daniella tron
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martedì 21 novembre 2023
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film notevole.
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Ordinary America of the casinos e non solo. Un film che merita di essere visto sia in lingua originale che in italiano con cast di attori bravissimi.
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giovanni
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mercoledì 17 maggio 2023
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svista
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Ho apprezzato la recensione, ma il carcere di cui si parla nel film non è a Guantanamo (Cuba), bensì ad Abu Ghraib (Iraq).
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lizzy
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sabato 30 aprile 2022
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nessuna pantera da queste parti...
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Non so...c'è qualcosa che non mi convince in questo film.
Ricordavo Schrader come un regista più incisivo, più diretto, invece qua vedo un continuo cincischiare con poca carne al fuoco.
I rapporti, le situazioni, le problematiche, le motivazioni... è tutto blando...slavato...annaquato.
Il poker c'è, ma visto da lontano, il rapporto con La Linda esiste, ma a parte l'auto-censura del protagonista alla fine non si estrinseca come dovrebbe,
Che gli accadimenti ante prigione abbiano finito col lobotomizzare il protagonista? Possibile,
Ma non può accadere lo stesso allo spettatore.
Schrader riesce bene a ricreare l'atmosfera piatta dell'animo del Tell (hotel anonimi, stanze censurate, casinò tutti uguali, dialoghi monocordi.
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Non so...c'è qualcosa che non mi convince in questo film.
Ricordavo Schrader come un regista più incisivo, più diretto, invece qua vedo un continuo cincischiare con poca carne al fuoco.
I rapporti, le situazioni, le problematiche, le motivazioni... è tutto blando...slavato...annaquato.
Il poker c'è, ma visto da lontano, il rapporto con La Linda esiste, ma a parte l'auto-censura del protagonista alla fine non si estrinseca come dovrebbe,
Che gli accadimenti ante prigione abbiano finito col lobotomizzare il protagonista? Possibile,
Ma non può accadere lo stesso allo spettatore.
Schrader riesce bene a ricreare l'atmosfera piatta dell'animo del Tell (hotel anonimi, stanze censurate, casinò tutti uguali, dialoghi monocordi...), ma molto di questo annoia lo spettatore e si finisce per aspettare un qualcosa...che non arriva.
No, nemmeno la (logica) fine con la visita al Gordo restituisce un pathos introvabile in tutta l'opera.
E quando si arriva agli ultimi minuti del film tutto scorre... come da copione.
Con i tristi fotogrammi finali (tristi perchè ultrascontati) a sigillo di un film... lento. Inesorabilmente lento.
Senza nessun mordente.
Come sono lontani i tempi della Pantera!
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felicity
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lunedì 21 marzo 2022
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densissimo sul piano concettuale
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Il Collezionista di Carte è il film più importante di Paul Schrader dai tempi di Affliction (1997), attualizzando una riflessione cinquantennale sul rapporto tra responsabilità individuale e condizionamento etico-morale, con chiare implicazioni politiche. Lo fa, servendosi di soluzioni formali innovative che si piegano a uno script denso di contenuti ma volutamente sospeso nello sviluppo, dove la storia di un ex soldato americano diventa un’agghiacciante riflessione sulla paura dell’abisso: quello nelle nostre menti.
La storia rappresenta una metafora spietata sulla capacità del potere di sfruttare i peggiori vizi e la bestialità dell’essere umano, piegandoli a strumento di controllo sociale senza neanche sporcarsi le mani.
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Il Collezionista di Carte è il film più importante di Paul Schrader dai tempi di Affliction (1997), attualizzando una riflessione cinquantennale sul rapporto tra responsabilità individuale e condizionamento etico-morale, con chiare implicazioni politiche. Lo fa, servendosi di soluzioni formali innovative che si piegano a uno script denso di contenuti ma volutamente sospeso nello sviluppo, dove la storia di un ex soldato americano diventa un’agghiacciante riflessione sulla paura dell’abisso: quello nelle nostre menti.
La storia rappresenta una metafora spietata sulla capacità del potere di sfruttare i peggiori vizi e la bestialità dell’essere umano, piegandoli a strumento di controllo sociale senza neanche sporcarsi le mani.
Schrader piega coerentemente le soluzioni formali del film alle prerogative di uno script rarefatto nell’intreccio ma densissimo sul piano concettuale, evitando di rifugiarsi tuttavia in una regia solo espositiva.
Un capitolo dunque molto rilevante nella lunga e sfaccettata riflessione di Paul Schrader sulla perdita del controllo, una messa in scena straniante che si serve di soluzioni sperimentali e a tratti molto stimolanti, uno script che gira programmaticamente a vuoto come il suo protagonista, un fantasma vittima dell’orrore impresso nei suoi ricordi.
