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Astolfo, un cinema a misura d’uomo che respira il tuo stesso respiro

Quello di Gianni Di Gregorio è un cinema di understatement che non dimentica l’indignazione, il senso dell’ingiustizia, persino la rabbia. Ma lo fa con uno stile tutto suo, che vien voglia di definire con una parola desueta: gentile. Dal 20 ottobre al cinema.
di Giovanni Bogani

Gianni Di Gregorio (75 anni) 19 febbraio 1949, Roma (Italia) - Acquario. Interpreta Astolfo nel film di Gianni Di Gregorio Astolfo.
giovedì 20 ottobre 2022 - Focus

Che bello, il cinema a misura d’uomo di Gianni Di Gregorio. Un cinema che respira il tuo stesso respiro, che si muove con i ritmi, con i pensieri che hai anche tu. Un cinema dimesso, sottovoce, in punta di piedi. Un cinema di understatement: ma questa parola a Di Gregorio non piacerebbe molto. Troppo pomposa. Questo è un cinema di pasta e fagioli, di bicchieri di vino bianco, di penne al sugo, di film visti a casa, film vecchi di sessant’anni, che ancora toccano qualche corda del cuore. È un cinema che non dimentica l’indignazione, il senso dell’ingiustizia, persino la rabbia. Ma lo fa con un cinema che vien voglia di definire con una parola desueta: gentile.

In Astolfo, con la sua voce gentile e col suo sorriso mite, Gianni Di Gregorio costruisce addosso al suo corpo di settantenne una storia che potrebbe essere tragica, alla Umberto D: la storia di un pensionato cacciato dalla casa in cui vive, costretto ad andarsene da Roma. Ma è una storia che invece finisce con l’assomigliare a Pane, amore e fantasia, che non a caso viene citato nel film: con Di Gregorio e la Sandrelli che si ritrovano a guardarlo insieme, sullo schermo di un televisorino piccolo, che a vederlo fa quasi tenerezza.

Un uomo di mezz’età che finisce in un paesello, come il maresciallo Vittorio De Sica in quel film del ’53. Ed è, in fondo, lo stesso microcosmo, il mondo a misura di paese. Un mondo che tante commedie, dopo, hanno saccheggiato, hanno ridotto a caricatura.

Qui, la caricatura non la senti. Senti qualcosa di vero. Certo che tutta la storia è una favola, ma è una favola con la grana del reale. La verità della recitazione: quella sorprendente di Alberto Testone – era il protagonista del film di Konchalovskiy Il furore di Michelangelo: qui, Testone è uno squatter garbato, che dice “Saranno sette, ott’anni che sto qua: ma me so’ messo sul divano, il letto tuo non l’ho toccato…”.

Otto anni a dormire sul divano. Vivere, negli interstizi lasciati liberi. In fondo è quello che fanno tutti i personaggi del film. Primo fra tutti, il professore, Gianni Di Gregorio, che torna nella sua casa di famiglia, ma non gli viene in mente di provare a sfrattare l’inquilino abusivo. Anzi, ne diviene amico.

Astolfo, l’avo, quello che campeggia in un dipinto a olio, l’unico non saccheggiato, era un guerriero, capace di conquistare una fortezza “con soli quaranta uomini”. L’Astolfo suo pronipote, quello interpretato da Di Gregorio, combatte solo per la sua minuscola felicità, insieme ai suoi amici, dai volti istoriati dal tempo.

Di Gregorio e i suoi amici – fenomenale Gigio Morra – ricordano i Soliti ignoti di Mario Monicelli; e anche qui, nei casi più disperati, ci si consola con una minestra. Il cibo compare di continuo, miseria e nobiltà del film di Di Gregorio. C’è sempre un momento in cui qualcuno si interrompe per assaggiare qualcosa: “mmm, buono!”. Un cucchiaio di minestra, un bicchiere di vino, un avanzo di tiramisù. Sembra di essere negli anni ’60: e dritta da quel decennio viene anche una decapottabile rossa, una Duetto Alfa Romeo come quella del Laureato con Dustin Hoffman. Si respira aria da anni ’60, ma è come se fossero quegli anni lì, tutti sgualciti.

E poi, ci sono i battiti che accelerano, quando entra in scena Stefania Sandrelli. Che riesce a essere due donne in una: la signora con l’anima appassita dal tempo, ma anche la ragazzina che correva sul lungomare di Viareggio. Riesce ad avere ancora delle esitazioni, delle timidezze, dei fremiti da ragazzina.


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