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vanessa zarastro
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giovedì 30 maggio 2019
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confessioni
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Francamente non riesco a condividere pienamente il grande entusiasmo con il quale è stato accolto l’ultimo film di Pedro Almodòvar, con l’esclusionr Natalia Aspesi che, cattivissima, così scrive: «Due buone parole per Almodòvar, perché non puoi ferire i bisognosi di cure mediche e psichiatriche…».
Ma non è tanto nella storia-confessione che ricorda, dove sono ricucite insieme parti di vita dello stesso autore, ma è proprio nel modo di fare cinema di Amodòvar che il film mi ha convinto poco. Infatti, “Dolor y Gloria” è un film molto statico che sembra quasi una sommatoria di fotogrammi.
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Francamente non riesco a condividere pienamente il grande entusiasmo con il quale è stato accolto l’ultimo film di Pedro Almodòvar, con l’esclusionr Natalia Aspesi che, cattivissima, così scrive: «Due buone parole per Almodòvar, perché non puoi ferire i bisognosi di cure mediche e psichiatriche…».
Ma non è tanto nella storia-confessione che ricorda, dove sono ricucite insieme parti di vita dello stesso autore, ma è proprio nel modo di fare cinema di Amodòvar che il film mi ha convinto poco. Infatti, “Dolor y Gloria” è un film molto statico che sembra quasi una sommatoria di fotogrammi. Questa modalità, che mi sta bene in Wes Anderson (“I Tenenbau” del 2001) che è uno sperimentatore di generi, mi va meno bene in Almodòvar, specialmente in questo film che è sostanzialmente un monologo sulla sua vita (o una lunga seduta di psicoanalisi, scrive qualcuno). Il tono del film è melanconico e poetico, però proprio per la sua staticità un pochino noioso e, onestamente, una tac in meno gli avrebbe giovato.
Salvador Mallo (una specie di anagramma), alter-ego di Almodòvar nel film, è un regista sulla soglia della sessantina in depressione e in crisi creativa. Non riesce più a scrivere sceneggiature né tantomeno a girare delle riprese, riesce solo a scrivere brevemente di sé, più come sfogo con se stesso che come proposta inventiva. Sta quasi sempre in casa, esce pochissimo, evita gli incontri mondani e rifiuta gli inviti. L’unica persona che sente e vede regolarmente è la sua manager Mercedes (Nora Navas), che si prende cura di lui. Pieno di acciacchi fisici, veri o presunti, passa da un medico all’altro, accompagnato dall’accudente manager, che gli prescrivono tutta una serie variegata di medicine. Ma chi di noi che ha superato i sessant’anni non ne prende tutta una serie giornaliera?
Salvador sente una grande nostalgia degli anni ’80 del secolo scorso, di un’epoca post franchista dove la gioia della libertà - e il piacere della trasgressione - erano diventati la sua ridondante cifra stilistica. La cineteca ha acquisito “Sabor” il suo vecchio film di successo di trent’anni prima: lui lo rivede e gli piace di più oggi che allora. Lo invitano a presentarlo insieme all’attore principale Alberto Crespo (uno splendido Asier Etxeandia) che Salvador si mette a ricercare dopo così tanti anni e molte aspre critiche. Dal loro incontro i poi, Salvator inizia un uso di droghe pesanti, eroina fumata, dopo che per anni aveva sempre lottato contro la droga, cercando anche di salvare dalla dipendenza Fernando, il suo grande amore della vita, amato e perduto trent’anni prima.
Così tra una fumata e una sbobba di medicine mischiate, contro i “mali astratti” e quelli concreti, il film presenta tutta una serie di flashback che riguardano la sua infanzia, il rapporto quasi morboso con la madre Jacinta, e l’assenza del padre.
Al film non manca nulla: gli attori sono tutti eccezionali a cominciare dalla immancabile Penelope Cruz, musa dei suoi film, allo stesso Banderas di cui la critica segnala alla sua migliore interpretazione. La fotografia è molto bella. I luoghi sono tutti interni – a parte la prima scena del bucato nel fiume - e la grotta ( i “sassi” di Paterna vicino Valencia) sembra essere un “utero materno”, con il delizioso il rivestimento di scampoli di maioliche che Eduardo (César Vincente), il giovane muratore-artista, inserisce come collage della propria storia. Eduardo piace molto a Salvador (forse anche a sua madre…) che gli insegna a leggere e a scrivere, lo definisce come il suo primo desiderio sessuale, in un età in cui non c’è stato ancora lo scoppio degli ormoni, ma sono presenti i primi turbamenti.