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felicity
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lunedì 21 marzo 2022
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densissimo sul piano concettuale
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Il Collezionista di Carte è il film più importante di Paul Schrader dai tempi di Affliction (1997), attualizzando una riflessione cinquantennale sul rapporto tra responsabilità individuale e condizionamento etico-morale, con chiare implicazioni politiche. Lo fa, servendosi di soluzioni formali innovative che si piegano a uno script denso di contenuti ma volutamente sospeso nello sviluppo, dove la storia di un ex soldato americano diventa un’agghiacciante riflessione sulla paura dell’abisso: quello nelle nostre menti.
La storia rappresenta una metafora spietata sulla capacità del potere di sfruttare i peggiori vizi e la bestialità dell’essere umano, piegandoli a strumento di controllo sociale senza neanche sporcarsi le mani.
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Il Collezionista di Carte è il film più importante di Paul Schrader dai tempi di Affliction (1997), attualizzando una riflessione cinquantennale sul rapporto tra responsabilità individuale e condizionamento etico-morale, con chiare implicazioni politiche. Lo fa, servendosi di soluzioni formali innovative che si piegano a uno script denso di contenuti ma volutamente sospeso nello sviluppo, dove la storia di un ex soldato americano diventa un’agghiacciante riflessione sulla paura dell’abisso: quello nelle nostre menti.
La storia rappresenta una metafora spietata sulla capacità del potere di sfruttare i peggiori vizi e la bestialità dell’essere umano, piegandoli a strumento di controllo sociale senza neanche sporcarsi le mani.
Schrader piega coerentemente le soluzioni formali del film alle prerogative di uno script rarefatto nell’intreccio ma densissimo sul piano concettuale, evitando di rifugiarsi tuttavia in una regia solo espositiva.
Un capitolo dunque molto rilevante nella lunga e sfaccettata riflessione di Paul Schrader sulla perdita del controllo, una messa in scena straniante che si serve di soluzioni sperimentali e a tratti molto stimolanti, uno script che gira programmaticamente a vuoto come il suo protagonista, un fantasma vittima dell’orrore impresso nei suoi ricordi.
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jonnylogan
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sabato 22 gennaio 2022
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...... e non bisogna mica essere eroi
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William Tell ha un passato oscuro fatto di sevizie praticate nel carcere di Abu Ghraib. Sevizie per le quali ha scontato otto anni di carcere impiegati per apprendere l’arte di contare le carte, una tecnica che gli è tornata utile nel momento in cui, una volta uscito intraprenderà la carriera di giocatore professionista di poker. La vita di William trascorre fra un torneo e il successivo fino a quando, nel corso di un convegno di polizia, riconosce il suo vecchio superiore John Gordo che al contrario di lui non ha mai pagato per i reati commessi. Sarà solo l’incontro con Cirk, figlio di un suo commilitone, che farà variare le abitudini e le convinzioni del meticoloso e inosservato giocatore d’azzardo.
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William Tell ha un passato oscuro fatto di sevizie praticate nel carcere di Abu Ghraib. Sevizie per le quali ha scontato otto anni di carcere impiegati per apprendere l’arte di contare le carte, una tecnica che gli è tornata utile nel momento in cui, una volta uscito intraprenderà la carriera di giocatore professionista di poker. La vita di William trascorre fra un torneo e il successivo fino a quando, nel corso di un convegno di polizia, riconosce il suo vecchio superiore John Gordo che al contrario di lui non ha mai pagato per i reati commessi. Sarà solo l’incontro con Cirk, figlio di un suo commilitone, che farà variare le abitudini e le convinzioni del meticoloso e inosservato giocatore d’azzardo.
Paul Schrader, sempre nel solco del suo cinema di denuncia, fatto di antieroi e gente comune che vive ai limiti della legalità, dona al personaggio principale della sua ultima pellicola il nome di un patriota svizzero, William Tell, per spiegarci quasi per contrappasso come gli USA non desiderino “eroi” sanguinari, capaci di macchiarsi di reati abietti, ma preferiscano che la cenere rimanga celata sotto un tappeto. Il William Tell di Isaac è un personaggio ai margini che dopo una vita trascorsa al servizio dell’esercito americano a servire e reprimere i nemici della propria nazione, si è trovato abbandonato nelle fredde aule di un tribunale per aver portato a termine ordini disumani per i quali ha pagato un tributo molto caro ma che ha accettato senza recriminare. La pellicola è un perfetto road-movie di passaggio da un casino al seguente, da una partita alla successiva, di un uomo che ha avuto la capacità di sfruttare gli anni di detenzione per affinare una tecnica complessa, necessaria sia a mantenerlo ma anche a fargli dimenticare da dove proviene. Un contatore di carte meticoloso, in grado di fermarsi un attimo prima di venire scoperto dagli uomini della sicurezza dei vari casino, nel perenne tentativo di rimanere inosservato e ai margini sia della vita, sia delle partite. Partite in cui un sottobosco di scommettitori molto meno accorti di William fa da sfondo a un percorso di redenzione, ma sarebbe più opportuno definirlo di cambiamento, di un ex - militare che per un evento inatteso si troverà nuovamente catapultato in un passato che credeva dimenticato.
