xerox
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mercoledì 29 aprile 2020
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film sopravvalutato...
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Benvenuto a qualsiasi film faccia riflettere sulle differenze di classe (o se preferite alla lotta di classe) in tutto il pianeta: da New York a Seul, da Tokyo a Roma... Allora.... Notazione che faccio a quasi tutti i film che commento: TROPPO LUNGO!!! In un'ora e mezza si poteva BENISSIMO dire tutto... Il personaggio debole del film è la moglie della ricca famiglia Park, troppo bambasciona e semplice per essere credibile. E' lei che permette a quasi tutta la famiglia dei "Parasites" di incunearsi nella propria casa. Pezzi di dialoghi notevoli e curati.
Il più brutto bagno della storia del cinema: quello della famiglia dei Parasites. Un punto interrogativo sulla trovata dell'altro Parasite seppellito nel rifugio della villa.
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Benvenuto a qualsiasi film faccia riflettere sulle differenze di classe (o se preferite alla lotta di classe) in tutto il pianeta: da New York a Seul, da Tokyo a Roma... Allora.... Notazione che faccio a quasi tutti i film che commento: TROPPO LUNGO!!! In un'ora e mezza si poteva BENISSIMO dire tutto... Il personaggio debole del film è la moglie della ricca famiglia Park, troppo bambasciona e semplice per essere credibile. E' lei che permette a quasi tutta la famiglia dei "Parasites" di incunearsi nella propria casa. Pezzi di dialoghi notevoli e curati.
Il più brutto bagno della storia del cinema: quello della famiglia dei Parasites. Un punto interrogativo sulla trovata dell'altro Parasite seppellito nel rifugio della villa. Boh! Alla fine, un film da vedere, anche se per me, per parlare delle classi ultime, non c'è nessuno che si avvicini a Ken Loach...
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melina
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giovedì 16 aprile 2020
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parasite
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Dei calzini appesi a un piccolo stendibiancheria da soffitto e la visuale su una strada dalla finestra di un appartamento seminterrato.
Per 30 secondi la scena di apertura resta fissa su quanto descritto dando quasi l’impressione di voler far ambientare lo spettatore al luogo.
L’inquadratura si abbassa lentamente riprendendo un ragazzo che siede tenendo il cellulare che ha tra le mani di fronte al viso:
“Ci hanno fregati, niente più Wi-Fi gratis“. Questa la significativa scena iniziale di un capolavoro che porta la firma di Bong Joon-ho.
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Dei calzini appesi a un piccolo stendibiancheria da soffitto e la visuale su una strada dalla finestra di un appartamento seminterrato.
Per 30 secondi la scena di apertura resta fissa su quanto descritto dando quasi l’impressione di voler far ambientare lo spettatore al luogo.
L’inquadratura si abbassa lentamente riprendendo un ragazzo che siede tenendo il cellulare che ha tra le mani di fronte al viso:
“Ci hanno fregati, niente più Wi-Fi gratis“. Questa la significativa scena iniziale di un capolavoro che porta la firma di Bong Joon-ho.
La storia narra in maniera comico-fiabesca come, dopo aver ricevuto una roccia “porta ricchezze“, la povera famiglia Kim intraprenderà quella che sembra essere a tutti gli effetti un arrampicata sociale, raggirando una ricca famiglia, i Park. Avvicinandosi alla conclusione la vicenda assumerà tinte tragiche con sviluppi inaspettati.
La maestria di Bong Joon-ho sta nel riuscire a mettere alla luce le problematiche relative alle disuguaglianze sociali e le tragiche condizioni di vita delle persone povere attraverso uno stile di recitazione che non rende pesante o impegnativa la visione del film, difatti i momenti in cui lo stile comico non mitizza la tragicità delle situazioni sono ben pochi. L’innesco che farà esplodere i velati sentimenti repressi del signor Kim, più volte discriminato silenziosamente per il suo “odore speciale” definito una peculiarità di chi prende la metropolitana, è il gesto con cui il signor Park, intento a recuperare le chiavi della sua auto, si tappa il naso per non sentire la puzza di un uomo morto esitando per qualche momento prima di afferrarle, mentre in torno a lui si sta consumando una tragedia.
