Si inizia a guardare THE MURDER OF NICOLE BROWN SIMPSON con l’assurda illusione che un movie possa far chiarezza laddove un processo ha miseramente fallito.
Nelle mani del regista ci sono i cruenti fatti di quella storia che nessuno può dimenticare e il pubblico è lì che guarda con la speranza di avere finalmente una giustizia che sembra esser mancata. Come se mettere gli eventi in ordine come bravi soldatini possa sortire l’effetto di svelare la realtà che non è stata rivelata all’epoca.
Ma il film fallisce pietosamente ogni intento e la protagonista è quella che convince meno: ha l’aria di una scolaretta sprovveduta che si sta ambientando al college.
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Si inizia a guardare THE MURDER OF NICOLE BROWN SIMPSON con l’assurda illusione che un movie possa far chiarezza laddove un processo ha miseramente fallito.
Nelle mani del regista ci sono i cruenti fatti di quella storia che nessuno può dimenticare e il pubblico è lì che guarda con la speranza di avere finalmente una giustizia che sembra esser mancata. Come se mettere gli eventi in ordine come bravi soldatini possa sortire l’effetto di svelare la realtà che non è stata rivelata all’epoca.
Ma il film fallisce pietosamente ogni intento e la protagonista è quella che convince meno: ha l’aria di una scolaretta sprovveduta che si sta ambientando al college.
Ciò che porta ad arrivare alla fine del film è proprio il “vediamo come va a finire…”
È la storia vera che sappiamo essere l’ispirazione e la trama del lungometraggio.
Ma non c’è quel mordente che tiene attaccati alla poltrona e l’interpretazione migliore sembra esser quella di Glen Rogers, magistralmente interpretato da un Nick Stahl in ottima forma.
Il film deve la “seconda stella” concessa in questa recensione, alle immagini di repertorio con le quali il film si conclude e alla registrazione, al 911, di una delle chiamate di Nicole in cui riecheggiano le urla di un O.J. imbestialito.
E sono quelle urla che fanno trattenere il fiato, riflettere e sospirare “Nicole lo aveva detto…”
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