filippo_24
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martedì 28 aprile 2020
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un favino da oscar riesuma craxi nell'universo parallelo di amelio
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Ormai debilitato e rifugiato ad Hammamet, l'uomo più ambiguo della storia parlamentare italiana trascorrere i suoi ultimi giorni facendo i conti con sé stesso e con i propri demoni, in una rappresentazione molto romanzata e poco convincente che chiede a gran voce di essere applaudita e si aggrappa ad un meraviglioso Favino per trovare una propria ragion d'essere. Il film rivisita un attempato Craxi in procinto di passare a miglior vita, narrando una storia quasi totalmente soggettiva e che non trova nessuno sviluppo decisivo ai fini della trama e dell'evolversi stesso delle situazioni. È difficile raccontare Craxi super partes poiché si scade sempre nell'uno o nell'altro eccesso, definendolo talora martire, talora assassino della Repubblica.
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Ormai debilitato e rifugiato ad Hammamet, l'uomo più ambiguo della storia parlamentare italiana trascorrere i suoi ultimi giorni facendo i conti con sé stesso e con i propri demoni, in una rappresentazione molto romanzata e poco convincente che chiede a gran voce di essere applaudita e si aggrappa ad un meraviglioso Favino per trovare una propria ragion d'essere. Il film rivisita un attempato Craxi in procinto di passare a miglior vita, narrando una storia quasi totalmente soggettiva e che non trova nessuno sviluppo decisivo ai fini della trama e dell'evolversi stesso delle situazioni. È difficile raccontare Craxi super partes poiché si scade sempre nell'uno o nell'altro eccesso, definendolo talora martire, talora assassino della Repubblica. Qui il problema non si pone poiché vengono trascurate totalmente le vicende processuali e politiche del defunto ex premier, tirandole semmai fuori sporadicamente in occasione di incontri con vecchi amici di Parlamento o di monologhi ripresi in videocamera che si sforzano di dare un'aura di importanza alla verità (solo parzialmente svelata) di Amelio piuttosto che di Craxi. Pierfrancesco Favino, coadiuvato da un trucco ai limiti dell'eccellenza e da una maestria nell'imitazione che lo rende più Craxi di Craxi, sfodera probabilmente la miglior prestazione della sua già ricca carriera cinematografica, che sembra però quasi sprecarsi per rincorrere uno svolgimento incerto, confusionario e a tratti grottesco (è meglio dimenticare i quindici minuti di "gloria" di Claudia Gerini, totalmente inutile e fuori luogo). Craxi è vecchio e tormentato da drammi che non riusciamo a comprendere umanamente ma soltanto storicamente per la conoscenza diretta delle vicende di Tangentopoli, alle quali comunque Amelio non dà nessuna valenza particolare e dunque rende la narrazione esclusivamente incentrata sulle cronache di Reggia Craxi e dei suoi inquilini, tra bambini che sparano con fucili di legno e figli di vecchi amici che si presentano da giustizieri e finiscono per diventare biografi personali. Il film di per sé non gira, è lento e senza idee (se non per la trovata del sogno-incontro tra Bettino e il padre), e questo ci porta a pensare che il brutto difetto di associare la pesantezza alla riflessione nei film che vorrebbero essere umanamente e politicamente impegnati è dilagante ed inarrestabile; tant'è che la consegna finale della cassetta delle "confessioni di Bettino" nelle mani di Anita Craxi (nome di fantasia per la figlia, che rende ancora di più l'idea del romanzesco) sembra quasi essere l'implicita ammissione di colpa di un regista che si è accorto troppo tardi di dover aggiungere del frizzante ad un'opera asciutta, stopposa e quasi priva di un preciso significato politico, umano o di qualsivoglia natura umanistico-sociale. Il film non riesce a catturare, troppo spesso annoia, Amelio però sembra aver iniziato un cammino che, se approfondito e limato a dovere, in futuro gli porterà grandi soddisfazioni.
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fabriziog
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venerdì 10 gennaio 2020
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imperdibile!
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“Hammamet” di Gianni Amelio non è un film. “Hammamet” è il film. Pierfrancesco Favino non è un attore. Pierfrancesco Favino è l’attore. Favino non interpreta Craxi. Favino è Craxi. Favino si indentifica in Craxi e in esso scompare (trucco extra ordinem di Andrea Leanza e Federica Castelli). Il pubblico non osserva un artista che riveste i panni di un personaggio evocandone la corporeità e l’anima, bensì scruta un interprete che si trasforma nel personaggio evaporando in esso.