Nel film emerge una filosofia di vita promulgata dal signor Kim nel dialogo che avviene tra lui e suo figlio:
“No, Ki woo sai quale tipo di piano non fallisce mai? Non avere mai alcun tipo di piano, neanche l’ombra. Sai perché? Se elabori un piano la vita non va mai nel verso che vuoi tu (…). Ecco perché non si dovrebbe mai fare un piano. Se non hai un piano niente può andare storto figlio mio.” Quest’idea del non pianificare qualcosa per evitare di rimanere inevitabilmente delusi dalla non attualizzazione di esso, a mio parere, non esprime passività e pessimismo da parte del signor Kim, piuttosto si fa portatrice dell’esperienza che egli ha acquisito vivendo nella miseria. Non fare piani e quindi di conseguenza non rimanere delusi da un esito negativo, dato quasi per certo, è l’unico modo che si ha per tutelarsi. Come biasimarlo?
La ricchezza di questo film è la sua cruda realtà in questa straordinaria e insolita storia di fantasia.
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melina
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giovedì 16 aprile 2020
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parasite
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Dei calzini appesi a un piccolo stendibiancheria da soffitto e la visuale su una strada dalla finestra di un appartamento seminterrato. Per 30 secondi la scena di apertura resta fissa su quanto descritto dando quasi l’impressione di voler far ambientare lo spettatore al luogo. L’inquadratura si abbassa lentamente riprendendo un ragazzo che siede tenendo il cellulare che ha tra le mani di fronte al viso: “Ci hanno fregati, niente più Wi-Fi gratis“. Questa la significativa scena iniziale di un capolavoro che porta la firma di Bong Joon-ho. La storia narra in maniera comico-fiabesca come, dopo aver ricevuto una roccia “porta ricchezze“, la povera famiglia Kim intraprenderà quella che sembra essere a tutti gli effetti un arrampicata sociale, raggirando una ricca famiglia, i Park.
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Dei calzini appesi a un piccolo stendibiancheria da soffitto e la visuale su una strada dalla finestra di un appartamento seminterrato. Per 30 secondi la scena di apertura resta fissa su quanto descritto dando quasi l’impressione di voler far ambientare lo spettatore al luogo. L’inquadratura si abbassa lentamente riprendendo un ragazzo che siede tenendo il cellulare che ha tra le mani di fronte al viso: “Ci hanno fregati, niente più Wi-Fi gratis“. Questa la significativa scena iniziale di un capolavoro che porta la firma di Bong Joon-ho. La storia narra in maniera comico-fiabesca come, dopo aver ricevuto una roccia “porta ricchezze“, la povera famiglia Kim intraprenderà quella che sembra essere a tutti gli effetti un arrampicata sociale, raggirando una ricca famiglia, i Park. Avvicinandosi alla conclusione la vicenda assumerà tinte tragiche con sviluppi inaspettati. La maestria di Bong Joon-ho sta nel riuscire a mettere alla luce le problematiche relative alle disuguaglianze sociali e le tragiche condizioni di vita delle persone povere attraverso uno stile di recitazione che non rende pesante o impegnativa la visione del film, difatti i momenti in cui lo stile comico non mitizza la tragicità delle situazioni sono ben pochi. L’innesco che farà esplodere i velati sentimenti repressi del signor Kim, più volte discriminato silenziosamente per il suo “odore speciale” definito una peculiarità di chi prende la metropolitana, è il gesto con cui il signor Park, intento a recuperare le chiavi della sua auto, si tappa il naso per non sentire la puzza di un uomo morto esitando per qualche momento prima di afferrarle, mentre in torno a lui si sta consumando una tragedia. Nel film emerge una filosofia di vita promulgata dal signor Kim nel dialogo che avviene tra lui e suo figlio: “No, Ki woo sai quale tipo di piano non fallisce mai? Non avere mai alcun tipo di piano, neanche l’ombra. Sai perché? Se elabori un piano la vita non va mai nel verso che vuoi tu (…). Ecco perché non si dovrebbe mai fare un piano. Se non hai un piano niente può andare storto figlio mio.” Quest’idea del non pianificare qualcosa per evitare di rimanere inevitabilmente delusi dalla non attualizzazione di esso, a mio parere, non esprime passività e pessimismo da parte del signor Kim, piuttosto si fa portatrice dell’esperienza che egli ha acquisito vivendo nella miseria. Non fare piani e quindi di conseguenza non rimanere delusi da un esito negativo, dato quasi per certo, è l’unico modo che si ha per tutelarsi. Come biasimarlo? La ricchezza di questo film è la sua cruda realtà in questa straordinaria e insolita storia di fantasia.
