Il regista sa come sfiorare il melodramma conservando una dignità estetica e narrativa. In anteprima al Bif&st.
di Giancarlo Zappoli
Danimarca secondo decennio del secolo scorso. Anton invita a ballare ad una festa la figlia di un nobile, Edith, non sapendo che ha una disabilità ad entrambi gli arti inferiori. Dopo un momento di crisi la ragazza si innamora di chi l'ha trattata da pari. Anton ricambia con ritrosia non avendo ben chiaro se il sentimento che prova sia amore o pietà.
Bille August si ispira al primo romanzo scritto da Stefan Zweig nel 1939 uscito in Italia con il titolo "L'impazienza del cuore". Lo fa con la competenza che gli è riconosciuta anche dai detrattori nel portare sullo schermo vicende che sfiorano (e talvolta incontrano) il melodramma conservando però una dignità estetica e narrativa che le rende distinguibili da altre opere di genere. Sa come mostrarci il tormento interiore di Anton, diviso tra il sentimento contraddittorio che prova nei confronti di Edith e la spinta ad aderire al conformismo, anche psicologicamente invalidante, dei pari grado nei confronti della 'zoppa'. Ma sa anche guardare sull'altro versante mostrandoci una Edith che si aggrappa a quello che, più che 'sentire ', vuole e poi pretende che sia amore. Tutto ciò ovviamente, ma anche necessariamente, con i toni del dramma sentimentale che ha i suoi estimatori così come i suoi detrattori.