Lo stravagante appartamento in cui vive Salvador è la fedele ricostruzione della casa del regista, con quadri ad altezza d’uomo nell’ingresso, e colori forti molto “spagnoli”. Più discutibile sono le scelte di vestiario, ma è proprio così che si veste il regista, e poco credibili sono i vestiti a fiorellini e le espadrillas della Cruz che, poverissima, deve andare a cucire la domenica per arrotondare lo stipendio.
Il pezzo più bello del film, a mio avviso, è l’interpretazione teatrale one-man-show di Alberto nel teatrino off, dove recita il testo – un’auto-fiction letteraria - scritto da Salvador Mello, che vuole invece restare anonimo. Lì è perfetto perché è proprio teatro, giustamente bidimensionale, e l‘attore il più del tempo è immobile, seduto su una sedia con uno schermo dietro. È l’unica parte in cui non c’è l’onnipresente volto stralunato in primo piano di Antonio Banderas, con cui ha vinto il premio a Cannes 2019. Il ruolo di Mercedes, raccontata come una sorta di vestale, è quello che invece mi è piaciuto meno, troppo poco messo in evidenza, forse una donna che né Salvator né Pedro vedono a tutto tondo.
Il film si conclude con una rinascita creativa che fa sperare i critici ed entusiasmare i più appassionati del regista spagnolo.
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faller
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giovedì 30 maggio 2019
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immobile col futuro alle spalle
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Troppi elementi narrativi incompleti. Una storia a compartimenti stagni. Che fine fa l'attore che mette in scena il monologo? Che fine fa l'amato di un tempo ritrovato? Che senso ha il tumore che dura si e no (narrativamente) un paio di minuti e niente aggiunge? Che figura scialba è l'agente, devota a oltranza, calda come un cubetto di ghiaccio? Perchè dovrei empatizzare con questo regista (il personaggio) indolente, viziato e indispettito verso la vita? Se hai una vita che reputi interessante (e può essere) e intendi farci un film pretendo (da spettatore) che tu la renda universale. Un certo cinema italiano minimalista è stato accusato di essere ripiegato sul proprio ombelico, qui Almodovar si è ripiegato sulla propria ciatreice.
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Troppi elementi narrativi incompleti. Una storia a compartimenti stagni. Che fine fa l'attore che mette in scena il monologo? Che fine fa l'amato di un tempo ritrovato? Che senso ha il tumore che dura si e no (narrativamente) un paio di minuti e niente aggiunge? Che figura scialba è l'agente, devota a oltranza, calda come un cubetto di ghiaccio? Perchè dovrei empatizzare con questo regista (il personaggio) indolente, viziato e indispettito verso la vita? Se hai una vita che reputi interessante (e può essere) e intendi farci un film pretendo (da spettatore) che tu la renda universale. Un certo cinema italiano minimalista è stato accusato di essere ripiegato sul proprio ombelico, qui Almodovar si è ripiegato sulla propria ciatreice.
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francesca meneghetti
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martedì 28 maggio 2019
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il corpo è l'uomo (leopardi)
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La sequenza più insolita del film è data dal rapido susseguirsi, in movimento, di immagini medico-scientifiche che scandagliano, anche in 3D, il corpo umano: cervello, ossa, muscoli, sistema venoso e arterioso, cuore, polmoni e così via. La sola cifra che consente il collegamento con il resto del film è il colore vivace: ci riporta a quel kitsch eccessivo, ma pur sempre vivo, che è sempre stato il leit motiv di tanti di tanti film di Almodóvar. Si ritrova anche in Dolor y Gloria, dove esplodono spesso il bianco, il rosso, il verde-azzurro, l’ocra, spesso accostati tra loro in barba alle regole dell’armonia, anche a fare da sfondo a primi piani di personaggi che sembrano ritagliati. Ma sicuramente qui il kitsch è più misurato, così come un velo morbido sembra sfumare tutto: colori, ritratti, situazioni, dialoghi, colonna sonora (Alberto Iglesias, ma incorpora anche un melodioso pezzo di Pino Donaggio cantato da Mina, “Come una sinfonia”).