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matteo
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domenica 29 marzo 2020
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borghesia parassita
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Film stilisticamente ben fatto che si presta a varie interpretazioni. La domanda cruciale è se sono quella famiglia di disagiati i veri parassiti o piuttosto la ricca famiglia borghese. Sicuramente i poveri entrano come dipendenti nella lussuosa dimora con infimi espedienti, facendo le scarpe in modo subdolo a chi già lavorava lì. Però non hanno alcuna pretesa di possesso e malevola nei confronti dei padroni , l'unico obiettivo è vivere dignitosamente con buoni salari e uscire dalla loro condizione miserevole di una vita confinata in uno scantinato in un sobborgo di città. A ben guardare gli unici parassiti sono proprio i padroni della casa, gli unici che non lavorano, che non sanno fare nulla di pratico e che vivono sulle spalle della servitù.
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Film stilisticamente ben fatto che si presta a varie interpretazioni. La domanda cruciale è se sono quella famiglia di disagiati i veri parassiti o piuttosto la ricca famiglia borghese. Sicuramente i poveri entrano come dipendenti nella lussuosa dimora con infimi espedienti, facendo le scarpe in modo subdolo a chi già lavorava lì. Però non hanno alcuna pretesa di possesso e malevola nei confronti dei padroni , l'unico obiettivo è vivere dignitosamente con buoni salari e uscire dalla loro condizione miserevole di una vita confinata in uno scantinato in un sobborgo di città. A ben guardare gli unici parassiti sono proprio i padroni della casa, gli unici che non lavorano, che non sanno fare nulla di pratico e che vivono sulle spalle della servitù. Una famiglia di sconfitti che chiede una rivincita sociale? Forse questo è chiedere troppo a Bong Joon-ho che si limita a non oltrepassare il confine tra la giustizia sociale e la servitù volontaria e che ci dà una morale conservatrice dove gli ultimi possono vivere senza mai oltrepassare il limite (come ripetuto più volte nel film), dove è permesso loro di vivere solo nascondendosi nel sottosuolo magari sognando un salto di classe senza mai mettere in discussione la disciplina sociale.
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stefano conte
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sabato 28 marzo 2020
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fantastico!
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Film magnifico per come cambia continuamente volto, un vero diorama del mondo moderno, guidato dal capitalismo e dalle sempre più accentuate differenze sociali. I ricchi vengono raggirati facilmente dall'arguzia, dall'intelligenza di una famiglia che vuole sopravvivere. Vivere anche solo per un giorno una vita da ricchi non cambia le loro abitudini e la sbronza in salotto ne è la prova. Si passa da un inizio comico a un repentino cambiamento che porta al thriller, al grottesco ma anche a situazioni terrificanti e starnianti. Lo snob che guida una famiglia ricca ma non intelligente e facilmente raggirabile, che si basa sul buonismo e sul soddisfare continuamente il figlio viziato.
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Film magnifico per come cambia continuamente volto, un vero diorama del mondo moderno, guidato dal capitalismo e dalle sempre più accentuate differenze sociali. I ricchi vengono raggirati facilmente dall'arguzia, dall'intelligenza di una famiglia che vuole sopravvivere. Vivere anche solo per un giorno una vita da ricchi non cambia le loro abitudini e la sbronza in salotto ne è la prova. Si passa da un inizio comico a un repentino cambiamento che porta al thriller, al grottesco ma anche a situazioni terrificanti e starnianti. Lo snob che guida una famiglia ricca ma non intelligente e facilmente raggirabile, che si basa sul buonismo e sul soddisfare continuamente il figlio viziato. Una famiglia che non ha nemmeno il coraggio di licenziare dicendo la verità, perché anche se in realtà qui la verità è un altra, va nascosta per non ferire. Un buonismo continuo che si coglie del tutto finto nel momento in cui i 3 membri della famiglia, nascosti sotto il tavolo, si sentono degradati dalle offese per il loro odore, nauseabondo, difficile da descrivere. Di certo essere ricchi a volte è relativo e questo film ce lo dimostra: a volte un buon cuore e l'intelligenza sovrastano questo scoglio. Queste offese porteranno a un finale tragico, un finale incredibile. C'è davvero tutto in questo film, una tragedia sociale che sarebbe potuta avvenire ovunque e che fa comprendere quanto sia difficile accettarsi e quanto la diplomazia nascondi tutta la verità di questo mondo. Il finale lascia in sospeso, in modo onirico come fosse una fantasia ma che lascia uno spiraglio di speranza nel cambiare la propria posizione sociale e ritornare ad avere una vita normale, una vita da ricchi che sia più lunga di un solo giorno,da sbronzi sul divano...
