sergiofi
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giovedì 29 aprile 2021
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cassie e il gusto amaro della vita
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“Promising young woman” - candidato agli Oscar 2021 e diretto dall’esordiente Emerald Fennel - affronta con rigore, coniugato al senso dello spettacolo che è l’essenza del cinema, un tema di scottante attualità.
La sceneggiatura è perfetta, quasi un meccanismo ad orologeria. Il plot ruota attorno a una galleria di personaggi mediamente mediocri e inconsapevoli del male che hanno fatto, tratteggiati con occhio attento e cinico.
Cassie, trasformata e resa psicopatica da un dolore senza sbocco e dalla voglia di incastrare i colpevoli del suicidio dell’amica del cuore Nina (vittima di uno stupro), è interpretata con l’abituale carisma da Carey Mulligan. Una prova ulteriore delle sue immense potenzialità attoriali.
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“Promising young woman” - candidato agli Oscar 2021 e diretto dall’esordiente Emerald Fennel - affronta con rigore, coniugato al senso dello spettacolo che è l’essenza del cinema, un tema di scottante attualità.
La sceneggiatura è perfetta, quasi un meccanismo ad orologeria. Il plot ruota attorno a una galleria di personaggi mediamente mediocri e inconsapevoli del male che hanno fatto, tratteggiati con occhio attento e cinico.
Cassie, trasformata e resa psicopatica da un dolore senza sbocco e dalla voglia di incastrare i colpevoli del suicidio dell’amica del cuore Nina (vittima di uno stupro), è interpretata con l’abituale carisma da Carey Mulligan. Una prova ulteriore delle sue immense potenzialità attoriali.
La sua Cassandra Thomas attraversa con sguardo dolente un percorso esistenziale immerso nel buio più profondo e rischiarato da rari lampi di luce. Paradigmatico in questo senso il cameo di Alfred Molina. Una figura finalmente compassionevole e pentita che giocherà un ruolo chiave nella vicenda e che, per un barlume di tempo, la farà uscire dal tunnel della disperazione e tornare a credere negli umani.
La vendetta finale, paradossalmente, si incastra all’interno di una cerimonia di matrimonio. Un rito che dovrebbe essere la sublimazione dell’amore. Quell'amore per la vita calpestato, nel caso di Cassie e Nina, dalla malvagità e dall’indifferenza delle persone.
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frankmoovie
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sabato 26 giugno 2021
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una donna promettente: un film che vola.
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Ieri sera al cinema: in sala noi, un'altra coppia, un signore, disposti ai vertici di un triangolo equilatero con centinaia di posti vuoti. Peccato, ancora il cinema non vola. Il film che abbiamo visto, invece, vola perché racconta di fatti molto attuali come lo stupro, le follie giovanili, i comportamenti degli uomini e delle donne, i pregiudizi della gente, il giudizio della Legge e il desiderio di farsi giustizia da soli. Tutto sulla base di un'amicizia profonda tra due ragazze che, al di là degli eventi, supera tutto e tutti. Il forte carattere di una donna che tra stranezze e trasformazioni sa dove vuole arrivare. Il tema è difficile, il cammino da percorrere per capire certe situazioni e le interpretazioni dei fatti è ancora lungo e il film non può rispondere a tutti gli interrogativi.
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Ieri sera al cinema: in sala noi, un'altra coppia, un signore, disposti ai vertici di un triangolo equilatero con centinaia di posti vuoti. Peccato, ancora il cinema non vola. Il film che abbiamo visto, invece, vola perché racconta di fatti molto attuali come lo stupro, le follie giovanili, i comportamenti degli uomini e delle donne, i pregiudizi della gente, il giudizio della Legge e il desiderio di farsi giustizia da soli. Tutto sulla base di un'amicizia profonda tra due ragazze che, al di là degli eventi, supera tutto e tutti. Il forte carattere di una donna che tra stranezze e trasformazioni sa dove vuole arrivare. Il tema è difficile, il cammino da percorrere per capire certe situazioni e le interpretazioni dei fatti è ancora lungo e il film non può rispondere a tutti gli interrogativi. Psicologicamente forte, a tratti piacevole con qualche sbandata verso la leggerezza, l'originale racconto, premiato con un Oscar, viene ben rappresentato dalle scelte della regia di Emerald Fennell, al suo debutto e dalla bravura degli attori tra cui Carey Mulligan che primeggia su Bo Burnham, Laverne Cox, Clancy Brown, Jennifer Coolidge ... Ottima la scelta della colonna sonora sia per le musiche che per le canzoni.
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angelo umana
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lunedì 19 luglio 2021
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film educativo per maschietti
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Molto appropriato è il viso della protagonista Carey Mulligan, in arte Cassandra, nome appropriato per annunciare sventure. Sarà anche merito del trucco, ma le sue espressioni descrivono gli stati d'animo, a volte incerti, a volte travagliati o sicuri e decisi: una faccia o una mente “disturbata” da un trauma del quale non riesce a liberarsi, un'ossessione, quello della violenza di gruppo da parte di colleghi universitari 7 anni prima ai danni della sua cara amica Nina. Erano entrambe 23enni allora e abbandonarono gli studi di medicina, Nina perché non sopravvisse e Cassie perché non sopportò oltre l'ambiente.
Ora fa la barista, vive in casa coi suoi e a nulla valgono i loro tentativi di comunicare con lei, la mamma non se ne può dar pace ma il padre è più comprensivo, la accoglie meglio o “let it be” (siamo in Inghilterra).
