Rambo - Last Blood |
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Un film di Adrian Grunberg.
Con Sylvester Stallone, Paz Vega, Sergio Peris-Mencheta, Adriana Barraza, Yvette Monreal.
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Titolo originale Rambo 5.
Azione,
Ratings: Kids+13,
durata 100 min.
- USA 2019.
- Notorious Pictures
uscita giovedì 26 settembre 2019.
- VM 14 -
MYMONETRO
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Un eroe di un'altra epoca anche Rambo invecchia
di Emiliano Morreale La Repubblica
John Rambo, il reduce del Vietnam diventato una scheggia impazzita in patria, era diventato l'icona del reaganismo popolare anni 80: ben presto arruolato, mandato a recuperare i compagni rimasti nella giungla, oppure in Afghanistan, si era sempre più ideologizzato diventando la bestia nera dei cinefili di sinistra. Eppure lui, come il pugile Rocky che lo aveva preceduto, nasceva come ultima propaggine degli anni 70, di un'America proletaria orfana e disillusa (Rambo era un nemico dell'America sul suo terreno, partorito da essa Rocky, alla fine del primo film, ritrovava la dignità in un'onorevole sconfitta). Gli episodi successivi hanno poi aggiunto una patina di malinconia al personaggio. Ma se Rocky si è rivelato più spendibile (il sorprendente Rocky Balboa, 2006, e un paio di recenti spin-off sul figlio del rivale-amico Apollo Creed), Rambo sembra meno recuperabile, col suo animo bellico trionfale e supermacho. Dopo le avventure in Birmania del quarto capitolo, stavolta lo vediamo ritirato in Arizona, con una donna di mezza età e la di lei giovanissima nipote. Quando la ragazza, in cerca del padre mai conosciuto, viene rapita dai cartelli al di là del confine messicano, Rambo torna in azione. Ma sarebbe fuorviante cercare aggiornamenti meccanici all'era di Trump e del muro anti-immigrati: Rambo Last Blood è un oggetto bizzarro, fuori dal tempo, che rifà con sconcertante coerenza il cinema di trent'anni fa. Una trama semplicissima, personaggi monodimensionali e passaggi obbligati nelle scene d'azione, che (come nel precedente John Rambo) si fanno efferate, cruente, in maniera quasi disperata, come se l'incremento di violenza diventasse cieca ferocia, quasi fastidio per il personaggio. Un cinema dall'animo povero, da C-movie di una volta, che fa uno strano effetto veder ricomparire sugli schermi. Il film si guarda poi soprattutto come una specie di involontaria, spietata ostensione del corpo del settantatreenne Sylvester Stallone, neanche fossimo in una performance di body art. Col suo mascherone ormai grottesco, i muscoli anch'essi, a modo loro, di un'altra epoca e di un altro cinema, Stallone, nel suo proporsi mostruosamente come corpo virile approda dalle parti del Mickey Rourke di The Wrestler : un freak, un totem che attraversa un percorso di violenza quasi più lugubre che crepuscolare.
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