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linda
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venerdì 27 marzo 2020
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parassita si nasce parassita si muore
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Del tutto controcorrente con le innumerevoli recensioni lodative lette sul film vincitore di quest'anno. Sicuramente una bella pellicola, attenta nel richiamare in modo ironicamente metaforico il grandissimo spaccato sociale presente in Asia. Molto più veloce l'andamento rispetto ad altri capolavori coreani, questo potrebbe rappresentare per molti una nota positiva, personalmente non lo è. Ho ritrovato tantissime influenze occidentali nello stile di regia, dalle inquadrature ai dialoghi, mi chiedo in questo senso se non fosse proprio questa occidentalizzazione la causa dell'amore incondizionato del pubblico. La visione olistica inoltre, elemento peculiare della cultura orientale è stata soppiantata per una visione quasi analitica della vicenda.
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Del tutto controcorrente con le innumerevoli recensioni lodative lette sul film vincitore di quest'anno. Sicuramente una bella pellicola, attenta nel richiamare in modo ironicamente metaforico il grandissimo spaccato sociale presente in Asia. Molto più veloce l'andamento rispetto ad altri capolavori coreani, questo potrebbe rappresentare per molti una nota positiva, personalmente non lo è. Ho ritrovato tantissime influenze occidentali nello stile di regia, dalle inquadrature ai dialoghi, mi chiedo in questo senso se non fosse proprio questa occidentalizzazione la causa dell'amore incondizionato del pubblico. La visione olistica inoltre, elemento peculiare della cultura orientale è stata soppiantata per una visione quasi analitica della vicenda.Sono presenti le metafore, le frasi di effetto, la bravura di ALCUNI attori ma ciò basta a ritenere questo film un capolavoro così tanto decantato? E' come se ci si sforzasse alle volte di trovare profondità e filosofia dati alcuni elementi quando invece queste caratteristiche dovrebbero venir fuori spontaneamente senza una ricerca forzata.
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psicosara
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lunedì 23 marzo 2020
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parassiti da oscar!
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“Parasite”è il film del regista coreano BONG JOON-HO. Non solo vince l'Oscar come Miglior Film – ed èla prima volta in assoluto che un film non in lingua inglese ottiene questo risultato - ma a “Parasite”vanno i riconoscimenti per la migliore sceneggiatura, miglior film internazionale, la miglior regia.
L’eterno conflitto tra differenti classi socio-economiche è il tema principale del settimo lungometraggio di Bong.
In particolare si narrano le vicende di due nuclei familiari (che poi diventano tre) speculari, quanto a composizione, ma molto distanti tra loro, la famiglia Kim, poverissima, formata dal padre Ki-taek (Kang-ho Song), dalla madre Chung-sook (Hye-jin Jang) e due figli, la 25enne Ki-jeong (So-dam Park) e il minore, Ki-woo (Woo-sik Choi).
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“Parasite”è il film del regista coreano BONG JOON-HO. Non solo vince l'Oscar come Miglior Film – ed èla prima volta in assoluto che un film non in lingua inglese ottiene questo risultato - ma a “Parasite”vanno i riconoscimenti per la migliore sceneggiatura, miglior film internazionale, la miglior regia.
L’eterno conflitto tra differenti classi socio-economiche è il tema principale del settimo lungometraggio di Bong.
In particolare si narrano le vicende di due nuclei familiari (che poi diventano tre) speculari, quanto a composizione, ma molto distanti tra loro, la famiglia Kim, poverissima, formata dal padre Ki-taek (Kang-ho Song), dalla madre Chung-sook (Hye-jin Jang) e due figli, la 25enne Ki-jeong (So-dam Park) e il minore, Ki-woo (Woo-sik Choi). Vivono in uno squallido appartamento nel seminterrato di un palazzo di Seoul: sono molto legati tra loro, ma senza un soldo in tasca né un lavoro né una speranza per il futuro.
La seconda famiglia, quella ricca, è la famiglia dei Park, mamma, padre dirigente di un'azienda informatica, due figli e tre cagnolini: vivono in una grande villa, fatta di spazi ampi, legno ed immense vetrate con vista giardino.
Il piano, studiato con arguzia nei minimi particolari dai Kim, prevede la manipolazione psicologica della vulnerabile signora Park, per farsi assumere presso la villa, fingendosi nell’ordine: insegnante di inglese, insegnante d’arte, autista e governante. L’obiettivo è usciredalla miseria, non appropriandosi di ‘cose’, bensì sperimentando un benessere mai esperito. La truffa non è una vera truffa, poiché i servizi lavorativi sono resi nel migliore dei modi, piuttosto è il tentativo di uscire da una miseria abitativa quotidiana ed impreziosire se stessi, sperimentando gli ambienti di vita dei ricchi nei momenti di presenza nella villa.