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La sequenza più insolita del film è data dal rapido susseguirsi, in movimento, di immagini medico-scientifiche che scandagliano, anche in 3D, il corpo umano: cervello, ossa, muscoli, sistema venoso e arterioso, cuore, polmoni e così via. La sola cifra che consente il collegamento con il resto del film è il colore vivace: ci riporta a quel kitsch eccessivo, ma pur sempre vivo, che è sempre stato il leit motiv di tanti di tanti film di Almodóvar. Si ritrova anche in Dolor y Gloria, dove esplodono spesso il bianco, il rosso, il verde-azzurro, l’ocra, spesso accostati tra loro in barba alle regole dell’armonia, anche a fare da sfondo a primi piani di personaggi che sembrano ritagliati. Ma sicuramente qui il kitsch è più misurato, così come un velo morbido sembra sfumare tutto: colori, ritratti, situazioni, dialoghi, colonna sonora (Alberto Iglesias, ma incorpora anche un melodioso pezzo di Pino Donaggio cantato da Mina, “Come una sinfonia”). Sono diverse le possibili chiavi di lettura del film: l’autobiografia, il racconto della crisi creativa di un regista sessantenne, Salvador, la nostalgia del passato, che include un’infanzia povera, ma felice a Paterna, un paesino dell’area valenciana (almeno fino al passaggio al seminario, per poter studiare), e una giovinezza libera e trasgressiva nella capitale, e un grande amore omosessuale troncato con dolore. Ma forse il nucleo pesante del film è dato dal tema del corpo: fonte di piacere da giovani, radice di ogni dolore, fisico e psicologico, quando avanzano gli anni (E il corpo è l’uomo, scriveva Leopardi nel Dialogo di Tristano e di un amico!). Finché l’organismo ci propina un dolore al giorno si può restare atei, dice Salvador, ma, quando di notte i dolori ingombrano corpo e anima, il cervello va in tilt, la laicità pure e si finisce per pregare. Salvador è afflitto da mal di testa, mal di schiena, depressione e da una terribile disfagia che lo porta a pensieri cupi e accentua la depressione: così non vuole uscire, non scrive, non fa ciò per cui sente di essere nato: girare film (perché per farlo ci vuole fisico). Ma poi la matassa aggrovigliata dei dolori aggrappati al passato comincia a dipanarsi, e si ritrova il filo giusto, la via di fuga. Nello schema narrativo si alternano racconti del presente, spesso girati in spazi interni, con molti primi piani, opportunamente illuminati, per dare risalto alle espressioni del viso e ai moti dell’anima, con sequenze in flashback (forse non del tutto autentiche…) Una delle più belle è a metà tra il neorealismo e l’Odissea di Omero: la bellissima mamma di Salvador bambino (Penelope Cruz), come Nausicaa, lava i panni nel fiume e li distende sui cespugli ad asciugare, contando una dolcissima canzone. Notevole anche l’arrivo a Paterna, tutta bianca, con le sue case, e le grotte, come quelle di Matera, dove finirà per vivere la famiglia del futuro regista. La maturità di Almodóvar lo ha portato a rifuggire dagli eccessi (e se ciò avviene è con una certa leggerezza), dalle trame complicate e inverosimili, dai trucchi istrionici per emozionare. Basta, per questo, una materia autentica e universale, come il dolore per la morte di una madre tanto amata, un dolore prima rimosso, poi affrontato dopo aver toccato il fondo (cercando l’oblio nell’eroina fumata: esperienza, per altro, che appartiene a Salvador ma non ad Almodóvar) . Del resto i colpi di scena degni del miglior cinema non mancano. Giustamente premiata l’interpretazione di Antonio Banderas, ma spacca anche quella di Asier Etxeandía, nella parte di Alberto Crespo, attore amato e poi rinnegato di Salvador, il cui ingresso in scena, molto rock, ricorda il migliore Johnny Depp.
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maramaldo
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lunedì 27 maggio 2019
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adiòs, pedrito
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"Sento" come un distacco il tuo amarcord. Quel vezzo di raccontarsi ad ogni costo, per dire che? Almeno tu hai la "gloria". Sarebbe a dire che mantenne le promesse il bimbetto dotato, cresciuto tra i trogloditi che, a quanto pare, oltre che in Andalusia, abitavano anche in Estremadura. Precoce, così piccolo e già anticlericale (segno che una Provvidenza c'è, ve l'immaginate se veniva fuori un prelato).