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Molto appropriato è il viso della protagonista Carey Mulligan, in arte Cassandra, nome appropriato per annunciare sventure. Sarà anche merito del trucco, ma le sue espressioni descrivono gli stati d'animo, a volte incerti, a volte travagliati o sicuri e decisi: una faccia o una mente “disturbata” da un trauma del quale non riesce a liberarsi, un'ossessione, quello della violenza di gruppo da parte di colleghi universitari 7 anni prima ai danni della sua cara amica Nina. Erano entrambe 23enni allora e abbandonarono gli studi di medicina, Nina perché non sopravvisse e Cassie perché non sopportò oltre l'ambiente.
Ora fa la barista, vive in casa coi suoi e a nulla valgono i loro tentativi di comunicare con lei, la mamma non se ne può dar pace ma il padre è più comprensivo, la accoglie meglio o “let it be” (siamo in Inghilterra). A nulla serve il loro regalo del 30° compleanno, una valigia rosa, augurio di viaggi, non desiderati dalla figlia. Ha messo in atto, lei, una sorta di vendetta contro gli uomini che in segno di sfida attrae, frequentando locali pubblici di sera e mostrandosi preda ubriaca bisognosa di accompagnatori: diventano prede incapaci di reazioni a loro volta, ragazzotti frustrati dai giudizi della Promising young woman (il titolo originale). Sono locali con predominanza di uomini: le prime immagini inquadrano i loro bacini, pubi e sederi mentre ballano, materiale verso il quale la ragazza dovrebbe secondo il titolo essere “promettente”. Il film è al femminile, aggiudicatario di premi vari (migliore sceneggiatura originale, miglior film britannico, miglior attrice, miglior film ambientato nel presente ... 2021) e candidature, è la prima regia della signora Emerald Fennel.
Cassandra vuole umiliarli come venne umiliata l'amica. Le vendette cercate però non cancellano i torti sofferti e possono essere dannose pure per chi le attua. Il film vale la visione; le riserve consistono nella spettacolarizzazione diffusa, le musiche per abbellire il prodotto in certi tratti, in altri per mostrare che si tratta proprio di un thriller, tutto come si deve perché colpisca con fatti e parole (le trovate ironiche e sdrammatizzanti). Un misto di strumenti che può essere educativo per i maschietti.
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alessandro spata
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domenica 13 giugno 2021
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- non molestate la donna che dorme -
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Sinceramente ammetto che il film mi ha confuso e commosso. Sensazioni apparentemente contraddittorie a sostegno del fatto, però, che ho trovato l’opera, parafrasando l’identità della protagonista, una promessa un tantino mancata. Un tema molto complesso viene ancora una volta trattato in modo troppo lineare, troppo semplicistico, secondo me. Ma questo riguarda unicamente le mie aspettative che non dicono poi tanto sull’essenza del film in sé. È un bene che il “cinema” in virtù della sua diffusione e della sua “più facile fruizione” si presti particolarmente all’elaborazione di temi molto scabrosi seppure “tagliati con l’accetta” sullo schermo.
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Sinceramente ammetto che il film mi ha confuso e commosso. Sensazioni apparentemente contraddittorie a sostegno del fatto, però, che ho trovato l’opera, parafrasando l’identità della protagonista, una promessa un tantino mancata. Un tema molto complesso viene ancora una volta trattato in modo troppo lineare, troppo semplicistico, secondo me. Ma questo riguarda unicamente le mie aspettative che non dicono poi tanto sull’essenza del film in sé. È un bene che il “cinema” in virtù della sua diffusione e della sua “più facile fruizione” si presti particolarmente all’elaborazione di temi molto scabrosi seppure “tagliati con l’accetta” sullo schermo. Tuttavia, se è vero che il cinema è il medium che più di tutti è capace di decodificare i messaggi di questa nostra “età contemporanea di transizione” non vorrei che nello stesso tempo l’arte cinematografica trattando motivi complessi in modo grossolano si riducesse a fornire soltanto spiegazioni invalse e argomentazioni per di più ovvie o semplicemente più alla moda. Mah! Mi “conforta” in qualche modo l’affermazione della regista che ammette di aver voluto fare un “prodotto commerciale” un “Hollywood movie” da popcorn seppure con l’intenzione di voler far riflettere la più ampia porzione possibile di pubblico. La candida confessione dell’autrice mi fa correre un tenue brivido lungo la schiena perché francamente non mi va giù tanto l’idea che anche il cinema si possa prestare come certa becera tv alla spettacolarizzazione del dolore al fine ultimo della commercializzazione di beni di consumo. Tuttavia, a pensarci bene anche il cinema è un bene di consumo in fondo e non è che debba servire a trovare necessariamente soluzioni ai mali del mondo. L’arte non ha il potere di cambiare la mentalità di un epoca. Non è sua prerogativa. L’arte serve soltanto a descrivere i contorni essenziali emblematici che contraddistinguono una società in un determinato periodo storico facendone “caricatura”, anche, probabilmente.
Non entrerò nei meriti e demeriti stilistici del film, sulla sua estetica che sono stati ampiamente discussi e oltretutto non sono un tecnico. Mi soffermo invece brevemente sull’aspetto della “superficialità psicologica” della protagonista lamentato da più parti. L’assenza di "scavo psicologico" forse è “funzionale” dal momento che l’autrice voleva dare ai contenuti del film un taglio più sociologico collettivo invece che meramente psicologico individuale. Il film può apparire effettivamente come “antipsicologistico”, “antiespressionista”, persino, dove, tuttavia, il senso psicologico più profondo si ricava proprio grazie al fatto che tutto viene trattato in superficie. Sappiamo all’inizio soltanto che la protagonista è rimasta molto “condizionata” dalle “vicende” che hanno preceduto il suicidio dell’amata amica Nina. Invece di ricorrere all’inventario delle variegate psicologie cui il tema del “trauma” dello stupro poteva prestarsi facilmente col rischio di cadere nell’ovvio, la regista si limita a mostrare il bel volto “intenso” della protagonista “ridotto all’epidermide”, per così dire, insieme alle sue reazioni comportamentali “superficiali” (l’insofferenza, il sarcasmo caustico, l’apatia, il ritiro), ma ottenendo l’effetto paradossale che la profondità psicologica della protagonista non va perduta, ma al contrario ne è “messa in risalto” quantomeno nella mente dello spettatore che si adopererà per le ipotesi più svariate.
