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Noah Baumbach: come ho raccontato il matrimonio attraverso il divorzio

Il regista di Storia di un matrimonio svela i dettagli del film che ha emozionato il Festival di Venezia. Su Netflix dal 6 dicembre.
di Marianna Cappi

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mercoledì 4 dicembre 2019 - Incontri

C'è una palpabile trepidazione, nella piccola conference room, tra i giornalisti che attendono l'arrivo di Noah Baumbach. Eppure, da queste parti, di divi e cineasti ne passano in continuazione per la promozione dei loro film. Ma Baumbach - dimostrazione vivente che "giovani si diventa"- fa evidentemente la differenza, forse perché non ha mai sbagliato un film, forse perché quest'ultimo, Storia di un matrimonio (guarda la video recensione), ha convinto (e ridotto in lacrime) proprio tutti, annullando la leggendaria distinzione tra critica e pubblico...

La scena del litigio tra Charlie e Nicole è cruciale e struggente. Come l'avete preparata? Ti sei affidato all'improvvisazione degli attori?
No, era tutto sceneggiato e l'abbiamo provata a lungo. Abbiamo provato l'intero film, ma quella scena, in particolare, molto di più, perché occupa undici pagine di sceneggiatura, tanto che l'abbiamo girata in due giorni. Adam e Scarlett hanno cominciato a provarla una settimana prima di girarla. All'inizio si trattava di imparare il linguaggio della scena, che era scritta così dettagliatamente che anche le sovrapposizioni erano indicate su carta, per assicurare la dovuta musicalità, e in quella fase era solo questione di esercizio. Poi siamo arrivati nella location, sempre prima di girare, e io avevo un'idea molto precisa dei primi piani da fare, delle battute su cui avrei tagliato, dei movimenti fisici che dovevano fare, proprio come per una sequenza di azione, e dunque poi si è trattato di provare a lungo quelli. L'effetto è estremamente veritiero, sembra improvvisato, ma in verità è il contrario. Emozionalmente è improvvisato, nel senso che loro danno tantissimo in questa scena, non l'hanno vissuta ma la vivono in quel momento, all'interno di quei fitti paletti.

Hai tagliato qualcosa al montaggio?
Abbiamo fatto piccole correzioni, tolto una battuta qua e là, piccole cose, ma più o meno ho girato la sceneggiatura come l'avevo scritta. Trovo molto utile fare un lavoro preparatorio, con la mia montatrice, Jennifer Lame, sulla sceneggiatura: tagliamo sulla pagina quello che sentiamo che taglieremmo poi al montaggio. Lo trovo utile perché mi fa risparmiare tempo, che posso dare al film, agli attori. Tanto più che a me piace fare molti ciak, esplorare le scene, fare lunghe inquadrature, perciò tutto quello che posso togliere in fase di sceneggiatura, mi aiuta a programmare meglio le riprese. Ma si filma sempre qualcosa che poi non si usa.

Hai mai tagliato una scena perché non raggiungeva la giusta temperatura emotiva?
No, gli attori sono stati così veri che non è successo. Naturalmente ci sono ciak migliori di altri, oppure, per esempio nella scena del litigio di cui parlavamo, hanno avuto bisogno di ripetere dall'inizio la scena anche se stavamo girando l'ultima parte, perché dovevano arrivare a quel momento, emotivamente, ed è stato davvero estenuante, per loro e per me, dunque era importante fare delle pause, prendere boccate d'aria, fare il giro dell'isolato, ma ho sempre sentito un alto livello di emozione, ho percepito che l'amore tra queste due persone sarebbe sempre esistito, nonostante quello che accade nel film.

Come hai reagito alla notizia che Netflix riaprirà il Paris Theatre con il tuo film?
Sono cresciuto a New York, andando in quel cinema, ed ero a New York, ad una cena, quando ho scoperto che stava per chiudere, allora ho immediatamente mandato un messaggio a Ted Sarandos e Scott Stuber, inoltrando la notizia e scrivendo: "Netflix?", e loro mi hanno risposto all'istante: "Ci stiamo già lavorando." È molto importante per la città, ne sono felicissimo.

Che legame c'è tra Il calamaro e la balena e Storia di un matrimonio?
In realtà ho realizzato solo dopo che, con Storia di un matrimonio, stavo analizzando alcuni aspetti del divorzio dei miei genitori, dalla loro prospettiva, che non è ovviamente quella del Calamaro e la balena, perché in quel film il punto di vista centrale è quello dei figli. Ma me ne sono accorto dopo, e adesso è un po' che non riguardo il film e non saprei dire di più. In ogni caso, in entrambi i film il divorzio è certamente un tema ma non è l'unico: ci sono anche la famiglia, la genitorialità, l'infanzia, il matrimonio. Il tipo di frattura che crea il divorzio rende possibile analizzare tutti questi aspetti.


