Al 38° Torino Film Festival un ritratto privato e collettivo di due ragazze nel periodo della pubertà.
di Marianna Cappi
Celia ha dodici anni e studia in una scuola femminile religiosa a Saragozza. Vive sola con la madre e del padre sa poco e nulla, solo che è morto prima che lei nascesse, o così le hanno detto. L'arrivo nella sua classe di una nuova compagna, Brisa, da Barcellona, inaugura una stagione di nuove scoperte e vecchi e nuovi turbamenti. Come la Spagna del 1992, e come molte ragazze cresciute in quegli anni, Celia è divisa tra un'infanzia votata all'obbedienza alla madre e ai dettami della religione e uno stile di vita più emancipato e apparentemente ribelle, ma anche più sincero.
Questo trovarsi in un luogo e in un tempo di passaggio, in una contraddizione vivente, la regista aragonese Pilar Palomero lo illustra alla perfezione, quasi pedissequamente: da un lato il cucito in classe, la cameretta di Celia con i giochi da bambina, Dio che esiste "perché sì", il cineforum con l'immancabile Marcellino pane e vino, e dall'altro il primo rossetto, la musicassette, la giacca di jeans e la scoperta fortuita dei preservativi dei genitori.