Soul: Quando un'anima si perde

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Ispirazioni e Aspirazioni Valutazione 4 stelle su cinque

di Eugenio


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venerdì 25 dicembre 2020

Non c’è Natale che si rispetti senza la visione di un film della Pixar, intelligenti pellicole d’animazione rivolte a un pubblico “pre-scolare” ma in realtà, capaci di indagare con profondità e al tempo stesso leggerezza, tematiche universali della vita umana, toccando anche, cosa non rara (vedi Inside out) il delicato confine emozionale con l’aldilà (Coco), significati quindi ben oltre la nota vena di infantilismo a cui questi generi vengono spesso relegati.
Soul, uscito su Disney Plus in occasione del giorno di Natale, in questa strana festività che ci vede tutti a casa, prigionieri di quattro mura domestiche (i più fortunati almeno), non fa eccezione e ci regala un’ora e mezza di buonumore, felicità e perché no, commozione restituendoci un’aggraziante serenità a un presente di sconsolante tristezza.
La trama inizia un pò in sordina ma esplode in bellezza e citazioni toccando corde alte: dall’ispirazione umana sino al senso della vita, addirittura. Sì, perché Soul, ha come papà Pete Docter(già direttore creativo della Pixar e regista diMonsters & Co,Up e Inside Out piccoli gioiellini che dovrebbero conoscere tutti, critici compresi) e parte dalla storia semplice di umana frustrazione di un singolo “mediocre” per aprirsi alla complessità dell’esperienza umana e del percorso di riflessione e scoperta, artistica ed esistenziale globale.
Il suo protagonista, il quarantenne Joe Gardner (nel doppiaggio italiano interpretato con bravura da Neri Marcorè), è un professore di musica part-time di una scuola media. Ogni giorno cerca di trasmettere ai suoi scolari l’amore della musica, in particolare quella jazz, coltivato in tenera età grazie al padre, ora scomparso. Ci mette passione Joe al piano, una passione che lo spinge a ricercare la sua vena creativa di musicista, piuttosto che quella apparentemente superficiale ma sicura di un posto fisso “assicurato” come ricordatogli dall’anziana ma cauta madre, sarta di un negozio di tessuti.
Joe però non si arrende e un giorno, quando finalmente il suo sogno sembra avverarsi, quando potrà suonare in un locale notturno debuttando al piano con un quartetto piuttosto celebre, cade in un tombino e finisce, non lui fisicamente, ma la sua anima, in uno strano luogo, una specie di limbo sospeso tra la vita e la morte. Il suo spirito è destinato alla luce, una luce a cui lui in ogni modo cercherà di opporsi, anche falsando le carte, rifiutando l’ingiusto destino per riconciliarsi a quel corpo in ospedale. E per farlo non esiterà a divenire un mentore, designato, a causa di un equivoco, dagli arzigogolati guardiani, sorta di burocrati dal nome comune “Jerry” modellati come una versione tridimensionale del Mr. Linea di Cavandoli, di un’anima non destinata a vivere, un’anima ribelle, giovane e inquieta, la numero 22 (dalla voce stridula di Paola Cortellesi).
Dall’incontro/scontro con una nuova realtà fiabesca, Joe comprenderà quanto il suo sogno di volare alto, la sua, per certi versi egoistica sete di successo palesata in sconfitte e rassegnazioni, possa aprire gli occhi degli altri: anche di coloro i quali, la vita, quella vera, la rifiutano di vivere perché in fondo, non sono convinti di avere la giusta ispirazione e preferiscono rassegnarsi. Trascendendo una realtà che in Up era la casa come simbolo di elaborazione del lutto e in Inside out emozione pura contro il culto della felicità eterna e sospesa, nei limiti surreali di un’aldilà- limbo assai organizzato, Soul, centra in pieno ogni scena.
Azzecca tutto, questo film dialoghi, doppiaggio, animazione compresa la delicata ma fluida scenografia digitale, la pura esteriorizzazione formale della fotografia perché riesce a giustapporre larealtà di Joe, una realtà con la quale tutti noi, mediamente conviviamo nei suoi alti e bassi, nei nostri sogni di vita infranta, con la fantasia grafica dell’aldilà come in Coco, altro gioiello prodotto dalla Pixar.
In Soul, tuttavia, il legame con il defunto non assurge a saudade ma a una sfida nei confronti di un’ossessione malata che nasconde, realmente la debolezza precaria del protagonista. Joe lotta ma diviene un mentore per i suoi scopi, un mentore fortemente iconico e ironico dagli stessi creatori della Pixar che ci sembrano dire, del resto, che l’arte in ogni caso è pura ispirazione concettuale non ossessione anzi, una consapevolezza profonda che occorre saper riconoscere e affrontare.
E’ grazie a questo semplice meccanismo che Soul, dalla trama evidentemente prevedibile, funziona benissimo, con un preciso rodaggio che non impone un dotto spiegazionismo, ma lascia che noi spettatori, cautamente, possiamo entrare nel suo mondo, accompagnandoci per mano e tornando un po’ bambini, per condividere quel percorso di riflessione e scoperta, artistica ed esistenziale descritto poc’anzi.
Secondo atto di un percorso di Inside Out che con l’emozioni ci giocava, che ci spiegava in qualche modo come nascono i meccanismi istintuali di rabbia, paura, felicità (un qualcosa che qui viene ripreso nel limbo burocratizzato con le anime “goccia”), Soul raggiunge una purezza e una commozione tale da renderlo uno dei più bei film del 2020. Sagace nel raccontare, furbo nel citare La vita è meravigliosa senza nemmeno darsi troppo sul serio, ci parla di legami familiari, destino, amore, saudade, misticismo (nella bellissima immagine di un’anima di un’artista di strada di New York al timone di una nave alla ricerca di anime perse) e ricerca.
Ricerca e stupore in quel deserto buio, inospitale dove un veliero fende le onde e cattura quei giganti neri e massici reduci di una Città incantata di Miyazaki, anime perse di un sentiero che miscela la tristezza della perdita con la gioia nel ritrovarsi finalmente. Con risate e lacrime.

Capolavoro.

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