Secondo me l’idea di fondo del film è che la questione qui esaminata dello “stupro”, ma della “violenza sulle donne” più in generale, forse, non può essere considerata come tema autonomo, poiché è intrinsecamente connessa, ad altre considerazioni già nel film abbozzate. Non c’è la pretesa di tratteggiare un’idea rivoluzionaria, ma di delineare semmai, ancora una volta, “un mondo sotto forma di un tessuto, non di singoli fili”.
Qualcuno ritiene che dietro tale operazione cinematografica si possa nascondere un tentativo avventato e alquanto patetico e non privo di malizia pure di reagire genericamente attraverso l’istituto della “vendetta” ad una sorta di “Realismo ontologico” in quanto si tratterebbe a ben vedere non di banale vendetta femminile, ma del rifiuto di arrendersi al “mondo così com’è”, - perché si ha fede di poterlo comunque trasformare attraverso il cambiamento interno di individui - o categorie o gruppi sociali. Quindi, non è un film così pessimista tutto sommato. Qui a ben vedere non si contrappongono idealmente, ma brutalmente donne stuprate e uomini stupratori, vittime e carnefici semplicemente. Insomma, il film non mi pare che voglia lasciare nello spettatore l’amaro sapore di un “destino di conflittualità permanente” tra donne e uomini.
La protagonista non ricorre alla violenza sanguinaria come un Charles Bronson d’altri tempi. Lei piuttosto ingenuamente pretende che i carnefici ammettano le proprie responsabilità e che si ricordino di Nina. Dimenticandone il nome l’hanno uccisa due volte. Un ulteriore affronto ad una persona unica e indivisibile violentata nella sua identità e non solo nel corpo. Alla fine uomini e donne siamo tutti oppressi da un nemico comune e neanche così astratto: il mito della “struttura sociale” che ci vuole tutti sottomessi; tutti “condannati ai rispettivi ruoli e talenti”. Tutti prigionieri stereotipati nell’ordine del “discorso maschile”. In realtà, in questo film sembra contenuta l’esortazione a liberarci tutti di certe coercizioni interiori ed esterne e si può farlo soltanto donne e uomini insieme, a quanto pare. Vorrei sottolineare che tutto questo afflato sociologico non deve risuonare come un generico e fintamente riparatorio escamotage che miri ad equiparare i ruoli e le responsabilità di tutti, “carnefici e vittime”. In questa storia tremenda, fatte sempre salve le responsabilità individuali, sono pur sempre le donne le parti deboli che subiscono la violenza che nessun psicologismo o sociologismo può in alcun modo giustificare.
Quando si entra nel territorio minato della “violenza sessuale” la paura di sbagliare approccio può essere fatale. E lo sbaglio della regista sarebbe stato quello di trattare l’argomento in modo troppo edulcorato. Non si fa mai accenno alla parola “stupro”. La realtà sociale della violenza sessuale non viene mai inquadrata, mai esibita nella sua brutalità. E poi quegli ambienti color pastello, l’abitazione familiare con quegli arredi barocchi da casa delle bambole, l’esortazione della madre di Nina che la incoraggia a dimenticare - perché non fa bene a nessuno questo continuo rivangare il passato -. E poi la commovente idealità della protagonista che finisce per apparire persino ingenua immersa com'è in una atmosfera da favola, anzi onirica meglio. Come se prendere una posizione dura contro lo stupro dovesse significare per forza soffermarsi con lunghe inquadrature sull’atto stesso dello stupro indugiando eventualmente sulle sequenze di genitali in convulso movimento. Quasi che la regista abbia voluto dare precedenza per “difendersi” (e difendere gli spettatori) dall’orrore, al lato estetico cinematografico più che al fatto sociale della violenza sessuale in sé. Forse la regista crede più nell’immagine che nella realtà? Forse ha voluto sostituire al “fatto” reale, brutale della violenza, la semplice “inquadratura”, l’attrice, la messinscena? Ma le si può fare una colpa di questo assunto eventualmente? Secondo me il film è ambiguo, ma soltanto perché non lo si può identificare completamente né nel filone banale dei Rape & Revenge movie di serie-B, né in quello più schietto e aulico della denuncia sociale. Non è certo un film “realista” questo. O magari potremmo dire più semplicemente che il realismo di questo film è profondamente “estetico?” Forse la regista ha peccato di presunzione? Col suo insano proposito di voler - conciliare processi di natura estetica con quelli di più ampio dibattito culturale, politico e morale? - Ma pare che questa sia anche l’unica strada possibile se vogliamo che l’arte cinematografica sopravviva sul lungo periodo. Forse, l’unico momento in cui crudezza della realtà ed estetica cinematografica coincidono è nella scena in cui la protagonista viene soffocata sul letto col cuscino dallo stupratore di Nina. È a questo punto che il “reale” emerge in tutto il suo orrore ed è per questo forse che molti hanno percepito così sconvolgente quella inquadratura. La favola di colei che credeva di poter incutere timore a certi persecutori finisce penosamente. E la vergognosa vigliaccheria dei carnefici si ripropone in tutta la sua brutale verità. Il film poteva finire qui. Ma si necessitava dell’effetto “catartico” della polizia che alla fine arresta i responsabili. Giustizia non è comunque fatta, ma lo spettatore esce dal cinema più soddisfatto e sereno.