L’evoluzione della vicenda è poi così interessante perché evolve (o degenera) dalla commedia al dramma più nero, fino all’horror, tanto che i Kim si introdurranno sempre più nella routine dei Park, come un “parassita” fa con un organismo estraneo. Questo è ciò che suggerisce la prima parte del film: che i parassiti del siano i Kim che si insinuano nella vita dei Park.
Ma nella seconda parte, i "parassiti" dovranno fare i conti con un parassita altrettanto disperato e collocato ancora più in basso: una terza famiglia vive nel bunker sotterraneo della stupenda casa, un bunker della cui esistenza nemmeno i padroni di casa sono al corrente. E’ la coppia formata dalla governante storica di casa Park, Moon-gwang (Lee Jeong-eun) e il marito Geun-se (Myeong-hoon) dilaniato dai debiti e nascosto nel bunker segreto nel quale dimora senza finestre e senza luce.
E la battaglia sociale che all’inizio era fra ricchi e poveri diventa in una spirale sempre più feroce, una guerra fra poveri, che lascia tutti sconfitti.
Molto interessante il confronto fra la locandina originale - quella coreana - e quella italiana, entrambe molto belle e piene di simboli.
L’ambientazione del poster originale è il giardino, luogo in cui avverrà la scena più epica del film, quella in cui l’atteggiamento razzista del padrone di casa Park (afferma che i poveri puzzano) scatena la violenza di Ki-taek. Sullo sfondo del manifesto c’è l’enorme villa dei Park, l’ambiente protagonista dentro il quale praticamente si ritroveranno a vivere ben tre famiglie.
Guardando il manifesto, la prima cosa che si vede è il mezzo primo piano dell’attore Song Kang-ho, straordinario interprete di diversi film di Bong, in una delle sue classiche posture da disagio crescente.
I coniugi Park si rilassano al sole, godendosi due calici di vino.
Il giardino, che è luogo di relax e di giochi (si intravede anche il pallone) è contaminato da un cadavere disteso.
Tutti i personaggi del poster sono rivolti al cadavere: sulla porta finestra è fermo il giovane della famiglia Kim, Ki-woo, con in mano una grossa pietra: la pietra è l’arma con cui Ki-woo è determinato a sbarazzarsi per sempre di Moon-gwang e del marito. Ma la pietra ha un valore altamente simbolico in tutto il film: arriva come regalo dall’amico Min-Hyuk alla famiglia Kim, è considerata un auspicio di fortuna, visto che è una pietra da collezione, e proviene da Min-Hyuk, un ragazzo di ceto sociale più alto, quindi la Pietra ha un valore magico. Questa pietra sembra una montagna, altro simbolismo dunque, un invito a salire, a migliorare. La prima offerta di lavoro al giovane Ki-woo proviene da Min-Hyuk proprio dopo il dono della Pietra.
L’ampia vetrata della villa, che dà sul giardino, riflette la sagoma di un bambino che sta in piedi accanto al suo ‘tipi’ indiano, la classica tenda a forma di cono resa famosa dai nativi americani delle Grandi Pianure del nord degli Stati Uniti d'America. Il bambino è Da-song Park (Hyun-jun Jung) il vispo figlioletto dei Park che ha realizzato il disegno che si vede in locandina. Il disegno è frutto di un suo trauma infantile, quello di aver visto un fantasma. In realtà, il fantasma è il marito della governante dei Park, che emerge dal sottosuolo del suo bunker e sorprende Da-song nel cuore della notte. Guardando attentamente il manifesto si può notare che Da-song ha un braccio meccanico: chissà che non sia un riferimento al fatto che la Corea del Sud è attualmente il paese più robot-friendly al mondo…
Gli occhi dei personaggi nel poster sono nascosti da strisce censorie. Le strisce sono bianche nel caso dei Park, mentre sono nere, nel caso dei Kim. Chissà che l’autore non abbia voluto differenziare il bene dal male, l’innocenza dalla colpevolezza, il ricco e il povero. In fondo i Park sono milionari, ma non hanno colpe, sono fin troppo ingenui e si lasciano invadere ingenuamente sia dalla famiglia di Ki-woo sia da chi vive nel bunker.
Nella versione italiana del manifesto, che vede tutti i protagonisti del film insieme, mescolati, in posa per un unico grande ritratto di famiglia, le strisce che coprono gli occhi diventano per tutti di colore Nero.
Le strisce nere che coprono gli sguardi, provano ad annullare l’identità, come a non voler distinguere i buoni dai cattivi o i ricchi dai poveri.
Fanno la differenza i piedi: i componenti della famiglia dei Park hanno le scarpe e sono ben vestiti. La famiglia Kim invece è scalza e abbigliata con abiti modesti.
