Il risultato finale risente però di qualche incongruenza nel tratteggio dei personaggi e nelle svolte narrative. Da giovedì 24 giugno al cinema.
di Paola Casella
Il capo di tutti i capi Frankie Maciano cade dal ponte di Brooklyn (seguito dal suo cane) gettando la città di New York nel panico: si scatenerà una guerra fra i clan mafiosi, o le Famiglie riusciranno a trovare un accordo? Ma i tre boss rimasti alla testa delle cosche newyorkesi hanno un problema più pressante: i rispettivi figli si rifiutano di intraprendere la strada (del crimine) dei padri, e dunque la discendenza mafiosa, più ancora che la faida fra bande, è il vero pericolo. Tony insegna danza ed è gender fluid; Nick fa il cantante rock; e Joe sta addirittura diventando poliziotto. L'unica "cura" possibile per loro è una full immersione nelle "lezioni di mafia" di Mr T, ovvero Turi 'U Appicciaturi. Dunque i tre boss rapiscono i loro figli e li spediscono a Palermo, dove Turi li aspetta insieme a Salvo 'O Svizzero e alla moglie, vero capo di casa.
La premessa di School of Mafia è ottima, quasi al pari di quella di Terapia e pallottole, e la sceneggiatura, firmata a otto mani dal regista Alessandro Pondi insieme a Paolo Logli, Mauro Graiani e Riccardo Irrera prova ad esserne all'altezza, riuscendoci soprattutto nella costruzione delle lezioni di Mr T che attingono alla realtà e mostrano come, al netto della degenerazione morale, ci sia qualcosa da imparare anche da un decalogo per uomini "d'onore".