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“Hammamet” di Gianni Amelio non è un film. “Hammamet” è il film. Pierfrancesco Favino non è un attore. Pierfrancesco Favino è l’attore. Favino non interpreta Craxi. Favino è Craxi. Favino si indentifica in Craxi e in esso scompare (trucco extra ordinem di Andrea Leanza e Federica Castelli). Il pubblico non osserva un artista che riveste i panni di un personaggio evocandone la corporeità e l’anima, bensì scruta un interprete che si trasforma nel personaggio evaporando in esso. Il Giulio Andreotti della pellicola di Paolo Sorrentino “Il divo” è Toni Servillo che rimanda magistralmente all’esponente scudocrociato, ma lo spettatore si ferma ad ammirare il Premio Oscar partenopeo. In “Hammamet” le movenze, l’andamento claudicante, il vezzo di toccarsi spesso gli occhiali rossi, la parlata attenta e pensata, le movenze, la mimica, la gestualità, non ricordano Bettino Craxi ma sono Craxi, un Craxi oramai gravemente diabetico, cardiopatico e malato di tumore in “esilio” ad Hammamet. Il metodo Stanislavskij irrompe prepotentemente sul set, ossia nell’autentica villa tunisina, ben lontana dalle false rappresentazioni compiute dai rabbiosi rotocalchi del tempo.
Storia di tenera e commovente devozione della figlia Stefania (nel film Anita), sul rapporto travagliato con il figlio Bobo, affettuoso con il giovanissimo nipote e fantasioso con il figlio di Vincenzo Balsamo, segretario amministrativo del PSI, invero non morto suicida ma di infarto. Storia di riappropriazione di affetti, come con la moglie, in sempiterna sintonizzazione sui programmi televisivi italiani, e di sentimenti che non si cancellano, come quelli con le amanti.
La narrazione inanella fictio, suggestioni e nascondimenti, ove i personaggi che si susseguono, al pari dei parenti, si intuiscono, non si esplicitano. Lo stesso Craxi è citato con la sigla “C”.
Una coralità di attori di ampio respiro recitativo incollano lo sguardo allo schermo: Livia Rossi, Luca Filippi, Silvia Cohen, Roberto De Francesco, Omero Antonutti, Giuseppe Cederna, Renato Carpentieri, Claudia Gerini.
Una riflessione sulla tragica sorte dei potenti che cadono in disgrazia e che – come è consuetudine in Italia – vedono mutare in forme ectoplasmatiche i leccapiedi del giorno prima.
Un lavoro che dovrebbe indurre a meditare un Popolo in eterna negazione di se stesso: mai stato fascista, mai stato democristiano, mai stato berlusconiano e, probabilmente, mai stato leghista.
Un film sull’amore filiale, sugli inganni del potere e sulla sua caducità, sul senso di onnipotenza che obnubila le menti degli uomini di successo che perdono l’orizzonte dei limiti umani; un film sulla falsità, sulla viltà e sulla slealtà ma anche sugli affetti più autentici che sono quelli familiari, presenti non solo nella luce che svanisce nel crepuscolo.
Nella penombra del racconto v’è un interrogativo e un “memo”: perché non vi sono stati processi, condanne e galera (4000 arresti, 1000 condannati: e i 3000 che si sono fatti la prigione come forma di pressione e, quindi, di tortura?) per gli esponenti del Partito Comunista Italiano percettori per lustri e decenni di immani fondi dal nemico n. 1 dell’Occidente, la tirannica, imperiale e comunista Unione Sovietica? Sotto la Presidenza del Consiglio di Bettino Craxi l’Italia divenne la quinta potenza mondiale.
Buona obbligatoria visione!
Fabrizio Giulimondi
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[+] sotto la presidenza del consiglio di bettino craxi
(di angelo umana)
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onufrio
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mercoledì 15 gennaio 2020
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le mie prigioni
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Amelio ripercorre e reinterpreta liberamente gli ultimi mesi di vita di Bettino Craxi, autoesiliatosi ad Hammamet per evitare le aspre condanne subite dall'Italia. Una visione malinconica, fatta di ricordi, rimpianti ed orgoglio, l'orgoglio ed il carisma del Craxi uomo politico rimasto ancora intatto, ed i momenti di fragilità e della malattia del Bettino uomo. Amelio non dà risposte, nè pretende di farlo, invita però a riflettere, riportando alla luce un personaggio importante e controverso che ha segnato la politica italiana. La recitazione e l'impersonificazione del personaggio da parte di Favino è straordinaria, merito anche del trucco, davvero reale; intorno a lui si muove un cast che non regge il confronto col protagonista principale, ma che trova in personaggi come Renato Carpentieri (Il politico) e Giuseppe Cederna (VIncenzo) valide spalle.
