Una partitura drammatica assolutamente prodigiosa tratta da Philip Roth. Presentato a Cannes.
di Marzia Gandolfi
Philip, scrittore americano a Londra, dialoga con le donne della sua vita, in particolare con la sua amante, inglese, intelligente, colta e compromessa da un matrimonio a cui a soli trentacinque anni, si è già rassegnata. Da mesi abdica il talamo nuziale per fare l’amore, parlare e discutere (molto) solo con lei, nutrendo di parole il suo insaziabile appetito di scrittore. Nessun filo conduttore lega queste conversazioni se non l’eco lancinante delle ossessioni del suo autore, il sesso, l’adulterio, la fedeltà, l’antisemitismo, la letteratura.
Tromperie - Inganno è un film fervente che crede fermamente nel potere della finzione, della letteratura e del cinema, di tenerci in vita. Senza creazione non c’è desiderio e viceversa.
E tutto il desiderio arriva dal romanzo omonimo di Philip Roth che Arnaud Desplechin ha pensato di adattare per anni, senza trovare mai l’occasione e la maniera. Racconto ‘da camera’, il confinamento imposto diventa un’opportunità e trova la formula del suo processo alchemico, producendo un oggetto strano, un artificio che rimanda al teatro e dimora nello studio di Philip.
Il film non è una provocazione e nemmeno una difesa, è piuttosto una rivendicazione, quella del diritto del creatore a creare. Desplechin tiene un profilo basso e firma un film emozionante il cui vero soggetto, appena nascosto e appena ostentato, è l’apprensione dell’età, la paura della malattia e il terrore della morte. E poi c’è il sesso, certo, la piccola morte che permette al protagonista di dimenticare quella grande, quella prossima.
Un’opera che guardiamo e ascoltiamo con una facilità sconcertante, quasi fosse musica. Un film che dovremmo pregare di vedere, talmente luminoso da accecare mentre omaggia il mestiere degli attori, a cui Desplechin affida una partitura drammatica assolutamente prodigiosa. Poesia nevrotica che ‘il professore di desiderio’ avrebbe approvato.
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