Le strisce nere censorie sui volti bene si correlano alla scritta “CERCA L’INTRUSO”, come se tutto fosse un Rebus, un misterioso gioco: viene da chiedersi se l’intruso è il cadavere che si intravede a sinistra del gruppo oppure la grande Pietra collocata alle spalle del gruppo sotto la scala. O forse l’intruso è il disegno del piccolo Da-song appeso alla parete, alle spalle della famiglia riunita?
L’architettura della casa è di un’eleganza suprema, si intravede un pezzetto di scala che conduce al piano superiore: non è un elemento casuale, le scale hanno un grande valore simbolico e sono molto presenti in tutto il film: il conflitto sociale di cui racconta il film “Parasite” è un conflitto che si sviluppa proprio in ‘verticale’, attraverso scale, sottoscala, e rifugi sotterranei. Le scene più intense del film sono infatti quelle che si svolgono su e giù per le scale, dal seminterrato al bunker sottostante.
La grossa pietra alle spalle del gruppo, sotto la scala è la stessa che nella locandina originale, era in mano al giovane Ki-woo, che la reggeva come un’arma, deciso a farsi giustizia da solo. In questo poster invece la pietra collocata lì da sola alle spalle del gruppo riacquista la sua valenza magica, la sua funzione protettiva.
Il quadretto familiare nasconde un angolo problematico: un cadavere spunta dalla foto e nessuno sembra essere riuscito a nasconderne i piedi. Chi ha visto il film ovviamente intuisce subito di chi sia il cadavere: di Moon-gwang, la governante di casa Park, che è l’unico personaggio a mancare nella foto.
Ogni singolo dettaglio, anche il più piccolo del manifesto (e dell’intera pellicola) è curato e studiato ogni minimo particolare. Niente, ma proprio niente è lasciato al caso, c’è un’attenzione meticolosa ai dettagli. Chi ha visto il film può apprezzare anche una particolarità nel poster: la lampadina gialla che si nota in cucina è la lampadina che l’ospite del bunker, Geun-se aziona seguendo devotamente i passi di Mr. Park sostenendolo nella convinzione di avere una casa domotica…
Lasciatemi dire che il film “Parasite” è sontuoso: dalla fotografia di Hong Kyung-pyo, alle musiche ipnotiche di Jung JaeiI; dalla ‘creazione’ degli spazi dello scenografo Lee Ha Jun alla caratterizzazione dei personaggi. Tutto è perfetto, compresa l’alternanza di generi cinematografici.
Un film che più che uno scontro di classi racconta un incontro fra persone, tumultuoso e sorprendente.
Ho amato particolarmente due momenti del film: il momento perfetto e ingegnoso in cui Ki-Teak e Ki-woo pianificano di sostituire la governante Moon-gwang facendo lavorare al suo posto Chung-sook. Per fare ciò, ‘manipolano’ la signora Park facendole credere che l’allergia alle pesche della governante sia tubercolosi.
E per finire la scena dell’acquazzone torrenziale che di notte, allaga completamente il seminterrato in cui vivono i Kim: un diluvio universale ‘punitivo’ a causa del quale i Kim - padre, figlio e figlia – sono costretti a ‘discendere’ letteralmente dal Paradiso agli Inferi: dalla villa dei Park attraverso un’infinità di scale giungono in fondo alla loro dimora, che è quasi tutta sommersa. L’acqua è un elemento molto presente nel film e cade cadendo dall’alto al basso portando con sé rifiuti e detriti che finiscono in basso, negli ambienti dei poveri. Il diluvio metaforicamente simboleggia la punizione per il fatto che i Kim abbiano desiderato e raggiunto e invaso l’eden personale dei Park; e mentre la loro dimora scompare sotto l’acqua, Mr Park e signora ‘ammirano’ la pioggia, dalle enormi vetrate della villa, comodamente seduti sul divano, guardando giocare il figlioletto fuori, riparato da una tenda indiana.
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carlosantoni
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giovedì 19 marzo 2020
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hegel in corea
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Tutto fa di questo lavoro di Joon-ho un film strepitoso, che merita di essere visto, nonostante la tensione emotiva e i sentimenti contrastanti che suscita, dato il contenuto narrativo che, attraverso una descrizione simbolica che assomiglia alla struttura di una fiaba, in fondo ci parla di quanto più concreto e comune ci sia al mondo: ci parla di lotta di classe. E se certe recensioni giustamente avvertono in questo film echi di Hanecke, immagino per “Funny Games” e Lathimos per “Il sacrificio del cervo sacro”, io penserei anche a “Il servo” di Losey, per quel rapporto dialettico servo-padrone di cui ci parla Hegel nella sua “Fenomenologia dello spirito”.