C'è più di un "dolor" quando ti soffermi su acciacchi e cattive abitudini. L'eclissi dell'ispirazione e, soprattutto, il calo di "alegrìa" sono tragedia per chi vive per l'arte.
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"Sento" come un distacco il tuo amarcord. Quel vezzo di raccontarsi ad ogni costo, per dire che? Almeno tu hai la "gloria". Sarebbe a dire che mantenne le promesse il bimbetto dotato, cresciuto tra i trogloditi che, a quanto pare, oltre che in Andalusia, abitavano anche in Estremadura. Precoce, così piccolo e già anticlericale (segno che una Provvidenza c'è, ve l'immaginate se veniva fuori un prelato).
C'è più di un "dolor" quando ti soffermi su acciacchi e cattive abitudini. L'eclissi dell'ispirazione e, soprattutto, il calo di "alegrìa" sono tragedia per chi vive per l'arte. Tutto ciò lo hai affidato a tue creature sulle quali puoi vantare un diritto di paternità, anzi di maternità in quanto hai "fatto" sia lui sia, principalmente, lei.
Antonio Banderas, perfetto nella sua interpretazione di certo vissuta.
Penélope Cruz per la quale, assieme ad altri milioni, penso che non si possa esercitare il senso critico. Fa la madre da giovane. Ad "invecchiarla" sarebbero bastati pochi tocchi di trucco, qualche mèche: riusci più che bene a Sergio Castellitto nel suo Venuto al Mondo. Non hai osato la contaminazione della memoria nel raffigurare l'anziana del culto. Devozione viscerale e sensi di colpa. Hai preferito affidare la parte ad un'attempata attrice, l'antica Julieta Serrano , l'amica dei giorni in cui si rideva di tutte. Niente di più lontano dall'Encantadora. Non corrisponde nemmeno la statura. Ogni tanto la fai camminare a "papera". Certo, si muovono così le donne povere in Estremadura. Ma mi sembra un pretesto, un attentato alla maestà della sua "naturaleza".
Mi chiedo se mai hai amato la Cruz. Fin qui posso capire. Ma ad un certo punto parli di una Spagna una, ecc., che non esiste se mai sia esistita. Detesti anche quella, un'entita astratta, una costruzione ideologica? Non parliamo del mondo in cui sei divenuto Almodòvar. Per caso, non ce l'hai soltanto con te stesso? Sarebbe triste. Passerà?
P.S. Stelle 2, stizza dell'aficionado indispettito. Voi, dategliene quante volete. Non possono che fargli del bene. Lo consoleranno, Pedro. Gli daranno il coraggio di oltrepassarsi, di continuare. Meglio e più che un sorso di quella tequila che campeggia al centro di un'inquadratura.
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giajr
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domenica 26 maggio 2019
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l'inconfondibile stile di almodovar: vincente
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Ancora una volta il mitico Pedro Almodovar non delude, se poi al suo fianco ci sono un eccezionale Antonio Banderas (che a tratti ricorda il superbo Marcello Mastroianni) ed una attrice come Penelope Cruz (che rammenta l'eterna Sophia Loren), allora il successo è pressoché assicurato. La storia, i colori, le scenografie e gli ambienti caratterizzano, come da sempre, le pellicole di Almodovar; per non parlare dei personaggi (anche se non protagonisti). La Spagna di Madrid ed il ricordo del passato dentro il quale, per tutto il film, il protagonista si tuffa, sono il filo conduttore della storia, forse in certi tratti un po' lenta, ma mai noiosa. Poi c'è, come spesso accade in questo regista, il valore degli oggetti (il ritratto, il rosario, l'uovo di legno.