Mi pare inutile e fuorviante oltretutto discutere se questa sia la storia di una donna malata o se Cassandra sia più semplicemente il prodotto della crudeltà di una società. Certo una, la cui esistenza risulta congelata in un eterno ritorno del sempre uguale (come una sorta di “Giorno della marmotta” che si ripete all’infinito) che ogni settimana inscena lo stupro della sua amica Nina Fisher qualche problema di comportamento deve avercelo. Ma il punto non è se Cassandra soffre di una qualche psicosi o di un più verosimile disturbo post-traumatico da stress, eventualmente. Il punto non è nemmeno che il film sembra rendere omaggio al movimento #MeToo e nemmeno immagino la regista abbia voluto riscattare semplicemente le vittime di stupro con questo film. Così come non credo che i reduci dei campi di concentramento nazisti si siano sentiti riscattati dalla visione di “Bastards” di Tarantino, ne agli afroamericani sarà bastato guardare verosimilmente “Django Unchained” per sentirsi risarciti dei tanti soprusi subiti nel passato e nel presente dai loro connazionali bianchi. Purtroppo certi film e il loro lodevole intento rappresentano soltanto dichiarazioni di principio che poi finiscono tante volte per non avere alcun riscontro nella realtà. Riducendosi soltanto ad una sterile esibizione del “solito” nostro profondissimo bisogno di etica e di giustizia.
Invece il punto è purtroppo sempre lo stesso: il corpo della donna rappresenta una questione morale. Il corpo della donna nella nostra società eterogenea è diventato il luogo dove si consumano scontri di potere sociale. L’arena in cui tutte le inquietudini socio-culturali esplodono tante volte. Il luogo in cui l’autorità maschile con a volte complice quella femminile condita da altrettanti pregiudizi e stereotipi sul genere femminile, continua ad imporre sotto forme diverse anche subdole la sottomissione e la violenza. Il punto è che presso larghi strati di popolazione è considerata prassi comunemente accettata che un uomo approfitti di una donna ubriaca e che le donne ancora addebitino la colpa di quanto è successo alla donna medesima rea di essere "una poco di buono" e di “essersela andata a cercare”.
È vero che certi pensieri e comportamenti siano pervasivi della società, ma da ciò non ne discende l’assunto che “nessuno è innocente”: non c’è necessariamente un chiamata di correità qui. Ma potremmo dire alla maniera di De Gregori che “La storia siamo noi, nessuno si senta offeso…La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso” e che “per quanto possiamo crederci assolti siamo pur sempre coinvolti” canterebbe De Andrè. Insomma, è una chiamata alla responsabilità individuale e sociale, forse.
Il monito è che non ci si può limitare a medicalizzare o psichiatrizzare più semplicemente la violenza sulle donne perché non si tratta banalmente di un fenomeno individuale, di un qualche invasato depresso o misogino frustrato, che va curato da uno bravo e punito con adeguata sanzione carceraria. Cioè, non basta! In questo “gender horror show” aleggia il “fantasma” di un popolo che dietro le chiacchiere e le facezie “innocenti”, di fatto si autoassolve anche quando i suoi «rappresentanti maschili» di tutte le età e condizioni sociali battono ad esempio a sangue mogli, fidanzate, compagne e figlie.
Certo i maschi o meglio certi maschi ne escono a pezzi, ma anche le femmine non fanno una gran bella figura. Narcisisti fragili e patetici la cui autostima è funzione del numero di donne ubriache che riescono a portarsi a letto si contrappongono a donne che assumono una falsa aria virginale di condiscendenza per sopravvivere in un mondo di uomini o per non spaventare gli “uomini-bambini” o forse soltanto per disinnescarne preventivamente l’aggressività e la violenza. Ma questo non le assolve più di tanto, mi sa, secondo la regista.
Il confronto con le dovute cautele mi sorge spontaneo con “Cane di Paglia” di Peckinpah. Abbiate pazienza, ma le vie delle associazioni sono infinite, si sa. Ciò che li accomuna secondo la mia percezione è ad esempio il fatto che i due film sono ancorati a certi generi, ma in opposizione ai loro standard allo stesso tempo. Una complessità di contenuti si accompagna ad una apparente semplicità stilistica tale poi da sfociare nell’ingenuità sostanziale del contenuto stesso proposto all’attenzione del pubblico.
Qui non fa da contraltare la semplice apologia della femminilità contrapposta alla sciagurata figura maschile. Il film rimane pur sempre un’opera discussa e discutibile, in grado di provocare scalpore e interesse. Mai però un generico rifiuto da parte delle diverse letture individuali. Non c’è di sicuro la donna implacabile assetata di rivalsa sanguinaria e istintuale, ma la protagonista rimane pur sempre invischiata in una pericolosa compulsione ad agire la "violenza" del sarcasmo e della derisione da cui viene pur sempre trascinata e annientata a morte alla fine. Anche l’ironia può essere autodistruttiva. Il prezzo che Cassandra ha pagato per poter assaporare quel momento di "potere" umiliando lo stupratore dell’amica Nina è davvero troppo alto, è davvero ingiusto. Ad emergere anche qui non è tanto la brutalità al femminile diretta all’ottenimento di una supremazia effimera sul maschio, quanto l’effetto irritante di una comunità di uomini e donne complici profondamente insulsa e retrograda pronta a darsi sostegno pur di negare dignità. Il corpo ubriaco di Cassandra non è altro che un corpo ancora più seducente, quasi stregato, nella sua passività e sottomissione, un semplice oggetto del desiderio da possedere e ancora più desiderabile proprio in quanto indifeso per l’alto tasso alcolemico di cui il suo sangue è impregnato (un ubriachezza simulata, ovviamente, ma questo il predatore non lo sa).
