Il linguaggio come memoria, e la memoria come unica formulazione del linguaggio, al centro di un dramma di impostazione classica realizzato con perizia. Dal 19 novembre al cinema.
di Tommaso Tocci
Catturato dai nazisti mentre attraversa la Francia nel 1942, l'ebreo belga Gilles riesce a scampare a un'esecuzione sommaria spacciandosi per iraniano. Un tentativo disperato, suggerito dal libro di poesia persiana che ha appena scambiato con un panino, ma che gli vale la sopravvivenza grazie al comandante di un campo di transito nei paraggi, in cerca di qualcuno che possa insegnargli la lingua farsi. L'ufficiale nazista Koch, che ha in programma di trasferirsi a Teheran dopo la guerra per aprire un ristorante, prende GIlles sotto la sua ala e gli richiede lezioni giornaliere di una lingua che il prigioniero non può far altro che inventare e memorizzare allo stesso ritmo del suo "allievo", pur di mantenere in vita l'inganno e anche se stesso.
Il linguaggio come memoria, e la memoria come unica formulazione del linguaggio, sono al centro di un dramma di impostazione classica realizzato con perizia, in grado qua e là di trascendere l'improbabile aggancio narrativo grazie soprattutto alle prove dei due attori principali.