Dalla celeberrima sequenza disegnata da Salvador Dalì per Io ti salverò di Hitchcock, al sogno sognato dal vecchio professor Isak Borg ne Il posto delle fragole di Bergman. Fino a Christopher Nolan e a Michel Gondry.
di Giovanni Bogani
Nicolas Cage si aggira con sguardo acquoso nei sogni degli altri. Uomo senza qualità, imbarazzante, meschino come quasi tutti noi: colpevolizzato senza avere colpe. Prima virale, poi emarginato, sconfitto, solo senza appelli. Un Cristo sbagliato, con una breve popolarità e un lungo calvario. Dream Scenario parla di sogni, ma racconta anche la parabola di un uomo di sessant’anni, incapace di amare e di essere amato. Il sogno come metafora di come siamo visti dagli altri, a prescindere da noi.
Dream Scenario è un film di sogni, un film sui sogni. Ma è il cinema tutto, a ben guardare, a essere intriso di sogni. Il cinema è, esso stesso, un grande sogno che l’uomo fa. Il cinema è sogno, o i sogni aiutano a filmare meglio? Regaliamo l’interrogativo a Gigi Marzullo. Ma forse non è un caso che il cinema nasca praticamente insieme alla psicanalisi. Nel 1895, una notte di luglio, Sigmund Freud per la prima volta analizzava compiutamente un suo sogno. A Parigi, tre giorni dopo Natale, i fratelli Lumière si preparavano ad mostrare al pubblico, per la prima volta, quella che loro padre, Antoine, chiamò “un’invenzione senza futuro”.
Da quel 28 dicembre 1895 il cinema non ha più smesso di mettere in scena sogni. A pensarci bene, ogni film è la messa in scena del sogno dei suoi autori. Ogni film parte da un sogno.
Ma limitiamoci a passeggiare, qua e là, fra le sequenze oniriche dei film. Da quelle celeberrime, come quella disegnata da Salvador Dalì per Io ti salverò di Alfred Hitchcock, al sogno sognato dal vecchio professor Isak Borg ne Il posto delle fragole di Ingmar Bergman. Fino a Christopher Nolan e a Michel Gondry. E mettiamoci anche Un chien andalou di Luis Buñuel, Dreams Than Money Can Buy di Hans Richer – che coinvolse un sacco di altri artisti delle avanguardie del Novecento – o La coquille et le clergyman di Germaine Dulac, e L’étoile de mer di Man Ray. Cominciamo il viaggio, inoltriamoci nei sogni – e negli incubi – del cinema, sicuri che ne lasceremo molti per strada.
INCEPTION, di Christopher Nolan, 2010
È “il” film sul sogno dei nostri anni. Con Leonardo DiCaprio, Tom Hardy, Ken Watanabe, Elliot Page, Marion Cotillard e Cillian Murphy, film vincitore di 4 Oscar. DiCaprio, come Nicolas Cage in Dream Scenario, è in grado di inserirsi nei sogni altrui: ma lo fa per prelevare i segreti nascosti nel subconscio delle persone. Un ladro di inconscio.
L’idea è in tutto e per tutto freudiana: nel nostro inconscio si nascondono i nostri segreti. Le scenografie del film ci confondono, come in una litografia di Maurits Cornelius Escher. Nolan, da sempre affascinato dai sogni – aveva immaginato questa storia prima di Memento – immagina che nei sogni il tempo viaggi dilatandosi e restringendosi: un minuto di vita reale può diventare giorni e giorni, nel tempo del sogno. E più in profondità andiamo nei livelli onirici, più il tempo rallenta. Il centro dell’inconscio è il centro del tempo. Nel cuore profondo del nostro animo il tempo si ferma.
OTTO E MEZZO, Federico Fellini, 1963
Otto e mezzo, premiato con l’Oscar per il miglior film straniero, è considerato il capolavoro di Fellini. Marcello Mastroianni interpreta Guido, regista quarantenne, alter ego di Fellini. Stanco, in crisi di ispirazione, Guido trova rifugio nel sogno: finisce nelle storie del cinema il grande girotondo finale, con tutti i personaggi che si tengono per mano. Tutti tranne uno: Claudia Cardinale, già tornata a Roma, per girare Il Gattopardo con il collega e rivale Luchino Visconti.