La Fennell tuttavia mi sembra meno pessimista, meno nichilista, di Peckinpah. Di sicuro nessuno si sognerebbe oggi di darle della fascista come invece a suo tempo è stato insinuato di Peckinpah. Verosimilmente non si guarda all’universo femminile con lo stesso pieno pessimismo non fosse altro perché esistono sempre diversi gradi di colpevolezza e le colpe femminili non possono essere equiparate in quanto a gravità a quelle maschili.
Tuttavia, anche nel film della Fennel ci sembra di navigare a vista in un mare di impulsi primitivi.
Cassandra è isolata dal resto del mondo. Non ha amici, non ha un partner, non ha nemmeno sentimenti forse come paventa sua madre. In questo senso, appare come una figura primitiva, un elemento estraneo, e perciò stesso disturbante perché percepito come strano, insolito, lontano. Mostra un disprezzo generalizzato, completamente asociale, verso ogni essere umano che non sia la madre di Nina o la sua datrice di lavoro, refrattaria verso qualsiasi manifestazione di carnalità. Non è tanto provocante nemmeno quando si traveste da infermiera sexy, ma è così che dobbiamo percepirla perché qualunque forma di sensualità Cassandra la considera una manifestazione di morbosità inaccettabile, almeno fino a quando non incontra il suo ex compagno di università che però fatalmente si rivelerà deludente in quanto anche lui si limitò ad assistere allo stupro di Nina senza fare obiezione alcuna.
Anche qui per reagire alla privazione della dignità non resta che rispondere o con una qualche forma di violenza seppure in parte sublimata o con la morte. La fine della protagonista soffocata da un cuscino non si può definire esattamente un suicidio, ma un atto di autolesionismo differito forse sì. Comunque sia la morte sembra il destino di tutti coloro che si sentono obbligati ad esercitare la vendetta o comunque una qualche forma di violenza a titolo di risarcimento.
Anche qui in qualche modo il Sogno Americano e i suoi scintillanti presupposti giungono al capolinea. Si ripropone l’ultimo stadio e fatiscente di un modello culturale ormai moribondo per molti versi.
- Nina ci manca. Anche tu Cassandra ci sei mancata - e ci dispiace molto che non ritornerai più.
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massimiliano santucci
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domenica 4 luglio 2021
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nome di sventura: cassandra
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Forse non ho letto recensioni a sufficienza ma mi piace pensare di aver colto nel nome della protagonista, Cassandra detta Cassie, la versione moderna della profetessa di sventure non credute nell'Iliade (e come lei vittima della congiura vaticinata).
Nella prima prova da regista, la britannica Fennel, che cavalca con tempismo un tema di attualità giustamente scottante, (lo stupro e tutte le sue implicazioni sociali) affida alla coetanea e compaesana Mulligan un personaggio cangiante che quest'ultima interpreta alla perfezione, un'altalena continua tra forza e debolezza, cinismo e compassione, amore e morte.
Il plot, di struttura tradizionale, tiene incollati allo schermo.
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Forse non ho letto recensioni a sufficienza ma mi piace pensare di aver colto nel nome della protagonista, Cassandra detta Cassie, la versione moderna della profetessa di sventure non credute nell'Iliade (e come lei vittima della congiura vaticinata).
Nella prima prova da regista, la britannica Fennel, che cavalca con tempismo un tema di attualità giustamente scottante, (lo stupro e tutte le sue implicazioni sociali) affida alla coetanea e compaesana Mulligan un personaggio cangiante che quest'ultima interpreta alla perfezione, un'altalena continua tra forza e debolezza, cinismo e compassione, amore e morte.
Il plot, di struttura tradizionale, tiene incollati allo schermo. E' un film spiazzante, controverso, un pugno allo stomaco in grado di costringere a riflessioni e giudizi, sui personaggi così come sulla propria vita o sui fatti di cronaca. Lo sguardo del regista non lascia dubbi: nessuno è assolto, nemmeno i genitori della protagonista, che, interrogati sulla sua scomparsa non fanno che avallare, come il di lei fidanzato (e mancato redentore) il legittimo dubbio che si possa essere trattato di suicidio o di fuga causata da instabilità psichica.
Un personaggio difficile da amare quello di Cassie, per l'univocità autodistruttiva della sua missione: vendicare la memoria dell'amica di infanzia Nina Fischer, stuprata durante una festa da un fino all'ultimo minuto impunito compagno di facoltà, ora prossimo al matrimonio e con un'avviata carriera di medico.
La regista e sceneggiatrice gioca con il nostro cuore e fa sì che anche l'ultimo barlume di speranza, l'amore che ad un certo punto rientra nella vita di _Cassie per portarsi via i fantasmi del passato e la sete di vendetta (così si spera), viene spazzato via senza pietà. L'equilibrio di giudizio dello spettatore si ristabilisce soltanto alla fine, quando, come si conviene in un film già abbastanza provante, giustizia è fatta, anche se a caro prezzo.
Se non fosse per l'abuso di alcol (tra ragazze e ragazzi), mostrato come normale anche tra brillanti studenti di medicina (e che NON DEVE e NON PUO' essere causa di stupro), consiglierei la visione di questo filme nelle scuole, a partire dai 16 anni di età.
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felicity
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martedì 19 ottobre 2021
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#metoo nel suo testo più esaustivo
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Una donna promettente è un film trasparente. È un film su una ragazza che è stata violentata al college, e su un’altra che viene abbordata ogni volta che si ritrova ubriaca marcia in un club. Non è una metafora della cultura dello stupro, non è una sottile allegoria della misogina latente nella società patriarcale. Non c’è nulla da leggere in filigrana o tra le righe, nulla che non venga detto apertamente, manifestamente, ad alta voce. Nulla che venga tralasciato: nel corso dei 113 minuti che compongono il film, la regista e sceneggiatrice Emerald Fennell stila una lista di ogni possibile comportamento sessista, esplicitamente predatorio o sottilmente tossico.
