Titolo originale | The Queen's Gambit |
Anno | 2020 |
Genere | Drammatico |
Produzione | USA |
Regia di | Scott Frank |
Attori | Anya Taylor-Joy, Harry Melling, Chloe Pirrie, Marielle Heller, Marcin Dorocinski Patrick Kennedy (II), Rebecca Root, Millie Brady, Michel Diercks, Murat Dikenci, Rebecca Dyson-Smith, John Hollingworth, Tim Kalkhof, Steffen Mennekes, Alberto Ruano, Julia Schneider, John Schwab, Ricky Watson, Bill Camp. |
Tag | Da vedere 2020 |
MYmonetro | 3,90 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 2 marzo 2021
Una ragazzina orfana trova conforto nel gioco degli scacchi. Piano piano la situazione cambia radicalmente. Ha vinto 2 Golden Globes, La serie ha ottenuto 2 candidature a Satellite Awards, 3 candidature e vinto 2 Critics Choice Award, 2 candidature e vinto un premio ai SAG Awards, ha vinto un premio ai Writers Guild Awards, ha vinto un premio ai Directors Guild, ha vinto un premio ai CDG Awards, ha vinto un premio ai Producers Guild, La serie è stato premiato a AFI Awards, ha vinto un premio ai ADG Awards,
ASSOLUTAMENTE SÌ
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Stati Uniti, anni '50. La piccola Beth Harmonsi ritrova confinata in un orfanatrofio e individua come unica via di fuga dalla realtà il gioco degli scacchi, che le viene insegnato da un inserviente dell'istituto. Scopre così un talento prodigioso per un gioco solitamente riservato agli uomini, e a poco a poco si afferma in quel mondo esclusivo ed escludente diventandone una regina cui tutti si vedono spinti (spesso di buon grado) a sottomettersi. Ma i successi sulla scacchiera non risparmiano a Beth la necessità di combattere contro i propri demoni interiori e contro una società ancora poco avvezza a vedere una donna ai posti di comando.
La regina degli scacchi è l'adattamento, filologicamente e linguisticamente molto rispettoso, di Scott Frank del romanzo omonimo di Walter Tevis, pubblicato per la prima volta nel 1983: ma la tempistica nel trasformarlo in una serie televisiva nel 2020 non poteva essere più azzeccata, non solo perché vede al centro un gioco che ben si adatta ad una situazione di confino come quella ingenerata dalla pandemia, ma anche perché la sua protagonista è un'eroina sui generis, in grado di affermarsi in un mondo di uomini sulla forza pura e non edulcorata del suo talento intellettivo.
Per Anya Taylor-Joy quella dell'insolita eroina di La regina degli scacchi è un'interpretazione spartiacque, che giustamente le ha regalato una notorietà planetaria. La sua Beth Harmon è un alieno sceso dallo spazio e calato in un'America ancora profondamente conservatrice, e la presenza magnetica della giovane attrice, costantemente al centro di ogni scena, fa il paio con la valenza ipnotica delle scenografie raffinate e curatissime del production designer tedesco Uli Hanisch con l'art director Kai Koch e la set decorator Sabine Schaaf, che da un lato rievocano un'epoca di perfezione formale e segreti celati alla vista, dall'altro aggiornano sottilmente le ricostruzioni alle sensibilità estetiche del presente e alla necessità di percepire la dark side sotto la glassa esteriore.
Anche la fotografia di Steven Meizler fa leva su una qualità ingannevole che staglia Beth contro il suo presente geometrico, ma distorce tutto ciò che lo circonda in funzione dei suoi mutevoli stati d'animo.
La popolarità che la serie ha istantaneamente regalato al gioco degli scacchi, crudele nelle intenzioni ma democratico nella sua capacità di premiare il talento, fa il paio con la capacità di demolire in un solo gesto artistico quel pregiudizio radicato che voleva le donne poco portate per l'agone scacchistico. Beth non può essere messa in un angolo, e la sua visioneiperrazionale della vita la vede trionfare sugli avversari e sulle avversità.
Certo, la determinazione da killer della scacchiera è anche ciò che le impedisce di fare i conti con le motivazioni nascoste del suo carattere spigoloso. E Taylor-Joy è maestra (anzi, Grande Maestra, secondo la terminologia scacchistica) nel rimanere un mistero dalla prima all'ultima inquadratura che la riguarda.
Ma La regina degli scacchi ha il buon senso di dare spazio a molti altri pezzi della scacchiera: dall'inserviente che insegna a Beth a giocare alla madre adottiva che, a differenza di Beth, non è in grado di opporsi alle discriminazioni dell'epoca nei confronti di una donna creativa e indipendente, ai suoi rivali di gioco, soprattutto il "cowboy" Benny Watts, che credono di potersela "mettere in tasca" (o rimetterla al suo posto, o trattenerla nel loro letto) e invece scoprono che non c'è avversario più temibile di una ragazza capace e ostinata.
La sceneggiatura e la direzione di Scott Frank, già premio Oscar per i copioni di Out of Sight e Logan, lavora costantemente in levare creando scene rarefatte ed essenziali, e il produttore e cocreatore della serie è quell'Alan Scott che ha esordito come sceneggiatore con A Venezia... un dicembre rosso shocking, continuando a collaborare con Nicholas Roeg per altri quattro film: a proposito di originalità di visione.
La regina degli scacchi ha il grande merito di rendere irresistibile la visione di un gioco che il cinema ha finora raccontato con impaccio, e di creare un nuovo genere di protagonista: bellissima ma poco interessata a fare leva sulla sua avvenenza (e però attenta al proprio look, e la costumista Gabriele Binder fa di lei un'icona di stile); spietata sulla scacchiera ma capace di inattesi gesti di misericordia; poco materialista ma abilissima nel farsi ricompensare adeguatamente per le sue capacità; algida nelle decisioni strategiche ma passionale in quelle sentimentali: che tuttavia non condizionano mai il suo desiderio e la sua capacità di vincere, in barba alla vulgata per cui il tallone d'Achille di ogni donna è il suo cuore.
Mettiamo da parte la protagonista, la giovane Elizabeth: le donne sono sole. Donne suicide, donne che nascondono le bottiglie d'alcool nel passeggino dei figli o che sono dipendenti dai tranquillanti. La via di Elizabeth, nonostante il suo grande talento, non sembra affatto diversa da quella di sua madre, della sua madre adottiva o delle compagne di scuola.
Una produzione interessante: miniserie con struttura cinematografica, cattura dalla seconda puntata e obbliga lo spettatore ad arrivare alla fine tutto d'un fiato. Non c'è da strapparsi i capelli, non è il capolavoro a cui molti gridano, tuttavia dalla sua parte ha il non seguire il nuovo filone di prodotti incentrati su minoranze, in questo caso una donna che eccelle in un campo [...] Vai alla recensione »
Usualmente odio con tutte le mie forze i titoli che sono ambientati negli anni '60 del 900.Vedo queste ricostruzioni degli "anni d'oro" e mi parte subito un prurito in tutto il corpo. Allergia in particolare alle ricostruzioni degli Stati Uniti di quell'epoca, agli occhiali con la montatura estremamente spessa che intristiscono immediatamente la faccia di chiunque.
Usualmente odio con tutte le mie forze i titoli che sono ambientati negli anni '60 del 900.Vedo queste ricostruzioni degli "anni d'oro" e mi parte subito un prurito in tutto il corpo. Allergia in particolare alle ricostruzioni degli Stati Uniti di quell'epoca, agli occhiali con la montatura estremamente spessa che intristiscono immediatamente la faccia di chiunque.