L’ARTE DEL SOGNO, Michel Gondry, 2006
Ne L’arte del sogno – in originale La science des rêves, la scienza dei sogni – Gael Garcia Bernal interpreta un ragazzo che confonde realtà e sogno, che in lui si intrecciano incontrollatamente, per un difetto percettivo di cui il giovane è affetto. Garcia Bernal nella vita è disastroso, fa sempre la cosa sbagliata: nel sogno tutto si riorganizza alla perfezione sui suoi desideri. Vibrante e visionario, ci induce a pensare che lo schermo sia la proiezione della nostra mente, dei nostri pensieri.
BRAZIL, di Terry Gilliam, 1985
Ispirato al “Processo" di Franz Kafka, Brazil immagina che in una metropoli del futuro oppressa dalla dittatura un funzionario ministeriale abbia frequenti sogni a occhi aperti, nei quali si vede salvare una misteriosa fanciulla. Un giorno riceve l’incarico di correggere un errore di stampa in un mandato di arresto: un errore causato da un insetto incastrato in una stampante. Ma l’errore ha già fatto il suo corso, e provocato la morte di un cittadino quasi omonimo del ricercato. Il film doveva chiamarsi 1984 ½, con un doppio omaggio, a George Orwell e a Fellini. Jonathan Pryce e Robert De Niro i protagonisti.
MULHOLLAND DRIVE, di David Lynch, 2001
David Lynch è l’ultimo dei Surrealisti. Nei suoi film, tutti, realtà e sogno si fondono e si confondono. Tra le sue opere più oniriche, Mulholland Drive, interpretato da Naomi Watts, Laura Harring e Justin Theroux. Dopo un incidente automobilistico avvenuto sulla Mulholland Drive di Hollywood, Rita perde la memoria. Betty, un’attrice appena arrivata dall’Australia in cerca di gloria, cerca di aiutarla a ritrovare memoria e identità. Seguono caos, delirio, storie che si intrecciano in un plot che impasta insieme sogno e realtà, senza che si riescano a capire i confini dell’uno e dell’altra. Un thriller vestito da rebus, una storia d’amore, realtà, fantasia, genio. Lynch.
BIG FISH – LE STORIE DI UNA VITA INCREDIBILE, di Tim Burton, 2003
Con Ewan McGregor e Albert Finney. Alla festa di nozze di Will Bloom, il padre Edward racconta una storia. Sostiene di aver catturato un enorme pesce gatto, usando la sua fede nuziale come esca. Il figlio ha ascoltato questo tipo di storie tutta la vita: non ne può più, litiga col padre, interrompe i rapporti con lui. Anni dopo va a trovarlo, malato di cancro. Il padre continua a raccontare storie improbabili a Will e a sua moglie: sostiene di essere stato un famoso sportivo, di aver scoperto una città segreta dove tutti passeggiano senza scarpe, di essere stato attaccato da un lupo mannaro, di aver piantato milioni di asfodeli per corteggiare una ragazza. Will scoprirà che non tutto è invenzione del vecchio: capirà l’amore del padre per le storie, per trasfigurare in modo “memorabile” la realtà. Capirà che inventare è un atto di amore.
LO SPECCHIO, di Andrej Tarkovskij, 1975
Uno dei film più belli di Andrej Tarkovskij, e forse di tutta la storia del cinema. Il protagonista Aleksej, alter ego di Tarkovskij, ormai in fin di vita, delinea un bilancio della propria esistenza attraverso due racconti paralleli, due vicende del proprio passato. Una riguarda il suo legame con la madre quando era bambino: l’altra riguarda la separazione con la moglie e il figlio. Il film è un mosaico di frammenti, con continui rimandi del passato nel presente e viceversa, in un percorso della memoria intervalato dalle poesie di Arsenij Tarkovskij, il padre del regista.
IL POSTO DELLE FRAGOLE, di Ingmar Bergman, 1957
L’anziano professore Isak Borg, interpretato dal regista Victor Sjöstrom – monumento della storia del cinema svedese, che scomparirà l’anno successivo – deve ricevere un prestigioso premio accademico e si prepara a intraprendere il viaggio per ritirarlo. L’uomo è tormentato da vividi incubi, che lo costringono a confrontarsi con il suo passato e le sue scelte. Il posto delle fragole si svolge in una sola giornata, dalla mattina alla sera: forse è l’ultimo giorno della vita del protagonista. La giornata si apre con un incubo, il professore vede il suo funerale: in una città deserta, tra orologi senza lancette, carrozze funebri che si rovesciano, una bara che si apre e un se stesso spettrale che cerca di afferrarlo per trascinarlo negli inferi. Segue il ricordo onirico di un vecchio tradimento subito, ad opera della moglie. Ingmar Bergman scrive il film durante una lunga degenza in ospedale, componendo un ritratto autobiografico ispirato alla rigida figura paterna.