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Una donna promettente è un film trasparente. È un film su una ragazza che è stata violentata al college, e su un’altra che viene abbordata ogni volta che si ritrova ubriaca marcia in un club. Non è una metafora della cultura dello stupro, non è una sottile allegoria della misogina latente nella società patriarcale. Non c’è nulla da leggere in filigrana o tra le righe, nulla che non venga detto apertamente, manifestamente, ad alta voce. Nulla che venga tralasciato: nel corso dei 113 minuti che compongono il film, la regista e sceneggiatrice Emerald Fennell stila una lista di ogni possibile comportamento sessista, esplicitamente predatorio o sottilmente tossico. Per chi lamenta che, causa egemonia del politicamente corretto, «non si può più fare o dire niente», Una donna promettente è persino un praticissimo breviario: nel dubbio, non fate come i nemici di Cassie (vale a dire - ovviamente - non insabbiate gli stupri, non giustificatene i perpetratori e non colpevolizzatene le vittime, ma anche - e questo è meno ovvio, a quanto pare - non fate catcalling, mansplaining).
È un film didascalico, Una donna promettente, tanto didascalico da rasentare la pedanteria: ma proprio per questo è il film del #MeToo, il suo testo più esaustivo ed esemplificativo. Se è incendiario, divisivo e ideologicamente problematico (o se come tale viene percepito) non è che per riflesso del movimento stesso (ma quanto alle ombre del #MeToo, e alle sue derive giustizialiste, Fennell è chiarissima: «innocente fino a prova contraria», certo, ma nulla mi impedisce di portare avanti la mia personale crociata, se la massima punizione inflitta è un bello spavento).
Ma come si traduce per immagini questo spavento? In un film tutto assorbito dal suo “messaggio”, è sul versante della forma che Fennell gioca la sua partita più complessa. Ed è qui che Una donna promettente si apre, comincia a problematizzare, si mette a pensare. Perché Cassie, nella vita di tutti i giorni, si veste come una bomboniera ambulante? Perché quel tripudio di pizzi e fiocchetti? Perché la fotografia stucchevole, gli interni leziosi, le unghie pittate di colori pastello? Perché non un thriller con un’estetica da thriller, e per protagonista una giustiziera dark e cazzuta? L’apparato formale dispiegato da Fennell ci mette in una posizione scomoda: possiamo tollerare di parlare di stupri e di abusi, ma non immersi in un immaginario da chick flick anni Duemila.
Ad un certo punto, prima della resa dei conti finale, Fennell piazza un momento rivelatore: mentre Cassie cammina verso il suo destino, travestita da infermiera sexy (ma pare più Harley Quinn, e pure su questo bisognerebbe ragionare…), in sottofondo sentiamo corde tese di violini. Segnale codificato di suspense, paura, pericolo imminente. Solo che la melodia non è di Bernard Hermann, ma di Britney Spears. Stiamo ascoltando un arrangiamento di Toxic. Di un ritornello stupido, di una hit usa e getta. Chi ci ha mai fatto caso al testo di Toxic? Eppure dice testualmente: «A guy like you should wear a warning», e ancora: «You’re toxic, I’m slippin’ under». Le parole erano queste pure nella versione ballabile e canterina: solo, non ci eravamo mai fermati ad ascoltarle.
Per Fennell le premesse della tragedia stanno già tutte già lì: nei lucidalabbra colorati, nelle canzonette pop, nelle rom com (e d’altronde Una donna promettente, che guarda caso finisce con un matrimonio, non è forse una commedia romantica al rovescio?). Non ha bisogno di riletture, Fennell, per chiudere il suo teorema: niente capriole iconografiche, niente cervellotici sovvertimenti dei codici. Le metastasi del sistema sono ben radicate anche in tutto ciò che è liquidato come “roba da femmine”.
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paolp78
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sabato 2 novembre 2024
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amaro e sognatore
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Opera prima della regista britannica Emerald Fennell; si tratta di una pellicola molto ideologizzata, che ha ad oggetto la violenza di genere, tematica attualissima e sempre più al centro del dibattito pubblico soprattutto negli Stati Uniti con il movimento Me Too, pienamente in voga nel periodo di uscita del film.
La parte più originale dell’opera è senz’altro la sceneggiatura, scritta dalla stessa Fennell e premiata con l’Oscar. Si tratta di una sceneggiatura sicuramente visionaria e geniale, che colpisce molto, ma che presenta anche delle criticità, come la scarsa verosimiglianza di alcuni elementi.
I dialoghi scontano anch’essi una scrittura immatura che li rende effettivamente poco credibili ed infantili.
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Opera prima della regista britannica Emerald Fennell; si tratta di una pellicola molto ideologizzata, che ha ad oggetto la violenza di genere, tematica attualissima e sempre più al centro del dibattito pubblico soprattutto negli Stati Uniti con il movimento Me Too, pienamente in voga nel periodo di uscita del film.
La parte più originale dell’opera è senz’altro la sceneggiatura, scritta dalla stessa Fennell e premiata con l’Oscar. Si tratta di una sceneggiatura sicuramente visionaria e geniale, che colpisce molto, ma che presenta anche delle criticità, come la scarsa verosimiglianza di alcuni elementi.
I dialoghi scontano anch’essi una scrittura immatura che li rende effettivamente poco credibili ed infantili.
Il drammatico sviluppo finale caratterizza fortemente il film: sicuramente buona parte del pubblico viene lasciata con una bella dose di amaro in bocca, ma un tale risvolto funziona per una certa critica, che lo utilizza per ammantare di solennità l’intera opera, consentendone la trasformazione da farsa in tragedia. In realtà il valore artistico dell’epilogo e dell’intera pellicola è discutibile; non pare che l’opera acquisisca quei tratti di compiutezza e maturità, bensì resta invece evidente una connotazione sognatrice, infantile ed utopistica.