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Amelio ripercorre e reinterpreta liberamente gli ultimi mesi di vita di Bettino Craxi, autoesiliatosi ad Hammamet per evitare le aspre condanne subite dall'Italia. Una visione malinconica, fatta di ricordi, rimpianti ed orgoglio, l'orgoglio ed il carisma del Craxi uomo politico rimasto ancora intatto, ed i momenti di fragilità e della malattia del Bettino uomo. Amelio non dà risposte, nè pretende di farlo, invita però a riflettere, riportando alla luce un personaggio importante e controverso che ha segnato la politica italiana. La recitazione e l'impersonificazione del personaggio da parte di Favino è straordinaria, merito anche del trucco, davvero reale; intorno a lui si muove un cast che non regge il confronto col protagonista principale, ma che trova in personaggi come Renato Carpentieri (Il politico) e Giuseppe Cederna (VIncenzo) valide spalle.
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concettos
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mercoledì 15 gennaio 2020
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un colpo al cerchio e uno alla botte...della stor
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Che “l’affaire” Bettino Craxi fosse un terreno minato Amelio lo sapeva già, così come erano consapevoli tutti quelli che hanno atteso di vedere da quale parte della storia il regista, con il suo Hammamet, ponesse uno dei casi politici più discussi e controversi dell’intera vita della Repubblica Italiana.
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Che “l’affaire” Bettino Craxi fosse un terreno minato Amelio lo sapeva già, così come erano consapevoli tutti quelli che hanno atteso di vedere da quale parte della storia il regista, con il suo Hammamet, ponesse uno dei casi politici più discussi e controversi dell’intera vita della Repubblica Italiana.
Sotto questo punto di vista molti spettatori rimarranno delusi, forse com’è giusto che sia, perché un’arte come il cinema ha il sacrosanto dovere di analizzare, raccontare, far riflettere e poi… eventualmente far emettere la sentenza al solo tribunale riconosciuto: il pubblico. Una personale impronta il regista potrebbe anche lasciarla, ma possibilmente sottotraccia e non certo su una vicenda che, ancora prima della presentazione ufficiale del film, aveva già riaperto ferite mai guarite e che sono tornate a sanguinare tra dubbi e tentativi di revisionismi storici mai andati a buon fine. E su questo Amelio, da navigato circense della macchina da presa qual è, è riuscito a blindarsi sapientemente, con una narrazione tutta umana e impregnata da vizi e virtù in perfetta dicotomia, e distante anni luce, dalla caratura del personaggio e dalle sue vicende politiche. Debolezze umane dove tutti noi possiamo specchiarci e di conseguenza, se posta su questo piano del racconto, siamo costretti a lasciare cadere a terra quella prima pietra che nessuno potrà mai scagliare. Ma non basta, perché c’è dell’altro, come l’inattaccabile vicenda della malattia, inviolabile terreno su cui i giudizi arretrano il passo, e di molto, di fronte alla pietas umana per una sofferenza prima morale e poi fisica. Un lento ripercorsi dentro l’intima sfera dei ricordi dove il male che ti lacera sembrerebbe l’inevitabile legge del contrappasso che non perdona le scelte errate, anche se, in parte, libere scelte non furono. Poi, dentro il film ci può stare (e c’è) anche altro, come le tante affermazioni che ti fanno riflettere, ti inducono a (ri)discutere di tutto e il suo perfetto contrario. A tal proposito, il religioso silenzio della sala strapiena era tangibile testimone invisibile di come, se non ci si annoia (ed è successo a qualche spettatore), il film ti prende, ti trascina in un ginepraio di ricordi imbevuti di colpevoli e innocenti, di un ansioso tintinnio di manette e una fitta pioggia di avvisi di garanzia, arresti e suicidi.
Nonostante ciò, alla consequenziale domanda: fu giusto agire così? quella famosa zona di sicurezza dei giudizi, nel film, è non stata mai valicata. Anzi, ad essere più precisi, mentre l’equa distanza dalla politica, quella sporca delle tangenti, degli illeciti, degli accordi sotto banco, si è provata a mantenerla (forse) con un inattaccabile (nuovamente forse) ““così fan tutti” “quindi ero costretto che anche io facessi così “, non stato evitato del tutto un passo falso come l’interpretazione del caso Sigonella, dove ha fatto capolino un’eccessiva punta di orgoglio italiano che fa a pugni con questo smodato, ricercato, equilibrio da parte del regista.