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Tutto fa di questo lavoro di Joon-ho un film strepitoso, che merita di essere visto, nonostante la tensione emotiva e i sentimenti contrastanti che suscita, dato il contenuto narrativo che, attraverso una descrizione simbolica che assomiglia alla struttura di una fiaba, in fondo ci parla di quanto più concreto e comune ci sia al mondo: ci parla di lotta di classe. E se certe recensioni giustamente avvertono in questo film echi di Hanecke, immagino per “Funny Games” e Lathimos per “Il sacrificio del cervo sacro”, io penserei anche a “Il servo” di Losey, per quel rapporto dialettico servo-padrone di cui ci parla Hegel nella sua “Fenomenologia dello spirito”. O anche a “Quel che resta del giorno” di Ivory (non a caso tratto da un romanzo di Ishiguro, autore così vicino culturalmente e geograficamente alla Corea) facendo però presente che mentre Mr. Stevens, il protagonista di quest’ultimo film, è di fede incrollabilmente servile, in “Parasite” il servo, la servitù, si rovescia alla fine in aperta e furiosissima ribellione verso il padrone.
Chi è dunque il parassita cui allude il titolo? Colui che s’insinua con l’inganno nella villa meravigliosa di un ricchissimo signore, per trarne una fonte di salario e così sfuggire a una vita destinata ad essere vissuta come e insieme a insetti, in un lurido seminterrato, o chi seppur raggirato vive in un mondo tanto meraviglioso quanto ovattato e distantissimo dalla condizione esistenziale di una marea di reietti? Questa domanda s’impone, quasi subito, quando le due condizioni di vita, quella della famiglia del giovane Ki-woo, e quella della ricchissima famiglia Park: la quale vive in una straordinaria villa-bunker con parco, in cima a una collina (la via d’accesso mette sempre in mostra una ripida salita) un mondo empireo che pretende di essere e restare del tutto avulso dal brulicare dei poveracci che abitano la città bassa, che sopravvivono di lavori miseri e le cui catapecchie sono facilmente allagate e spazzate via da una banale pioggia torrenziale.
C’è qualcosa di profondamente simbolico che unisce le due realtà sociali, così ferocemente polarizzate, ed è quella porta nera, perennemente nera, che dal salone amplissimo al piano terra della villa conduce attraverso uno spaventoso cordone ombelicale, nelle profondità labirintiche costituite da cupi antri in cemento armato sottostanti alla villa vera e propria, i quali, par di capire, sfuggono alla conoscenza e comunque all’interesse dei padroni di casa: in fondo, per quanto immensi, sono locali di sgombero, cantine, depositi forse, comunque locali che solo la servitù è destinata a frequentare, non certo i signori. Un po’ come i membri della famiglia Agnelli o Rothschild o Soros certamente non conoscono, delle decine di ville e castelli che si ritrovano a giro per i paradisi fiscali di tutto il mondo, le soffitte o le rimesse.
Ma poi la dialettica hegeliana entra in gioco, e mentre i padroni non sanno fare a meno del lavoro salariato dei loro servi, vera intermediazione tra il loro empireo e il concreto quotidiano, altrimenti per essi inattingibile, ecco che i servi appena possono si approfittano di questa unilateralità esistenziale dei padroni, di questa loro incapacità di vivere senza fare a meno del lavoro salariato, e li infinocchiano facilmente, giocando sulle loro oggettive debolezze, imponendosi, fino poi ad appropriarsi (seppur solo temporalmente) della loro casa e delle loro cose, disponendone a piacimento.
Alla fine, dopo vari rovesciamenti che la trama, ricca ma lineare, ci apparecchia, c’è la nemesi. E chi si meritava di pagare, anche se non sa di meritarlo, paga. La dialettica hegeliana si fa sentire perfino in una rivisitazione della dantesca legge del contrappasso, cosicché Ki-taek, cioè il padre del giovane protagonista Ki-woo e di sua sorella Ki-jeong, alla fine si ritrova rinchiuso in quello stesso labirinto nel quale aveva cercato di rinchiudere la vecchia governante e suo marito.
Se la porta oscura è simbolo delle due realtà sociali, l’una solare, apollinea, tutta armonia, giardini curatissimi, boschetti di bambù e musica al violoncello, l’altra ctonia, tellurica, la “pietra della ricchezza” ne costituisce il totem: il quale, dopo varie vicissitudini, darà finalmente segno agli spettatori di una qual forma di Aufhebung, una volta calata nell’acqua pura di un torrente, e lì finalmente lasciata a riposare, assieme ad altre a essa simili.
