West Side Story

Luca Pacilio

Quello di Spielberg non è un remake del capolavoro di Wise e Robbins, è un approccio moderno al libretto del musical: in fondo la gentrificazione dell'Upper West Side, mostrata nel suo farsi all'inizio del film, dice che - allora come oggi - se le lotte si fanno tra poveri, i loro destini sono decisi dai nuovi ricchi. Che prevalga l'aspetto sociale e politico, che il dramma d'amore ispirato a Romeo E Giulietta sia funzionale al discorso, e non il contrario, lo conferma il bilinguismo (a sottolineare l'incomprensione tra le bande rivali), un cast che elimina le contraddizioni etniche, il fantasma del trumpismo che aleggia, l'onirismo dissipato a favore di un registro realista fino al violento, il credibile fisicismo della danza di Justin Peck (muscoli e carne per le linee astratte di Robbins), gli accenti espliciti sul discorso di genere (Anybodys, figura innovativa, qui definitivamente non binary), la partecipazione al gesto coreografico di una macchina da presa che, nel suo virtuosismo classicista, contraddice lo sguardo contemplativo e avanguardistico del primo film. [...]

di Luca Pacilio, articolo completo (1866 caratteri spazi inclusi) su Rumore 1 febbraio 2022