Una scelta di campo che avrebbe meritato maggiore attenzione nel tratteggiare chi, effettivamente, quella notte sbagliò cosa. Sull’interpretazione di Favino si è certi che è stato detto tutto, una performance riassumibile in quel fiume in piena di giusti consensi provenienti da ogni dove, di fatto è stato così perfetto che, allegoricamente, sembrerebbe che sia stato più il vero Craxi a ispirarsi a Favino che non il contrario. Il finale metafisico lascia non pochi dubbi da interpretare e risolvere, in ogni caso aperto a tutte le ipotesi. Un’affermazione, invece, che dovrebbe rimanere scolpita a futura memoria per il bene di quel poco che rimane del nostro paese, è quella dove si consiglia allo statista di “attendere pazientemente perché tanto l’Italia è un paese di corta memoria”, è vero, non possiamo dargli torto, pertanto non dimentichiamolo mai.
Concetto Sciuto
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eden artemisio
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giovedì 16 gennaio 2020
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hammamet: quando un re non è più un re
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La monarchia, è noto, ha trovato fondamento e linfa vitale nell’investitura divina; e quando l’investitura divina è stata messa in discussione è venuta meno la sua legittimazione. Il resto è conseguenziale. Il potere dei re era originariamente sacro e, in tempi lontani, era anche frequente la figura del re sacerdote. Questo breve richiamo vuole sottolineare che la dedizione di un uomo all’esercizio di una funzione sovrana, la sua consacrazione all’esercizio del potere (l’unto del Signore), lo rende sacro. Il termine sacro, però, senza indugiare troppo sui significati dei termini, può indicare anche, più banalmente, la separazione, la semplice e profana distinzione tra ordinario e straordinario.
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La monarchia, è noto, ha trovato fondamento e linfa vitale nell’investitura divina; e quando l’investitura divina è stata messa in discussione è venuta meno la sua legittimazione. Il resto è conseguenziale. Il potere dei re era originariamente sacro e, in tempi lontani, era anche frequente la figura del re sacerdote. Questo breve richiamo vuole sottolineare che la dedizione di un uomo all’esercizio di una funzione sovrana, la sua consacrazione all’esercizio del potere (l’unto del Signore), lo rende sacro. Il termine sacro, però, senza indugiare troppo sui significati dei termini, può indicare anche, più banalmente, la separazione, la semplice e profana distinzione tra ordinario e straordinario. E’ questo concetto di separazione dall’ordinario che perpetua, in modo latente, l’antica legittimazione divina negli statisti moderni, il potere dei quali deriva invece dalla elettiva volontà popolare.
Quando il livello dell’uomo politico diventa considerevole e lo statista si trova a vivere una quotidianità che diventa eccezionale, la mente dell’uomo può subire una metamorfosi. Cosi, una forte personalità, una fortissima volontà, animata è sostenuta da grandi ideali politici e, più generalmente, umani, può anche ritenere insindacabile ogni suo operato e rivendicare in toto le prerogative sovrane, quelle dei re e pretendere che le sue scelte siano insindacabili, ritenendole giustificate da un fine superiore. Tutto questo può anche essere definito con l’espressione “ragion di Stato”.
Quando una figura carismatica cade in disgrazia e perde il suo potere cosa può accadere?
In realtà la situazione non è dissimile da quella in cui viene tolto il trono ad un re, dalla situazione in cui un re detronizzato vive la sua vita di uomo comune, con la consapevolezza e il rancore causati dalla perdita del potere che non potrà più avere.
In tempi meno recenti, quando era in auge la tragedia, la situazione descritta sarebbe stata terreno fertile per quel genere letterario. Una personalità forte e idolatrata che perde tutto, anche la considerazione del mondo, ricorda il Saul morente dell’Alfieri. Chi legge scusi la citazione, ma rivela tanto e, per questo motivo, voglio qui riportare poche parole suggerite dall’Alfieri: “Eccoti solo, o re; non un ti resta dei tanti amici, o servi tuoi… Veggo, e le spade a mille… - empia Filiste, me troverai, almen da re, qui … morto”
Si può ipotizzare che l’ultimo periodo della vita di Craxi, quello vissuto ad Hammamet, per evitare le conseguenze delle condanne giudiziarie, sia animato da tanti ricordi, rancori e delusioni e ospitato da tanti fantasmi del passato. E’ questo che ho visto nel film di Amelio, interpretato magnificamente da Favino.
Il regista ha più volte ripetuto di non essere interessato a proporre giudizi sullo statista e sull’uomo. Credo che ci sia riuscito. Il pregio più grande di Hammamet è proprio quello di non osare, né pretendere di riscrivere la Storia.