NIGHTMARE – DAL PROFONDO DELLA NOTTE, di Wes Craven, 1984
Un grande classico degli anni ’80. Il film Nightmare con Freddy Kruger ha spianato la strada agli horror onirici. Il cattivo con la maglietta a righe e il guanto dalle lame affilate è diventato un cult. Il film ha avuto, ad oggi, sei sequel e un reboot. Un gruppo di liceali comincia a fare strani incubi, in cui i sognatori vengono perseguitati dal misterioso Freddy Kruger. I sogni si dimostrano fin troppo reali, con il crudele assalitore che inizia a uccidere i ragazzi nella realtà. Freddy Kruger diventa un’icona horror, e il suo interprete – Robert Englund – rimarrà per sempre legato a quel ruolo.
IL GABINETTO DEL DOTTOR CALIGARI, di Robert Wiene, 1920
Con questo film nasce l’Espressionismo cinematografico tedesco. Per raccontare i sogni, gli incubi, i deliri di un personaggio il regista, Robert Wiene, usa scenografie sghembe, deformi, con forme zigzaganti e ombre nerissime dipinte direttamente sui fondali.
Cesare, il protagonista, è un sonnambulo tenuto sotto ipnosi in una cassa da morto. L’uomo che lo tiene così segregato è un losco figuro, chiamato Caligari. L’uomo va nelle fiere di paese per presentare il sonnambulo, che sostiene sia in grado di predire il futuro. Ma con l’arrivo del dottor Caligari in paese cominciano ad avvenire morti sospette. Il dottor Caligari è in realtà il direttore di un manicomio, che stava approfittando di un sonnambulo per istigarlo a compiere omicidi. Ma forse, tutto il racconto non è che il frutto della fantasia di uno degli ospiti del manicomio…
La scenografia, irreale e inconsueta, contribuisce alla natura inquietante del film. “Evoca la fisionomia latente di una piccola città medievale dai vicoli tortuosi e oscuri, con porte cuneiformi dalle ombre pesanti e finestre oblique”, scrive Lotte Eisner, la maggiore esegeta dell’espressionismo cinematografico.
IO TI SALVERO’, di Alfred Hitchcock, 1945
Il noir psicanalitico di Hitchcock, con Gregory Peck e Ingrid Bergman, è forse il primo film che cerchi di portare la psicanalisi nel cinema hollywoodiano. È ricordato, fra le altre cose, per la sequenza del sogno, una delle più affascinanti della storia del cinema. Per realizzarla, Hitchcock interpellò Salvador Dalì, che creò una serie di suggestioni oniriche di grande effetto.
LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE, di Alfred Hitchcock, 1958
A causa delle sue vertigini, l’agente Ferguson è a riposo, per non aver saputo impedire l’incidente mortale di un collega. Un amico gli chiede di sorvegliare sa moglie, che ha manie suicide. Di fronte a Ferguson, paralizzato dalle vertigini, la donna si uccide gettandosi da un campanile. Almeno così crede l’uomo. Che poco dopo incontra una misteriosa donna, in tutto e per tutto simile alla bellissima donna che si era gettata dal campanile… Anche qui, come in Io ti salverò, c’è una sequenza onirica: un incubo di Ferguson, risolto tecnicamente con una serie di animazioni e con immagini in live action virate su colori accentuati, per finire con l’animazione di una sagoma che cade. Ma è tutto il film, nella sua interezza, ad essere sospeso nell’incertezza, a rendere lo spettatore insicuro di ciò che vede.
I SOGNI SEGRETI DI WALTER MITTY, di Ben Stiller, 2013
Un uomo qualunque con una vita qualunque: Ben Stiller è Walter, impiegato nell’archivio della rivista “Life”. Tanto è avventuroso lo spirito della rivista, quanto è banale e ripetitiva la vita di Walter. Che però è un grande sognatore: passa la maggior parte della giornata a immaginarsi in situazioni fantastiche, a vivere avventure oniriche, nelle quali visita luoghi lontani e dà prova di straordinario eroismo, volto quasi sempre a conquistare una donna, che in realtà è la sua collega di lavoro, con cui non riesce mai a parlare. Un giorno, però, per recuperare un negativo necessario per un numero speciale della rivista, Walter parte per la Groenlandia, alla ricerca del fotografo. Da quel momento, tutti i suoi sogni iniziano a diventare realtà: l’uomo senza qualità, assolutamente ordinario, diventa protagonista di una vita avventurosa. Un uomo che osservava diviene un uomo che vive avventure che aveva soltanto sognato.