Al fianco di Isaac si muovono altri eccellenti comprimari come il giovane Tye Sheridan, nel ruolo di un figlio in cerca di vendetta. La comica, ma qui non si direbbe, Tiffany Haddish in quello di un’agente alla ricerca di talenti del mondo del Poker. E infine Willem Dafoe, nella difficile parte dell’ex - maggiore John Gordo. Da vedere come pellicola catartica e come viatico al recupero di tutta la produzione di Schrader.
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venerdì 10 dicembre 2021
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la musica non è di levon been?
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Tutto ben detto, ma mon ho trovato traccia di Geooff nella colonna sonora, che mi pare sia opera dell'ex BRMC Levon Been.
https://www.popmatters.com/robert-levon-been-card-counter
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abramo rizzardo
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mercoledì 27 ottobre 2021
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la violenza dell''esistenzialismo criminale.
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Un film che ricalca nella maniera più assoluta il tipico modus operandi di Schrader ( che lo ricordiamo per aver iniziato la carriera cinematografia come sceneggiatore, ed aver scritto capolavori quali Taxi Driver, Toro scatenato etc... ): dunque cosa otteniamo? Voice-over, personaggi in piena crisi esistenziale, che fanno lavori labili, in piena astinenza sessuale ( topos che sviscera molto il regista-sceneggiatore ), e che vagano di notte nella propria macchina, che siano conducenti o passeggeri, non ha molta importanza, l'importante è che siano alla perpetua ricerca di equilibrio, come un uomo tornato dal Vietnam che ammazza il tempo facendo il tassista, o come uno spacciatore in cerca di salvezza, mentre in questo caso, un abilissimo giocatore di poker con una terribile vicenda alle spalle che lo spinge a vivere nell'ombra della sua stessa vita; è dunque la storia di William Tell, misterioso uomo che si guadagna da vivere giocando a carte: il suo intreccio con Cirk, un ragazzotto che ha un comune nemico con l'esperto Guglielmo Tell lo porterà finalmente, forse, alla redenzione e al riscatto.
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Un film che ricalca nella maniera più assoluta il tipico modus operandi di Schrader ( che lo ricordiamo per aver iniziato la carriera cinematografia come sceneggiatore, ed aver scritto capolavori quali Taxi Driver, Toro scatenato etc... ): dunque cosa otteniamo? Voice-over, personaggi in piena crisi esistenziale, che fanno lavori labili, in piena astinenza sessuale ( topos che sviscera molto il regista-sceneggiatore ), e che vagano di notte nella propria macchina, che siano conducenti o passeggeri, non ha molta importanza, l'importante è che siano alla perpetua ricerca di equilibrio, come un uomo tornato dal Vietnam che ammazza il tempo facendo il tassista, o come uno spacciatore in cerca di salvezza, mentre in questo caso, un abilissimo giocatore di poker con una terribile vicenda alle spalle che lo spinge a vivere nell'ombra della sua stessa vita; è dunque la storia di William Tell, misterioso uomo che si guadagna da vivere giocando a carte: il suo intreccio con Cirk, un ragazzotto che ha un comune nemico con l'esperto Guglielmo Tell lo porterà finalmente, forse, alla redenzione e al riscatto.
Sarà dunque il loro viaggio all'interno della follia umana, della vendetta e del riscatto, che farà conoscere allo spettatore con mano il vero orrore della solitudine, della pazzia e della violenza, proprio come una malattia genetica, che viene tramandata da generazione a generazione, come nel caso di Cirk, il cui padre si suicidò per essersi macchiato di terribili crimini, e il figlio, quasi ereditando il gene dell'eredità criminale, sogna vendetta, e ci racconta, attraverso le sue cruente parole di lucida follia, ciò che desidererebbe fare al nemico comune, delineato da un magnifico quanto morboso Willem Dafoe, perlopiù storpiato dalle lenti fish-eye, che rendono il tutto ancora più allucinato e visionario.