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fabrizio russo
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giovedì 16 gennaio 2020
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film mediocre sorretto da favino
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Il film è incentrato più sul profilo e sul carattere,testardo e mai domo, dell'ex onorevole e capo del PSI italiano in esilio ad Hammamet. Non vi è nessun flashback di rimando alla situazione politica Italiana e nessun accenno al periodo storico.Il film è tedioso, stucchevole ed è retto dal solo e grande Pierfrancesco Favino, iccommensurabile attore(a mio avviso il migliore attore italiano degli ultimi 20 anni ...e son 20 anni che lo dico) che riesce a dare volto e voce (particolare già la sua) a Bettino Craxi. Appare assai fuori luogo,avvolta quasi da aurea mistica,la scena finale in cui il regista fa vedere Craxi che da morto ,finalmente, torna nella sua Milano,laddove,sulle guglie alte del Duomo,passeggia a piedi scalzi( omaggio al collega Bellocchio in Buongiorno notte?) ed incontra il padre.
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Il film è incentrato più sul profilo e sul carattere,testardo e mai domo, dell'ex onorevole e capo del PSI italiano in esilio ad Hammamet. Non vi è nessun flashback di rimando alla situazione politica Italiana e nessun accenno al periodo storico.Il film è tedioso, stucchevole ed è retto dal solo e grande Pierfrancesco Favino, iccommensurabile attore(a mio avviso il migliore attore italiano degli ultimi 20 anni ...e son 20 anni che lo dico) che riesce a dare volto e voce (particolare già la sua) a Bettino Craxi. Appare assai fuori luogo,avvolta quasi da aurea mistica,la scena finale in cui il regista fa vedere Craxi che da morto ,finalmente, torna nella sua Milano,laddove,sulle guglie alte del Duomo,passeggia a piedi scalzi( omaggio al collega Bellocchio in Buongiorno notte?) ed incontra il padre...scontato è poi , come nella maggior parte dei film di Amelio, il rimando al proprio vissuto adolescenziale che è stato privo della figura paterna.
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maramaldo
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domenica 12 gennaio 2020
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politique d'abord
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- ... e se non si fosse circondato... -
- di nani e ballerine! - diranno subito i miei piccoli lettori,
- no, ragazzi, magari si fosse limitato a quelli. Dopo un breve stage nei servizi sociali, sarebbe tornato più baldanzoso di prima a ritentare la scalata alle alture istituzionali.
Questa è politica ma non è il forte di Gianni Amelio e neppure di Pierfrancesco Favino. Quest'ultimo è chiaro. Pur lusingato dall'accostamento non gradisce essere paragonato a Meryl Streep (The Iron Lady) o a Gary Oldman (Darkest Hour), grandi teatranti ma li sa manutengoli sopraffini di ricorrenti mistificazioni. Favino vuole convincerci che quell'agonia l'ha vissuta, sofferta.
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- ... e se non si fosse circondato... -
- di nani e ballerine! - diranno subito i miei piccoli lettori,
- no, ragazzi, magari si fosse limitato a quelli. Dopo un breve stage nei servizi sociali, sarebbe tornato più baldanzoso di prima a ritentare la scalata alle alture istituzionali.
Questa è politica ma non è il forte di Gianni Amelio e neppure di Pierfrancesco Favino. Quest'ultimo è chiaro. Pur lusingato dall'accostamento non gradisce essere paragonato a Meryl Streep (The Iron Lady) o a Gary Oldman (Darkest Hour), grandi teatranti ma li sa manutengoli sopraffini di ricorrenti mistificazioni. Favino vuole convincerci che quell'agonia l'ha vissuta, sofferta. Ha perfino capito l'uomo specializzato com'è in "italiani veri".
Ne è venuto un buon film, coinvolge, commuove, in qualche passaggio lacera. L'episodio di quando "Lui" va a trovare "lei": l'esitazione nel bussare alla porta, l'imbarazzo, lo smarrimento, la voglia di fuggire e di restare in quella stanza. Il viluppo pietoso, materno, amoroso lo tranquillizza, lo consola: capolavoro di Claudia Gerini, ricchezza del nostro cinema.
E allora, politique d'abord? C'entra, Pietro Nenni, l'ultimo socialista, l'imparò in Francia dove fu lasciato scappare, al solito grazie ad una vecchia amicizia fraterna quanto compromettente. A Parigi andate se avete guai con la giustizia. Arrivate vittime perseguitate, ne tornate da liberatori, eroi rivoluzionari. Esempi illustri: Ciù En-Lai, Ho-chi Minh, Khomeyni... Arenarsi - è proprio il caso - su una spiaggia maghrebina fu un errore, l'ultimo ma non il più importante. A questo si allude giochicchiando svagati con le statuine di "Garibaldi", non si dimentica che certa gente ama regolare i conti a suo tempo (ricordate Gheddafi?).