L’ANNO SCORSO A MARIENBAD, di Alain Resnais, 1960
L'anno scorso a Marienbad è uno dei film più affascinanti, più misteriosi della storia del cinema. Due persone si incontrano in una splendida villa: una delle due dice che si sono già conosciuti, in quello stesso luogo, l’anno precedente. L’altra nega. Il tempo si congela, il luogo che li ospita, elegante e surreale, potrebbe essere un hotel, una villa, un manicomio. La macchina da presa attraversa, con movimenti lenti e ripetitivi, un labirinto di corridoi, specchi, stucchi, saloni. Una splendida trappola nella quale lo spettatore cade, sgomento e insieme felice.
EYES WIDE SHUT, di Stanley Kubrick, 1999
È l’ultimo capolavoro di Kubrick, uscito postumo nel 1999, a quattro mesi dalla sua scomparsa. Kubrick aveva fatto in tempo a finire le riprese e a mettere mano a una prima versione del montaggio. Tratto dal romanzo breve di Arthur Schnitlzer “Doppio sogno”, si addentra negli abissi della vita matrimoniale di una coppia – interpretata da due attori che erano all’epoca insieme anche nella vita, Tom Cruise e Nicole Kidman. Nel corso di una notte onirica e surreale, l’uomo entra in crisi quando la moglie gli racconta i suoi sogni di tradimento. Inizia il suo viaggio nell’abisso di una notte punteggiata da inspiegabili avvenimenti, nel corso della quale parteciperà ad una inquietante festa in maschera.
SOGNI, di Akira Kurosawa, 1990
Otto racconti onirici, nati dall’immaginazione del grande regista giapponese. Kurosawa affermava di essersi ispirato ad alcuni suoi sogni ricorrenti. Qualche cosa di assolutamente nuovo per Kurosawa: una collezione di brevi frammenti dal tono fiabesco. Da un sogno all’altro, si succedono i sogni dell’Io/bambino, dell’Io/adolescente, del protagonista divenuto adulto: i ricordi della Seconda guerra mondiale, l’esperienza di entrare letteralmente dentro i quadri di Vincent Van Gogh – a interpretare il pittore, Martin Scorsese – uno scenario apocalittico dopo una catastrofe che si abbatte sul Giappone. Una rievocazione in chiave metaforica della vita di Kurosawa dall’infanzia fino alla morte.
FINO ALLA FINE DEL MONDO, di Wim Wenders, 1991
Non se ne parla spesso, ma il film più ambizioso e più sfortunato di Wenders, Fino alla fine del mondo, ruota tutto attorno ai sogni. I protagonisti, nel loro viaggio in sedici paesi e quattro continenti, cercano di arrivare al possesso di una macchina capace di “registrare” gli impulsi cerebrali e in particolare i sogni. Insomma, una macchina capace di filmare i sogni, e renderli visibili anche agli altri. Nella seconda parte del film, girate nel deserto australiano, questa macchina “per vedere i sogni” diventa quasi una droga per i protagonisti. Wenders, per restituire sullo schermo l’idea di questi sogni “catturati”, rielabora immagini sfocandole, solarizzandole, rallentandole, manipolandole fino a diciotto passaggi successivi, grazie all’aiuto dei laboratori Sony. Gli inserti relativi a queste immagini oniriche sono impressionanti.
Wenders ha parlato spesso di sogni nei suoi film: sia in Alice nelle città che in Falso movimento i personaggi raccontano i propri sogni, mentre è in Nel corso del tempo che Hanss Zischler e Rüdiger Vogler parlano dei propri sogni, e quest’ultimo conclude con la frase “Gli americani ci hanno colonizzato il subconscio”.
SE MI LASCI TI CANCELLO, di Michel Gondry, 2004
Quando la relazione fra Joel e Clementine – Jim Carrey e Kate Winslet – finisce, lei ricorre a un’operazione per farsi cancellare dalla mente ogni ricordo relativo alla loro storia. Joel prova a sottoporsi allo stesso trattamento, ma mentre i ricordi iniziano a scomparire, si rende conto di non volerli cancellare. Nel film Se mi lasci ti cancello siamo continuamente trasportati da una parte all’altra dei ricordi di entrambi, in una confusione totalmente destabilizzante, e totalmente affascinante per lo spettatore. Un film sull’amore, sui ricordi, sulla compresenza – per ognuno di noi – di immaginazione e realtà.