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Ancora una volta il mitico Pedro Almodovar non delude, se poi al suo fianco ci sono un eccezionale Antonio Banderas (che a tratti ricorda il superbo Marcello Mastroianni) ed una attrice come Penelope Cruz (che rammenta l'eterna Sophia Loren), allora il successo è pressoché assicurato. La storia, i colori, le scenografie e gli ambienti caratterizzano, come da sempre, le pellicole di Almodovar; per non parlare dei personaggi (anche se non protagonisti). La Spagna di Madrid ed il ricordo del passato dentro il quale, per tutto il film, il protagonista si tuffa, sono il filo conduttore della storia, forse in certi tratti un po' lenta, ma mai noiosa. Poi c'è, come spesso accade in questo regista, il valore degli oggetti (il ritratto, il rosario, l'uovo di legno...), dell'amicizia (quella vera e forte), dell'amore e degli affetti. Tutto rappresentato in modo pulito anche se, talvolta, apparentemente sopra le righe (ma solo al primo acchito). Insomma una ennesima pellicola da aggiungere alla collezione degli amanti di Pedro Almodovar.
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annelise
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sabato 25 maggio 2019
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che vuoi fare? "vivere, immagino"
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Pedro parla di se'. Trova il coraggio di aprire la porta della propria intimità al pubblico, in modo chiaro e diretto. Riassume, nel suo ultimo film, il groviglio di emozioni ed eventi di una vita intera:amore, morte, salute,droga,malattia,nostalgia ,passione. Il film narra un'infanzia ed un'adolescenza complicate e bizzarre, un talento infantile fuori dal comune . Un percorso travagliato ,con l'alternarsi di produzioni artistiche e di vuoti ideativi e creativi La figura della madre, tanto amata, primeggia nel suo universo affettivo,da giovane e da vecchia. Lascia il dubbio sul suo valore di figlio ma lascia un vuoto incolmabile. Il film può apparire a tratti lento ma, in realtà, il percorso mnemonico ,quasi onirico,va cercando, con una lente di ingrandimento, episodi ,dialoghi e ricordi che abbiano avuto un senso ed un significato per la sua carriera, per la sua crescita professionale e per la sua creatività.
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Pedro parla di se'. Trova il coraggio di aprire la porta della propria intimità al pubblico, in modo chiaro e diretto. Riassume, nel suo ultimo film, il groviglio di emozioni ed eventi di una vita intera:amore, morte, salute,droga,malattia,nostalgia ,passione. Il film narra un'infanzia ed un'adolescenza complicate e bizzarre, un talento infantile fuori dal comune . Un percorso travagliato ,con l'alternarsi di produzioni artistiche e di vuoti ideativi e creativi La figura della madre, tanto amata, primeggia nel suo universo affettivo,da giovane e da vecchia. Lascia il dubbio sul suo valore di figlio ma lascia un vuoto incolmabile. Il film può apparire a tratti lento ma, in realtà, il percorso mnemonico ,quasi onirico,va cercando, con una lente di ingrandimento, episodi ,dialoghi e ricordi che abbiano avuto un senso ed un significato per la sua carriera, per la sua crescita professionale e per la sua creatività. La vita dell'artista, però, non è separata dalla vita dell'uomo .Si mescolano in modo inestricabile gli amori, le delusioni, le passioni ,le mancanze che sono dell'uomo e che condizionano l'artista. E' proprio" Il mestiere di vivere" che appare, in questi ultimi anni, più difficile di quello dell'artista. Si rianima quando si muove una nuova speranza ,una nuova progettualità, quando si muovono positivamente le relazioni umane (non soltanto quelle professionali) I sentimenti malinconici hanno come sfondo una scenografia prorompente a colori vivaci che sembra esprimere la necessità di sdrammatizzare un contenuto triste.Alberi rigogliosi, rami in fiore, ripresi a primavera , danno l'idea del risveglio emotivo che si sta preparando , nell'alternarsi delle stagioni della natura e della vita umana. La casa rifugio, nella quali si consumano malattia e tristezza è ricca di oggetti e addobbi allegri e colorati. Il ritorno alla vita riappare, quasi magicamente, con una macchina da presa su un set in cui Pedro e sua madre si ritrovano all'inizio del loro percorso.
Le interpretazioni degli attori sono buone, in particolare quella di Banderas ,malinconico e sofferente , intenso negli attimi di smarrimento e paura . Non è più il giovane attore bello, con il sex appeal degli anni passati, ma è attore maturo che si muove con delicatezza in questa sua nuova stagione di vita.
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ralphscott
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sabato 25 maggio 2019
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quella collezione di vasi...