Amelio lascia a ciascuno di voi valutare o rivalutare un personaggio che, non si nega, aveva statura di statista, idee, tempra e volontà. Con questi presupposti gli è andata fin troppo bene. La prassi politica, sappiamo, prevede varie modalità di eliminazione di chi non è gradito a prescindere dal fatto che piaccia al pubblico ovvero sia stato eletto dal popolo. Democrazia, non populismo. Ne derivano anche benemerenze, le cosiddette "pulizie", solo che, avendo trascurato di spargere il detersivo a 360° come suol dirsi (anche il film lo fa presente), non è il caso di vantarsene ancora nei talk show a decenni di distanza.
Finale tristanzuolo. Si parla di una spoglia tomba da cui nei giorni di chiaro si scorge la patria perduta. Byron, Foscolo, Mazzini, se vogliamo anche Garibaldi , l'esilio oculatamente politico redime, purifica, crea eccellenze, esalta.
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elgatoloco
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lunedì 13 gennaio 2020
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amelio e favino ok, più di sempre
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Confesso che i film di Gianni Amelio, finora, m'avevano sempre interessato relativamente, ma questo"Hammamet"che Amelio ha scritto oltre che diretto, quasi interamente da solo, sull'ultimo mezzo anno di vita in Tunisia, di Bettino Craxi, in condizioni che alcuni hanno definito di"fuggitivo", altri di "esiliato"(non mi esprimo, in questa sede), comunque di estrema difficoltà e di condizioni di salute proibitive, senza voler esprimere un giudizio defintivo, appare estreamente significativo. Un fillm storico senza essere direttamente"poltico"(nel senso di partitico), un film che comunque evidenzia alcuni elementi(parte del discroso al congresso del 1989, con rielezione quasi plebiscitaria, la caratterizzazione del"socialismo tricolore", la presa di posizione sulla vexata quaestio dele finanziamente pubblico dei partiti-ide est della politica), battendo invece sulla vicenda umana"in exitu"del leader socialista, tra dolcezza e furore, tra rimpianti e rimorsi o meglio ripensamenti, tra voglia di verità e senso della politica, che impone a anche di tutelare vari "segreti", porta a un film direttamente importante, significativo, capace di"mordere"nel panroama storico-politico italiano e non solo(la vicenda di Craxi rimane sintomatica della"grandezza-debolezza"deelle socialdemcoraziee europee tout court, come ormai ampiamente dimostrato).
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Confesso che i film di Gianni Amelio, finora, m'avevano sempre interessato relativamente, ma questo"Hammamet"che Amelio ha scritto oltre che diretto, quasi interamente da solo, sull'ultimo mezzo anno di vita in Tunisia, di Bettino Craxi, in condizioni che alcuni hanno definito di"fuggitivo", altri di "esiliato"(non mi esprimo, in questa sede), comunque di estrema difficoltà e di condizioni di salute proibitive, senza voler esprimere un giudizio defintivo, appare estreamente significativo. Un fillm storico senza essere direttamente"poltico"(nel senso di partitico), un film che comunque evidenzia alcuni elementi(parte del discroso al congresso del 1989, con rielezione quasi plebiscitaria, la caratterizzazione del"socialismo tricolore", la presa di posizione sulla vexata quaestio dele finanziamente pubblico dei partiti-ide est della politica), battendo invece sulla vicenda umana"in exitu"del leader socialista, tra dolcezza e furore, tra rimpianti e rimorsi o meglio ripensamenti, tra voglia di verità e senso della politica, che impone a anche di tutelare vari "segreti", porta a un film direttamente importante, significativo, capace di"mordere"nel panroama storico-politico italiano e non solo(la vicenda di Craxi rimane sintomatica della"grandezza-debolezza"deelle socialdemcoraziee europee tout court, come ormai ampiamente dimostrato). Da notate che nei titoli di coda non si segnala una consulenza storica, che invece c'è, visto il numero degli archivi consultati(da quello di Lelio Basso alla stessa Fondazione Craxi). Sena dire degli/delle altre interpreti, bravissimi/e da notare l'operazione di immedesimazione totale di Piefrancesco Favino, stile Strasberg-Stanislavskij,dove non è neppur eeccessivo sostenere che Favino diviene Craxi, non lo"fa", Da notare nel sottofinale, a commento della morte dello statista, il siparietto da avanspettacolo sull'onestà o meno del politico, sorta di apologo(irrisolto, se vogliamo)che si inserisce molto bene, mentre rimane volutamente enigmatica la figura del figlio di un collaboratore(meglio dire ex)di Craxi, che finisce in clinica psichiatrica. Non tutto è chiaro nè deve necessariamente esser chiarito ad abundantiam. visto che c'è comunque un grando spazio tra quanto in venti anni dalla morte del leader socialista ad oggi si è chiarito e quanto rimarrà certamente da chiarire .... El Fato
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[+] el gato loco...
