La storia di Eugenie, stimata cuoca, e di Dodin, il raffinato gourmet con cui ha lavorato per 20 anni. Un film distante anni luce dalla logica dei moderni cooking game. In concorso a Cannes e prossimamente al cinema.
di Giancarlo Zappoli
Sul finire del XIX secolo in Francia Eugenie, cuoca sopraffina, e Dodin-Bouffant, famoso gastronomo, lavorano fianco a fianco da vent’anni. Il loro è un rapporto di reciproca fiducia che progressivamente si è trasformato in una relazione sentimentale. Eugenie però si ritrae dinanzi all’idea che si consolidi in un matrimonio. Lui però non ha intenzione di arrendersi e si muove, per ottenere il risultato desiderato, sul terreno che li accomuna: la cucina.
Il rapporto tra cinema e cibo è ormai di lunga data ma un film come quello diretto da Tran Anh Hung segna decisamente una svolta in quello che è diventato quasi un sottogenere. Fin dalle prime inquadrature, e per l’intera durata del film, vegetali, carni e tutto ciò che contribuisce alla riuscita di un piatto (ivi compreso un profluvio di pentole in rame) sono al centro dell’inquadratura e vengono portati sullo schermo grazie ad uno sguardo che è al contempo tecnicamente attento e sensorialmente partecipe.
Su questo pentagramma sensoriale si sviluppano le note di un autunno della vita che vede due persone (una delle due preferisce l’estate mentre l’altra finisce con l’amarle tutte) comunicarsi sentimenti attraverso l’attenzione che mettono nella preparazione dei piatti.