Tra gli attori, tutti bravi, secondo me eccellono Choi Wooh-shik, che interpreta il giovale Ki-woo, e Song Kang-ho che ne interpreta il padre Kim ki-taek. La fotografia è prodigiosa, soprattutto direi nelle lente riprese notturne all’interno della villa, quando più o meno tutti i protagonisti si ritrovano (all’insaputa dei padroni) all’interno della sala: marito e moglie a masturbarsi reciprocamente sul divano, la servitù nascosta ai loro sguardi sotto un tavolo basso. Ugualmente geniali le riprese del budello in cemento armato, illuminato da una fioca luce livida, verdastra, claustrofobico quanto basta dal far passare una persona alla volta, e che ripidamente porta giù, nelle profondità… O le riprese della pioggia torrenziale fuori e dentro la stamberga della famiglia Kim, completamente sommersa dall’acqua, col wc che rigurgita escrementi, e lattine altri oggetti galleggianti in un caos infernale.
Anche la colonna sonora è curata, e va da composizioni minimaliste e morbide, a brani di Haendel a, curiosamente e per me incomprensibilmente, “In ginocchio da te” di Gianni Morandi.
Complimenti a Bong Joon-ho!
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loder
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lunedì 16 marzo 2020
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condivido l'analisi di thomas
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Sinceramente non capisco come abbia potuto vincere tanti premi. All'inizio pensavo fosse un'analisi di come alcune persone riescano a occupare certe posizioni, a instaurare certe cerchie, azioni che gli permettono di emergere dalla propria condizione egoisticamente e contro gli altri, anzi contro tutti senza il minimo scrupolo o quasi. È veramente soltanto una critica sociale ben impacchettata? Un problema tanto vecchio quanto di semplice soluzione. Ho cercato una chiave di lettura nuova fino alla fine del film ma non l'ho trovata
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elgatoloco
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mercoledì 11 marzo 2020
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perturbante
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"Parasite"(2019, Bong Joon-Ho), che è un film sudcoreano, da un lato svela la condizione sociale di quel paese, mostrando come una famiglia veramente povera, per non dire miserabile, debba servirsi di ogni sorta di trucco e di inganno per raggiungere una condizione sociale degna, senza certo scartare il delitto, come essa sappia screditare e far licenziare una loro competitor a livello economica(la governannte della famiglia ricca), come la vendetta sia comunque un'arma vincente, ma poi come ogni vera (o anche presunta)forma di lotta o anche solo di ribellione sociale sia inutile, non arrivando mai allo scopo voluto,Sostanzialmente il film, a livello tematico, mostra non tanto"la lotta di classe"(ma in"South-Corea"essa è forse inimmaginabile o meglio irrappresentabile, anche per motivi politici)ma il"bellum ominum contra omnes"(lotta di tutti contro tutti), pur tutelando il vincolo familiare, "sacro"in Oriente.
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"Parasite"(2019, Bong Joon-Ho), che è un film sudcoreano, da un lato svela la condizione sociale di quel paese, mostrando come una famiglia veramente povera, per non dire miserabile, debba servirsi di ogni sorta di trucco e di inganno per raggiungere una condizione sociale degna, senza certo scartare il delitto, come essa sappia screditare e far licenziare una loro competitor a livello economica(la governannte della famiglia ricca), come la vendetta sia comunque un'arma vincente, ma poi come ogni vera (o anche presunta)forma di lotta o anche solo di ribellione sociale sia inutile, non arrivando mai allo scopo voluto,Sostanzialmente il film, a livello tematico, mostra non tanto"la lotta di classe"(ma in"South-Corea"essa è forse inimmaginabile o meglio irrappresentabile, anche per motivi politici)ma il"bellum ominum contra omnes"(lotta di tutti contro tutti), pur tutelando il vincolo familiare, "sacro"in Oriente. Ma la cifra stilistica del film è scolvongente: ritmo e taglio delle sequenze straordinario, un uso eccellente dei luoghi, delle locations, dove il buio delle cantine.topaie contrasta con il lusso sfrenato della casa"ricca"dell'architettto... Interpreti di noteovlissmo livello, un uso ottimale delle musiche, dove si va da FHaendel a Gianni Mortandi(sic)nel suo brano tradizionale"In ginocchio da te". Entrambi i generi "funzionalizzati"in maniera veramente perfetta. Quando di parla di"Oscar meritati", questo lo è sicuramente, da vari punti di vista. El Gato
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