(di angelo umana)
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domenico maria
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domenica 19 gennaio 2020
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tutto sarà diverso ma tutto sarà peggiore.
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Dai titoli di coda, in una sala muta di un silenzio claustrale, mi torna a martello in testa la frase che nel "Gattopardo" viscontiano, Don Fabrizio(Lancaster) dice allo speranzoso Chevallier, sceso in Sicilia da Torino per proclamare che la Sicilia è una "parte libera di un libero stato". Quei 15 minuti di conversazione non sono solo il cuore più intimo del film e del suo protagonista, ma continuano a essere lo spettro oscuro della nostra nazione. Quasi 60 anni dopo. Favino mi ha convinto di più quì che non come Buscetta. Ma ritrovo lo stesso "buco" contenutistico. Per eccellente che sia il suo trasformismo attoriale e una grande attendibilità con la "persona" Craxi, come ben dice "giajr", non viene detto nulla di importante di nuovo di inedito, anzi, allo spettatore viene bellamente fatta ingoiare la scena finale dove un molto bravo Luca Filippi, nemico/complice del protagonista(avete notato lo sguardo? Non ricorda il Malcom McDowell di "Arancia Meccanica"?), consegna alla figlia un nastro facendo esplicito riferimento ai segreti più oscuri e indicibili di cui egli stesso è parte(vittima?).
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Dai titoli di coda, in una sala muta di un silenzio claustrale, mi torna a martello in testa la frase che nel "Gattopardo" viscontiano, Don Fabrizio(Lancaster) dice allo speranzoso Chevallier, sceso in Sicilia da Torino per proclamare che la Sicilia è una "parte libera di un libero stato". Quei 15 minuti di conversazione non sono solo il cuore più intimo del film e del suo protagonista, ma continuano a essere lo spettro oscuro della nostra nazione. Quasi 60 anni dopo. Favino mi ha convinto di più quì che non come Buscetta. Ma ritrovo lo stesso "buco" contenutistico. Per eccellente che sia il suo trasformismo attoriale e una grande attendibilità con la "persona" Craxi, come ben dice "giajr", non viene detto nulla di importante di nuovo di inedito, anzi, allo spettatore viene bellamente fatta ingoiare la scena finale dove un molto bravo Luca Filippi, nemico/complice del protagonista(avete notato lo sguardo? Non ricorda il Malcom McDowell di "Arancia Meccanica"?), consegna alla figlia un nastro facendo esplicito riferimento ai segreti più oscuri e indicibili di cui egli stesso è parte(vittima?). Almeno, dopo le tonnellate di materiale raccolto da Oliver Stone in JFK, esci, quantomeno con la chiara consapevolezza che la morte del presidente americano è stata voluta in primis all'interno dei grandi produttori di petrolio, dei grandi fabbricanti di armi, dei vertici militari, di parte dei vertici politici e di parte dei Servizi. Certamente i nomi non li sapremo mai, ma almeno abbiamo inquadrato i pricipali(ma non soli)protagonisti. Da questo film si esce frustrati. Per la nostra sicurezza nazionale siamo tutti condannati a essere struzzi con la testa sempre sotto la sabbia? Sempre a essere intronati e distratti da notizie che devono seppellirne sempre altre, più indicibili,troppo imbarazzanti?Sempre avvolti da mura di silenzio e da uno smemoramento generalizzato?Io credo che Craxi sia stato,contemporaneamente l'ultimo grande leader politico in ordine di tempo, è il primo(ovviamente non unico) responsabile del degrado del paese. E' una figura estremamente divisiva ma, con 1 miliardo di difetti, resta sempre un grandissimo personaggio.Favino e in misura minore il bravo Filippi possono valere il film. La scelta di Amelio non tocca le sue grandi capacità, ma contenutisticamente,delude. O fai il ritratto puramente intimo avulso in toto dalla politica, o racconti questa sua, ultima e disperata, battaglia. Questa via di mezzo irrita e delude. Ultima provocazione. Il politico dei tempi nuovi, nel Gattopardo è Calogero Sedara(sublime Paolo Stoppa)...e non vi pare che la perfetta nullità umana in "Tolo Tolo", che diviene Ministro degli Interni a fine film non sia altro che l'ultima depravazione politica? In confronto lo squallido e opportunista Don Calogero sembra Giuseppe Garibaldi!
