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La Gomera, un noir contaminato sul mondo segreto dei fischi

Il regista Corneliu Porumboiu ha raccontato il suo film, presentato al Torino Film Festival e dal 27 febbraio al cinema.
di Ilaria Ravarino

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mercoledì 27 novembre 2019 - Incontri

Un poliziotto ambiguo, una femme fatale, una lingua misteriosa e criminale parlata dagli abitanti di un'isola selvaggia, al largo delle coste spagnole. Sono questi gli ingredienti de La Gomera, il film di Corneliu Porumboiu che - dopo il passaggio al Festival di Cannes e quello al Torino Film Festival - arriverà in Italia il 6 febbraio 2020 con il titolo La gomera - L'isola dei fischi.
Un film dalla preparazione lunga e faticosa, spesa in prove dettagliatissime e in vere e proprie lezioni di fischio (il silbo gomero, la lingua delle Canarie) per gli attori principali, Vlad Ivanov e Catrinel Marlon.

"Ci ha seguiti un insegnante certificato UE, perché quella dei fischi è una lingua protetta e riconosciuta dall'UNESCO nel 2014 - ha spiegato Marlon - L'abbiamo studiata per sei mesi a Bucarest, otto ore al giorno. E sempre all'alba, tra le cinque e le sei del mattino, perché l'insegnante poteva seguirci solo prima di andare al lavoro. Le prime due settimane è stata una tragedia. Ci sentivamo frustrati, imbarazzati, avevamo le guance e le labbra irritate per le prove. La prima volta che sono riuscita a fischiare in quel modo ero felice. È stata dura". Una preparazione che per il regista, tuttavia, era "più che necessaria. La gomera - L'isola dei fischi è un film il cui protagonista si trova ad apprendere un linguaggio del tutto nuovo. Parlare quel linguaggio era fondamentale per la storia".

Però ha torturato i suoi attori durante la preparazione...
In Romania abbiamo un'industria cinematografica povera, e siamo abituati a lavorare molto sui dettagli sin dalle prove. Non abbiamo budget per giorni extra di riprese, quindi arrivare sul set preparati è fondamentale. Puoi improvvisare uno o due giorni, magari. Ma per il resto devi essere preciso. 

Quanto pesa l'influenza di Tarantino e dei fratelli Coen? Qual è il suo rapporto con questi registi?
Li amo. Amo tutti i film dei Coen. Tarantino mi piace, sono entusiasta di C'era una volta a Hollywood (guarda la video recensione) e Bastardi senza gloria. Ma l'ispirazione è involontaria, è arrivata con la storia. Era la storia a guidarmi. Ho giocato molto con la tensione, usando la macchina da presa come strumento per raccontare e per spiare i protagonisti. È la storia di personaggi che si nascondono, che cercano di essere chi non sono. Una partita a scacchi. Un noir contaminato. 

Ci sono altri riferimenti cinefili nel suo film?
Gilda di Charles Vidor. E La finestra sul cortile di Hitchcock, chiaramente. Ho chiesto inoltre a Catrinel di giocare con uno stile alla Marlene Dietrich.

Le donne nel suo film hanno caratteri fortissimi. Più degli uomini.
Da una parte è un topos del noir, quello della donna dark e fatale. Dall'altra mi piaceva l'idea di raccontare un uomo che viene travolto da un mondo femminile potentissimo, di fronte al quale non può fare nulla. 

La colonna sonora mescola Iggy Pop alla musica classica. Perché questo mix?
"The Passenger" di Iggy Pop era perfetta per stabilire il tono. E poi le parole di quella canzone sono lo specchio ideale del viaggio del mio protagonista. Ho giocato molto con la musica, ogni motivo musicale era per me come un personaggio a parte. Sapevo che avrei concluso il film in una specie di giardino, un paradiso. La musica di quella scena l'ho trovata solo dopo aver scelto la location.

Nel film il controllo esercitato delle telecamere è ossessivo. È una metafora sociale?
Viviamo in un mondo governato dal denaro, in cui le persone cercano di prevaricare il prossimo, di imporsi. I miei personaggi, attraverso il fischio, reagiscono a un vizio della nostra società: quello di non ascoltarsi.

Che reazione si aspetta dal "popolo del fischio" delle Canarie?
Credo che sosterranno il film anche per via del linguaggio. È un tema molto dibattuto da loro, quello della sopravvivenza del silbo nella nostra epoca tecnologica. I bambini non vogliono più parlare con i fischi, purtroppo, anche se li studiano a scuola.


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