Adattamento del romanzo di Yasmina Kadra The Swallows of Kabul (2002), la regista / attrice Zabou Breitman e l'animatrice Eléa Gobbé Mévellec arrivano a Cannes 2019 con un film d’animazione girato con una tecnica particolare. Filmati gli attori, hanno trasformato le cornici in grafiche simili ad acquerelli dipinti a mano, a tratti animati da forti pennellate di inchiostro. Il movimento è quello di donne e uomini immersi in un mondo immiserito, governato dal pensiero unico.
Kabul 1998, nel pieno del regime talebano. Palazzi diroccati, strade percorse da jeep piene di uomini urlanti che sparano in aria, donne velate da pesanti burqa che sembrano rondini nere, vecchi che fumano sulle soglie e guardano increduli quel mondo che non riconoscono.Tutto ha contorni sabbiosi, come sfocati dalla sabbia del deserto spinta da un Föhn che non dà tregua.
Mohsen e Zunaira e Atiq e Musarrat sono le due coppie protagoniste.
I primi sono più giovani, lui storico, lei pittrice, vogliono vivere, si amano e ancora credono nel futuro.
Gli altri due sono disincantati, lei malata terminale, lui indifferente e inaridito, un matrimonio che si trascina e lui è guardia carceraria per dovere e apatica incapacità di credere in una vita che valga la pena vivere.
Sullo sfondo la miseria, la brutalità, il fanatismo rozzo e violento, la brutale sottomissione di un popolo che un giorno era libero, conosceva le arti, amava la bellezza, rispettava lo spazio in cui viveva.
Le storie delle due coppie s’intrecciano fatalmente e arriveranno all’esito drammatico.
Nelle loro vicende personali, nell’interazione reciproca e infine nella catastrofe finale è registrato con matematica precisione quanto la grande Storia pesi sulle piccole storie individuali, quanto sia facile reprimere quel bisogno di libertà che appartiene di diritto all’essere vivente e che spesso solo in un volo di rondini alte nel cielo possiamo veder realizzato.
Donne avvolte in pesanti sudari sembrano rondini cadute a terra. Della donna lapidata sentiremo solo il respiro affannoso e vedremo macchie rosse di sangue allargarsi sulla stoffa, nient’altro.
Mohsen assiste alla lapidazione e, non saprà mai perché, lancerà anche lui una pietra.
Aveva passato la mattina a girare per le stanze vuote della sua ex università, vuote di studenti e di studi, piene di fori di proiettili e rifiuti. Cosa siano i condizionamenti ancestrali lo dirà quella pietra.
Lui non se lo perdonerà e nemmeno Zunaira potrà farlo, quell’abisso di genere neppure l’amore può colmarlo e, certo, penserà la morte a pareggiare i conti.
Sarebbe ingiusto rivelare altro della trama che ha un forte potere di attrazione fino al colpo di scena, ed è il punto di forza di chiunque voglia narrar storie.
Un valore aggiunto è la contestualizzazione, così reale, attenta com'è ai riflessi che quel regime ha avuto su persone e cose, alle tragiche conseguenze di quel mix di fanatismo e violenza che sempre ha guidato l’istinto di sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Non è solo la donna, però, ad essere vittima, anche se a lei e allo stormo di rondini che si allargano in alto nel cielo è affidata un’ipotesi di speranza.E alle scarpette bianche di Zunaira che corrono lontane da quegli uomini che le avevano proibite.
Vittime sono tutti, anche quando sembrano stare dalla parte degli aguzzini. Anzi, lo sono di più, a loro non resta neppure la speranza.
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