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luca scialo
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venerdì 24 gennaio 2020
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crepuscolo di uno statista che ancora oggi divide
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Gianni Amelio è un regista che scava nell'anima dei suoi personaggi. Non si limita a raccontare storie, ma cerca sempre di lasciare un segno negli spettatori che guardano i suoi lavori. Non sfugge a questo tentativo Hammamet, che si prefigge di raccontare gli ultimi anni di vita di Bettino Craxi. Segretario dello Psi per un quindicennio, oltre che Presidente del consiglio per 4 anni. Un personaggio che durante i rispettivi mandati, fu capace di unire i socialisti, farli uscire dalla sudditanza a sinistra col Pci, sottrarre l'egemonia a Palazzo Chigi della Dc, portare l'Italia ad una crescita economica che gli diede di diritto un posto tra i Paesi del G7, rendere il nostro Paese un punto di riferimento terzomondista.
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Gianni Amelio è un regista che scava nell'anima dei suoi personaggi. Non si limita a raccontare storie, ma cerca sempre di lasciare un segno negli spettatori che guardano i suoi lavori. Non sfugge a questo tentativo Hammamet, che si prefigge di raccontare gli ultimi anni di vita di Bettino Craxi. Segretario dello Psi per un quindicennio, oltre che Presidente del consiglio per 4 anni. Un personaggio che durante i rispettivi mandati, fu capace di unire i socialisti, farli uscire dalla sudditanza a sinistra col Pci, sottrarre l'egemonia a Palazzo Chigi della Dc, portare l'Italia ad una crescita economica che gli diede di diritto un posto tra i Paesi del G7, rendere il nostro Paese un punto di riferimento terzomondista. Di contro, però, viene anche ricordato per essere stato tra gli esponenti di spicco di Tangentopoli, per aver portato nella politica la demonizzazione di giornalisti e magistrati, di aver portato il debito pubblico su livelli esponenziali, di aver portato alla personalizzazione della disputa politica. Amelio però mette da parte tutto ciò, evitando un giudizio morale e politico sul personaggio. Limitandosi a raccontare la sofferenza umana degli ultimi istanti di vita del politico. Il suo rapporto di affetto, ma anche scontro, con la figlia (che nel film si chiama Anita anziché Stefania, come la moglie di quel Garibaldi che tanto stimava). E di silenzi e distanze col figlio (chiamato Sergio anziché Bobo), che si sforza di portare il fardello dell'eredità politica del padre. Cercando in Italia una via parlamentare al suo ritorno in Italia, ma senza successi. Nella realtà, invece, Bobo gli stette molto vicino. Mentre all'opposto, Stefania fu più distante. Ma nel Cinema il rapporto padre-figlia funziona meglio. Così come la moglie appaia nel film fedele e remissiva, sebbene nella vita reale pare fosse una donna che gli tenesse maggiormente testa. Non sono però questi gli unici spunti di fantasia del film. Proprio perché il regista ha preferito romanzare la storia. Infatti, nel film il tesoriere dello Psi (Vincenzo Balzamo, nella reatà Giuseppe Cederna), nonché due volte Ministro, preso dai rimorsi e dalla paura di finire in carcere, si suicida. Mentre nella realtà è morto di infarto. Così come la soubrette interpretata da Claudia Gerini sia un personaggio di fantasia, sebbene nella realtà una delle due sue amanti, Patrizia Caselli, davvero lo seguì nell'auto-esilio tunisino rinunciando ad un contratto con la Rai. Ed ancora, il giovane Fausto che giunge fino in casa sua per consegnargli la lettera del tesoriere suicida, è un personaggio completamente inventato. Seppur completamente funzionale alle esigenze drammaturgiche della sceneggiatura di Alberto Taraglio. La scena in ospedale con la gamba malconcia, fu nella realtà davvero fotografata dal fotografo personale del leader socialista: Umberto Cicconi. Mentre nel film non ci sono fotografi pronti ad immortalare quel momento così segnante. Anche il politico barbuto e vestito elegantemente di bianco, come fosse un personaggio candido e ripulito dai suoi peccati, che lo va a trovare sembra non avere riscontri reali. Sebbene sicuramente incarni quanti in quegli anni sono andati da lui dicendo di aver raccontato tutto e di aversela cavata per quello. Il dialogo tra i due è anch'esso funzionale alla storia ed emblema degli anni di Tangentopoli e Mani pulite. Menzione a parte spetta a Pierfrancesco Favino. Capace di superarsi continuamente. Aiutato certo da uno straordinario trucco, ma bravissimo nella mimica e nella cadenza linguistica che contraddistingueva Craxi. Superandosi ancora dopo aver interpretato magistralmente Tommaso Buscetta ne Il traditore. La pellicola si apre e si chiude con una cerbottana che fracassa il vetro di una finestra. In entrambe le volte a farlo è proprio Craxi: la prima volta da bambino discolo, la seconda metaforicamente da personaggio politico. Quest'ultima finestra è ancora lì, frantumata. Per un Paese che non riesce mai a mettere insieme i cocci della propria Storia.
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