Molto intrigante la protagonista, ben interpretata da Carey Mulligan, attrice di sicuro talento che riesce a conferire il giusto carattere al personaggio ricorrendo ad un’interpretazione misurata, ma al contempo che punta molto sull’espressività e sull’indagine introspettiva.
Il cast non prevede altri attori celebri nelle parti più importanti, bensì soltanto alcuni bravi caratteristi in dei ruoli secondari, come quello dei genitori della protagonista, ricoperto da Jennifer Coolidge e da Clancy Brown, il cattivo di tante celebri pellicole degli anni ’80 e ’90; si ricorda anche Alfred Molina anch’egli relegato in un ruolo minore.
Nel finale c’è un ultimo colpo di scena, forse un po’ cervellotico, ma comunque necessario per attenuare lo scoramento del pubblico per i precedenti risvolti della storia.
Sicuramente buona la prova della Fennell dietro a macchina da prese, tanto da meritarsi una candidatura agli Oscar.
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maramaldo
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domenica 11 luglio 2021
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Risonanze problematiche. Ambiguità che vengono da chissà quali ispirazioni recondite e inconfessate. Una Donna Promettente ha suscitato un turbinio di ragionamenti e qualche malumore. Abbozzai qualcosa di leggerino e fatuo perchè, francamente, mi dispiaceva far perdere un lavoro che mi era piaciuto non perdere, per i motivi buoni e cattivi che potete intuire. Poi ho capito che per capire dovevo chiedere lumi, confrontarmi con viste più acute, confortarmi con opinioni più profonde.
E così, caro Alessandro Spata, mi sono immerso anche nella tua disanima. Vorrei, però. tornare a riva, in "superficie" mi trovo più a mio agio.
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Risonanze problematiche. Ambiguità che vengono da chissà quali ispirazioni recondite e inconfessate. Una Donna Promettente ha suscitato un turbinio di ragionamenti e qualche malumore. Abbozzai qualcosa di leggerino e fatuo perchè, francamente, mi dispiaceva far perdere un lavoro che mi era piaciuto non perdere, per i motivi buoni e cattivi che potete intuire. Poi ho capito che per capire dovevo chiedere lumi, confrontarmi con viste più acute, confortarmi con opinioni più profonde.
E così, caro Alessandro Spata, mi sono immerso anche nella tua disanima. Vorrei, però. tornare a riva, in "superficie" mi trovo più a mio agio. Mi sono chiesto chi sono, e se ci sono, i veri cattivi. Il "sistema" con quella "cultura"? Gli stupratorelli vigliacchetti? Certo, non la Cassie, poverina, che ha pagato caro quel suo vezzo di voler castrare, più che comprensibile.
Consultando, ho preso coscienza di cose che mi sarebbero sfuggite. Per es., (eri tu?) qualcuno mi ha spiegato che le "vendette" delle Cassie si apparentano con le rivalse delle insidiate di #Metoo.
Importante la connessione con l'attualità, anche la nostra. La "Giustizia Denegata" ad una poveretta che non resse l'oltraggio e l'umiliazione è un riverbero di un'infamia colossale che investe, dappertutto, vittime di ogni genere di stupro.
La puntigliosa contestualizzazione non mi persuade. La si vuol far passare per emblematica dell'ambiente descritto nel film. Ritengo abusivamente. In materia , negli USA si procede a punizioni con una tempestività che ci sogniamo. Inconcepibile, poi, la severità. Pensa, quando un'intraprendente cameriera d'albergo montò un'avventurosa accusa che fece mettere agli arresti uno degli uomini più influenti del pianeta. Non parlo dei 100 anni comminati a Polanski.
Che dici, Ale, ci diamo un taglio con un happy end?
Cassie, o chi per lei, desiderava, sognava qualcos'altro per sè e le sue compagne. Illusioni d'amore, delicatezza, leggiadria, perfino permettersi ingenuità, non sempre consigliabile ma che rimane sempre un tocco di "classe".
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giovedì 15 luglio 2021
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bella recensione, ora facciamo un esperimento mentale
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Invertiamo i ruoli.
Un uomo qualunque, un architetto, diciamo, dedito alla famiglia, che lavora dalla mattina alla sera, che ama i suoi figli, a un certo punto si ritrova la moglie che chiede il divorzio, perché guadagna più di lui (in caso non lo sapessi, negli USA il 90% dei matrimoni dove la donna guadagna più dell'uomo finisce in divorzio... per richiesta della donna, ah quanto amor!). Comunque la ex signora, davanti a un giudice condiscendente e femminista, riesce prendergli praticamente tutto: la casa, e l'80% dello stipendio, visto che il giudice le assegna anche i due figli (anche qui, nella stragrande maggioranza dei casi, i giudici pendono dal lato della donna, e con i figli va anche l'assegno di mantenimento).
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Invertiamo i ruoli.