Regia che riesce perfettamente a ricreare con crudo realismo la realtà che circonda il protagonista: tutte le luci, sebbene risultino a primo impatto calde, vengono avvertite terribilmente fredde dallo spettatore; la coerenza impeccabile la riscontriamo pure nelle musiche: come fossero antitetiche con la storia, ci accarezzano dolcemente, e mentre in sottofondo la voce di Robert Levon Been ci sussurra una storia d'amore tra il protagonista e una donna, le lenti grandangolari ci sbattono in faccia la violenza inaudita come uno schiaffo, dalle sfumature fisiche ma anche psicologiche.
Perfetti gli attori: l'inespressività di Oscar Isaac dona grazia e profondità ad un uomo che ha perso il senso della lucidità, e che vive sul filo di un rasoio; un altrettanto notevole Tye Sheridan gli va dietro, ma Willem Dafoe come sempre ruba lo spettacolo: in pochi minuti ci fa temere ciò che vediamo, dipingendo con pochi sguardi e poche battute, un uomo dilaniato irreversibilmente dalla violenza più ingiustificata, animale, primordiale e brutale.
Fotografia molto buona, pulita e a tratti sensazionale.
Ottima riflessione sul bene e sul male, e su come anche la persona più buona, con ottime intenzioni, alla fine possa rivelarsi il vero male.
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angelitas
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martedì 21 settembre 2021
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il gioco per passione.
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interessante commento con un ottica precisa sull'America del gioco.
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maramaldo
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lunedì 20 settembre 2021
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iu, es, ei! iu, es, ei!
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inneggia il vincitore, nato in Lituania, ora rivestito di stelle e strisce. Slavo cerebrale, sa far due conti per portar via un gruzzoletto ai tavoli di poker. "Parlava" del film, l'ho capito dopo.
Agli incolti si impartiscono rudimenti di Texas hold'em. Volenteroso, Schrader inizia anche ai segreti del card counting a blackjack: non ci provate, richiede facoltà non comuni, talvolta sul patologico, ricordate Dustin Hoffman in Rain Man.
Quello che mi piace in alcuni moralisti è, da cuochi bravi, come sanno scegliere e miscelare gli ingredienti. Denunce, riprovazioni, mostruosità intercalate a interludi piacevoli, frivolezze e "leisure" varie.
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inneggia il vincitore, nato in Lituania, ora rivestito di stelle e strisce. Slavo cerebrale, sa far due conti per portar via un gruzzoletto ai tavoli di poker. "Parlava" del film, l'ho capito dopo.
Agli incolti si impartiscono rudimenti di Texas hold'em. Volenteroso, Schrader inizia anche ai segreti del card counting a blackjack: non ci provate, richiede facoltà non comuni, talvolta sul patologico, ricordate Dustin Hoffman in Rain Man.
Quello che mi piace in alcuni moralisti è, da cuochi bravi, come sanno scegliere e miscelare gli ingredienti. Denunce, riprovazioni, mostruosità intercalate a interludi piacevoli, frivolezze e "leisure" varie. Lo spettatore gliene è grato. Richard Gere, p.es., non ricordo se si pente o si redime ma ricordo i suoi completi Italian Style e, ancora poco tempo fa, come lui, ci badavo ad abbinare camicie e cravatte.
Carrellata sui luoghi di abiezione, le carceri segrete dove si perpetrano ignominie che offendono il briciolo di umanità che ci rimane. Si menziona ma non ci si sofferma sulla nota "guajira guantanamera", la manfrina dove da tempo recitano ipocrisia e impotenza di "potenti". Giudiziosamente Schrader privilegia Abu Ghraib, episodio quasi dimenticato: inservienti che si fecero riprendere e furono puniti, superiori che "non potevano non sapere" e la fecero franca.
Racconto permeato di disgusto e di dolente sdegno verso tutte quelle canaglie mentecatte che hanno inferto uno sfregio all'immagine e all'onore della Nazione. Che ci sia sotto, ben camuffato, un sofferto atto d'amore? Paul Schrader, patriottardo a modo suo?
Indirizza la vicenda La Linda. Tiffany Haddish, scelta felice di un'interprete vibrante e completa. Personaggio tipico in quegli ambienti, descritta come iconica, si rivela concreta, corposa. Femmina scaltra, intuisce, ferina "fiuta".
In epilogo, il moralista ha come una resipiscenza, si accorge di aver imbastito un che di macchinoso, inverosimile, peraltro senza un costrutto per un discorso di redenzione, espiazione, cose così. Si rifugia, allora, in simbolismi. La visita in prigione. La Linda ricompare. Di spalle, misteriosa. Per un attimo il volto, impassibile, impenetrabile, muto. Poi, la "belva" mostra gli artigli laccati. Uno lo mette sul punto dove, al di là del vetro, lo tocca un dito di quell'uomo a cui, stavolta, nessuno ha dato ordine di dilaniare il suo simile.
Sequenza che dura a lungo, molto a lungo, il tempo per farci riflettere: that's America.
2.
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