MYmonetro | Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione. |
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Ultimo aggiornamento martedì 26 marzo 2024
La regista racconta la storia di sua madre, e del suo suicidio, attraverso l'interpretazione di una regista. Il film ha ottenuto 3 candidature a Cesar, 1 candidatura a Lumiere Awards,
CONSIGLIATO SÌ
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Mona Achache continua a esplorare personaggi femminili e questa volta sceglie una storia molto personale per provare a comprendere meglio le ragioni di un suicidio che le ha sconvolto la vita. Alla morte di sua madre, la scrittrice francese e fotografa di scena Carole Achache, la regista scopre 125 scatole di foto, lettere, registrazioni, quaderni, segreti sepolti che custodiscono l'enigma della sua scomparsa. Mona raccoglie tutti quei frammenti sparsi per cominciare a figurarsi una carta spazio-temporale in cui iscriverli. Puzzle di una mappa esistenziale che come un agente federale dispone in ordine sul muro. Ma tutte quelle parole, tutti quei pensieri 'appesi' sembrano resistere, resisterle. Decide allora di resuscitarli con le risorse del cinema e l'esercizio dell'incarnazione.
Per interpretare le parole e i gesti della madre, per riprodurre questa storia intima che si vuole collettiva, la vita di una donna per racconta quella di molte altre, Mona Achache convoca Marion Cotillard e in secondo grado quello 'spettro di possessione' che fu pure La vie en rose.
L'attrice interpretava Édith Piaf, era 'abitata' dalla cantante. Il documentario familiare incontra allora il biopic mimetico e trasformista che ha reso celebre l'attrice, toujours la Môme: le sopracciglia come fili, una corona di capelli rasati intorno alla fronte, la voce rauca. L'incarnazione, sotterranea e sulla superficie, è stupefacente. Adesso guardiamo quel processo di composizione mimetica svolgersi sullo schermo. Ascoltiamo la più americana delle star francesi cercare la voce di Carole Achache e trovarla progressivamente. Nei panni (letteralmente) della scrittrice, la regista consegna all'attrice abiti e accessori appartenuti al genitore, Marion Cotillard risveglia i morti. Il lavoro di incarnazione opera e la storia può cominciare. Una storia di nomi celebri, di amici intimi (Jean Genet e William Faulkner), di amanti e di donne impressionanti ma maledette che si passano il dolore come un'eredità, l'abuso sessuale subito da ogni generazione come una sorta di iniziazione inevitabile e (mostruosamente) tollerabile. Perché prima della madre, c'era la nonna, Monique Lange, romanziera, editrice, sceneggiatrice e grande figura dei salotti letterari parigini del dopoguerra, amica di Albert Camus e Marguerite Duras e moglie del poeta spagnolo Juan Goytisolo. E come Carole, che aveva consacrato un libro a sua madre ("Fille de"), Mona deve passare attraverso la sindrome di "figlia di".
Aggrappata a una regia cerimoniosa, sceglie per sé il doppio ruolo di figlia e di regista e si installa nella sua docu-fiction, che dietro il gioco di apparenze, mediatiche e culturali, filtra il reale. Qualche cosa di difficile e penoso da nominare. Sullo schermo intanto esplode il Maggio '68, compatibile con la rivoluzione interiore di una madre avventuriera e al verde a New York, con una vita di trasgressione e di eccessi, dove la droga e il sesso diventano corsie preferenziali per la liberazione. Tutto è permesso in questo dispositivo che può respingere lo spettatore più cinico e che sembra legittimamente concepito per 'guarire' la sua autrice. Piccolo teatro sperimentale, allestito nell'appartamento di Carole Achache, Little Girl Blue è un viaggio negli abissi depressivi di una donna, un set dolente in cui muove i suoi passi Marion Cotillard, il proposito più interessante di questo singolare svolgimento narrativo e visivo che vorrebbe annullare l'attrice e vedere solo il personaggio. Rubando il titolo alla canzone di Janis Joplin, che canta una "piccola ragazza triste", il film di Mona Achache stringe una relazione incandescente con le storie (scottanti) che racconta, rivela e cerca invano di domare. La gestione è tutt'altro che semplice, nel processo qualcosa (s)fugge per sempre ma qualcos'altro indugia, vibra e risuona.