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In foto Adam Driver in Storia di un matrimonio.
In foto Scarlett Johansson in Storia di un matrimonio.

Storia di un matrimonio è anche un film su due città, New York e Los Angeles. Cosa rappresentano? Ovviamente rappresentano Charlie e Nicole, ma ci sono anche forti connessioni simboliche tra le due città, perché si giocano tra loro il primo posto in America e perché sono le città del cinema. Ma è radicalmente diverso stare nell'una o nell'altra: la luce di Los Angeles è qualcosa di unico, così come la sua assenza quando il cielo è coperto. Narrativamente, la differenza tra le due città alzava anche la posta in gioco, perché scegliere tra l'una e l'altra sembra impossibile e non c'è modo di combinarle, resteranno sempre separate, dunque viene da domandarsi come i due personaggi riusciranno a risolvere questo problema. E poi volevo esplorare l'idea di "casa". All'inizio il film si apre su un'idea tradizionale di casa, un appartamento di Brooklyn in cui si conduce una vita famigliare, piena di oggetti personali, ma poi la gran parte del film è ambientata invece in luoghi di passaggio, sterili, tutt'altro che familiari: uffici, aule di tribunale, l'appartamento del bambino a Los Angeles, che è una sorta di finta casa... perché volevo che la definizione stessa di casa fluttuasse durante l'intero film. Quindi le due città rappresentano loro stesse, ma anche un'idea.

Il film raggiunge un difficile equilibrio emotivo tra scene forti e scene più morbide e famigliari. Come hai lavorato per ottenere questo risultato?
In un certo senso quest'equilibrio era interno alla storia: da una parte le conseguenze emotive del divorzio, dall'altra quelle legali, che ti rubano la vita: non puoi fare niente finché la vicenda legale non si risolve, ma allo stesso tempo loro due sono ancora sposati, ancora genitori, ancora professionisti. La tua vita comunque non si ferma, anche se senti che gran parte di essa è avvelenata, ma continua a fare irruzione; i due aspetti invadono l'uno il campo dell'altro, per cui li vediamo ordinare il pranzo nel bel mezzo della mediazione, tagliarsi i capelli, cercare un avvocato, ma anche passare del tempo con il figlio. Cose che convivono fianco a fianco, caricando psicologicamente i protagonisti, ma anche mostrando la banalità della vita, che, in un contesto come questo, assume però un significato più grande.

Ci sono stati grandi cambiamenti nel modo del racconto, dalla prima intuizione all'ultima versione di sceneggiatura?
Il cambiamento più radicale è stato tra la prima e la seconda stesura. Avevo scritto delle scene che portavano su un'altra strada rispetto al percorso del divorzio in sé e per sé, ma ho scoperto che, se stavo su quello, la storia del matrimonio sarebbe stata sempre viva e presente. Erano scene che avevo scritto tempo prima, con gli amici, persone che prendevano le parti di uno o dell'altro, anche interessanti, ma mi sembravano delle deviazioni un po' fine a se stesse, non veramente necessarie. Dunque mettere da parte queste scene e focalizzarmi sul binario di cui parlavo è stato un passaggio fondamentale.

Perché proprio Adam Driver e Scarlett Johansson?
Adam era nella mia mente prima ancora che avessi un ruolo da dargli. Con lui avevo già lavorato tre volte, prima di questo film, e avevamo parlato molto dell'idea che avevo, di una storia d'amore raccontata attraverso il divorzio, dunque era già coinvolto. E a tutti e due è piaciuta subito l'idea di Scarlett, che avevo conosciuto un po' qualche anno fa, e così l'ho contattata, anche se non avevo ancora scritto la sceneggiatura. Però poi è stato molto utile avere in mente loro due, e anche Laura Dern, durante il processo di scrittura. Mi hanno ispirato delle immagini e mi hanno dato delle idee per alcune scene, non solo perché abbiamo parlato a lungo e mi hanno regalato le loro idee sull'argomento, ma anche semplicemente sapere che avrebbero recitato loro quella parte, come il monologo di Scarlett nell'ufficio di Laura Dern, poter immaginare la sua faccia, la sua bravura, mi ha dato fiducia per tentare qualcosa che forse non avrei tentato altrimenti. Non riesco davvero a pensare a come sarebbe stata la sceneggiatura se non avessi avuto loro due in mente.


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