Un uomo qualunque, un architetto, diciamo, dedito alla famiglia, che lavora dalla mattina alla sera, che ama i suoi figli, a un certo punto si ritrova la moglie che chiede il divorzio, perché guadagna più di lui (in caso non lo sapessi, negli USA il 90% dei matrimoni dove la donna guadagna più dell'uomo finisce in divorzio... per richiesta della donna, ah quanto amor!). Comunque la ex signora, davanti a un giudice condiscendente e femminista, riesce prendergli praticamente tutto: la casa, e l'80% dello stipendio, visto che il giudice le assegna anche i due figli (anche qui, nella stragrande maggioranza dei casi, i giudici pendono dal lato della donna, e con i figli va anche l'assegno di mantenimento). Naturalmente, la donna si sta già godendo sesso sfrenato da anni con un altro uomo, ma il nostro protagonista non ha modo di provarlo senza infrangere le innumerrevoli leggi di protezione della privacy. Si ritrova così con le mani legate, la vita distrutta e nessuna voglia di ricominciare. Per questo il suo obiettivo da quel momento in poi sarà mancare di rispetto alle donne e goderne solo l'aspetto fisico. Da quel momento farà figurare di essere ricco e inventerà un ruolo misterioso e affascinante con ogni donna per portarsela a letto. Alla fine, una di queste gold digger riesce a rintracciarlo e gli tende una trappola. Riesce ad ammaliarlo e a farsi portare in hotel, dove lo droga, con il progetto di tagliargli il pene. Il nostro però non è scemo, ed evita la trappola. Alla fine, scena madre: la lega al letto e le dà un paio di schiaffi, belli forti, chiamandola, giustamente, zoccola. "Siete tutte zoccole", dice. Poi prende e se ne va.
Ecco, questa credo sia una sinossi abbastanza fedele come specchio di UNA DONNA PROMETTENTE. L'unica differenza è quella, ovvia (per chi ha un cervello), che la violenza è psicologica e non fisica. L'uomo ha infatti questa "facilitazione" della forza fisica, e quindi la donna come risorsa ha quella della violenza psicologica, del raggiro.
Se hai provato schifo per il soggetto maschile in questione, chiediti come mai invece non hai provato schifo per la donna promettente. Siamo in un'epoca di due pesi e due misure tremenda, dove si giunge a dire, anche con film come questi, che tutti i maschi sono potenziali stupratori, tutti d'accordo, tutti indecenti. La cosa naturalmente è un insulto, come è un insulto dire che le donne sono tutte zoccole. Solo che la prima cosa è consentita, la seconda no.
Viviamo nell'epoca del "ragiona col quore", il che inevitabilmente porta a scelte e considerazioni dementi (da de-mente, ovvero senza mente, ovvero col Quore, che però è più poeticoh!) Oh ma quanto è poetica una squilibrata che shockata dalla morte di un'amica diventa psicopatica! E quanto è poetico che una regista metta sul grande schermo l'idea che tutti gli uomini siano schifosi e stupratori. Complimenti a tutti!
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[+] delirio
(di valentina allavevena)
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jonnylogan
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giovedì 15 aprile 2021
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v per vendetta
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Cassie è una trentenne commessa in un bar, con un brillante passato da studentessa di medicina, nulla nella sua vita pare essere come sembra e tutti i problemi personali che sta affrontando sono riconducibili alla sua esperienza universitaria e a Nina, sua amica d’infanzia e compagna di college la cui assenza le ha lasciato cicatrici profonde come solchi.
Una doppia vita come quelle che leggiamo nei tabloid e nelle pagine di cronaca, questa la peculiarità più evidente di Cassie Thomas, una Carey Mulligan abile nei cambi di umore e nel caratterizzare ‘una ragazza della porta accanto’, ovvero la donna dal futuro promettente del titolo che d’improvviso ha deciso di lasciare studi e sogni di gloria in memoria di Nina, amica fraterna impalpabile in termini di presenza scenica ma che l’accompagna grazie a parole, ricordi e incontri serali, già perchè sotto l’aurea di una ragazza come tante, in bilico fra l’adolescenza e l’età adulta, Cassie cela una personalità profondamente vendicativa nei confronti di qualunque esemplare del genere maschile dal quale si fa adescare fingendosi ubriaca per poi gelarlo sorprendendolo quando le sue intenzioni divengono nettamente più esplicite.
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Cassie è una trentenne commessa in un bar, con un brillante passato da studentessa di medicina, nulla nella sua vita pare essere come sembra e tutti i problemi personali che sta affrontando sono riconducibili alla sua esperienza universitaria e a Nina, sua amica d’infanzia e compagna di college la cui assenza le ha lasciato cicatrici profonde come solchi.
Una doppia vita come quelle che leggiamo nei tabloid e nelle pagine di cronaca, questa la peculiarità più evidente di Cassie Thomas, una Carey Mulligan abile nei cambi di umore e nel caratterizzare ‘una ragazza della porta accanto’, ovvero la donna dal futuro promettente del titolo che d’improvviso ha deciso di lasciare studi e sogni di gloria in memoria di Nina, amica fraterna impalpabile in termini di presenza scenica ma che l’accompagna grazie a parole, ricordi e incontri serali, già perchè sotto l’aurea di una ragazza come tante, in bilico fra l’adolescenza e l’età adulta, Cassie cela una personalità profondamente vendicativa nei confronti di qualunque esemplare del genere maschile dal quale si fa adescare fingendosi ubriaca per poi gelarlo sorprendendolo quando le sue intenzioni divengono nettamente più esplicite.
In un vortice di anormalità in cui la vita della protagonista preccupa e non poco i genitori, membri silenti della middle class, saranno i colpi di scena. L’insana voglia di vendetta di Cassie. L’arrivo di un vecchio compagno di college con il quale, forse, costruire una vita assieme e dimenticarsi il passato, che portano la pellicola diretta dall’attrice e sceneggiatrice britannica Emerald Fennell, potagonista del serial The Crown e co - autrice di The Killing Eve, serial di successo giunto alla terza stagione, a rappresentare a tinte profondamente dark la cultura della stupro come forma di dominio maschile e tacitamente accettata da chiunque. Tema scottante e di stretta attualità declinato in un perfetto mix di follia e risate a denti stretti che a fine aprile potrebbe permettere a Carey Mulligan di stringere meritatamente la statuetta di migliore attrice dell’orbe.
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