L’indeterminatezza e lo sbilanciamento tra parti ermetiche e didascaliche rende il film di Garland generico e ai limiti dello scontato, nella sua analisi psicologica su un tema già abbondantemente visitato in questi anni. Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs del 75esimo Festival di Cannes e prossimamente al cinema.
di Emanuele Sacchi
Dopo la provocazione sulle intelligenze artificiali sexy di Ex Machina e l’enigmatica fantascienza di Annientamento, Garland adatta una tecnica di suspense ormai collaudata anche alla vicenda di Men.
Gli effetti visivi e la fotografia insistono sull’uso di colori accesi – in particolare il verde squillante delle colline Cotswolds – per aumentare l’atmosfera di inquietante irrealtà delle situazioni in cui si trova Harper, ovvero una successione di spaventosi avvenimenti che corrispondono ad altrettanti simbolismi, per nascondere traumi subiti e le conseguenze degli stessi.
Nonostante le prove attoriali di Kinnear - plurimo e capace di attraversare registri molto differenti, di far ridere e di terrorizzare - il meccanismo di Garland mette in luce, tuttavia, inattese fragilità e lo sbilanciamento tra parti ermetiche e didascaliche rendono Men generico e ai limiti dello scontato, nella sua analisi psicologica su un tema già abbondantemente visitato in questi anni.