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Quella collezione di vasi,ovviamente coloratissimi,i quadri surrealisti e metafisici,il mobilio di design (toh,c'è pure la macchina da caffè Smeg),un museo di fedeli,amati oggetti per Salvador: mentre le persone amate sono scomparse da anni,il nido del regista ne è diventato un succedaneo,per quanto sia possibile. Quando il passato ritorna,scopriamo qualcosa di decisamente più interessante:gli anni dell'infanzia,la madre - una Cruz stupenda - e la presenza determinante di tante donne,la passione per il cinema. Che gioia l'album di figurine (la battuta su Robert e Liz Taylor va ricordata)! Questo è quanto mi piace del film. Sono sinceramente stufo della droga,qui co-protagonista,che mi stava bene quando rievocava gli anni '80 a Madrid,ma diventa ingombrante nell'attualità.
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Quella collezione di vasi,ovviamente coloratissimi,i quadri surrealisti e metafisici,il mobilio di design (toh,c'è pure la macchina da caffè Smeg),un museo di fedeli,amati oggetti per Salvador: mentre le persone amate sono scomparse da anni,il nido del regista ne è diventato un succedaneo,per quanto sia possibile. Quando il passato ritorna,scopriamo qualcosa di decisamente più interessante:gli anni dell'infanzia,la madre - una Cruz stupenda - e la presenza determinante di tante donne,la passione per il cinema. Che gioia l'album di figurine (la battuta su Robert e Liz Taylor va ricordata)! Questo è quanto mi piace del film. Sono sinceramente stufo della droga,qui co-protagonista,che mi stava bene quando rievocava gli anni '80 a Madrid,ma diventa ingombrante nell'attualità. Banderas si "cala" convintamente ed efficacemente nella parte e i suoi amanti reggono pienamente la scena;stupenda la scena del ricongiungimento e,forse,nuovo addio,con Leonardo Sbaraglia,il grande amore di Salvador. Triste vedere come si è modificata Cecilia Cruz,se si riesce a riconoscerla,dopo i fasti del "Tutto su mia madre" di venti anni fa',esatti. Quest'ultima fatica del regista castigliano chiude,ad ora,un percorso che da diversi anni ormai ha privilegiato il dramma perdendo l'ironia di un tempo,che pure piaceva tanto. Sono film innegabilmente marchiati,trionfo di colori - qui si ammirano,in particolare,i titoli di testa e le incursioni nelle pagine di anatomia dei dolori del mattacchione,pieno di acciacchi - ma ormai il contrasto tra la vibrante confezione e la deriva dello spirito è fortissimo.
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nadia meden
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giovedì 23 maggio 2019
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la droga fa male..
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Molto, molto bravo e soprattutto molto, molt bello il bambino che interpreta Salvador ( Banderas) da piccolo. Sempre bella e brava la Sig.ra Penelope Cruz, brava e simpatica L'attrice che interpreta la madre anziana di Salvador. Belle foto, belle inquadrature, bellissimi colori , per il resto appelliamoci alle decisioni della giuria del Festival di Cannes. Grazie.
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antonio galliani
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mercoledì 22 maggio 2019
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difficile da capire
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Cosa salvo di questo film? Poco o niente: la cura nella confezione delle immagini e la performance degli attori. Ma per il resto che altro c'è di interessante?
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lorifu
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mercoledì 22 maggio 2019
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la forza della memoria
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L’ultimo film di Almodóvar, presentato nei giorni scorsi a Cannes, e in odore di Palma d’oro, ha fatto centro.
In questo film c’è un Almodóvar intimo, sincero che forse alla soglia dei settant’anni ha voluto mettersi a nudo parlando di sé senza filtri, raccontandosi attraverso il film della sua vita. Un film a tratti doloroso, soprattutto quando rammenta l’infanzia povera, in un paesino vicino a Valencia, la scoperta della sua omosessualità, il grande amore per la madre, interpretata da una intensa Penelope Cruz, che come un filo invisibile attraversa la sua vita. E poi l’amore, amore perso e ritrovato per caso, destinato a riaccendersi per un solo attimo, forse soltanto nel ricordo di quello che fu.
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L’ultimo film di Almodóvar, presentato nei giorni scorsi a Cannes, e in odore di Palma d’oro, ha fatto centro.
In questo film c’è un Almodóvar intimo, sincero che forse alla soglia dei settant’anni ha voluto mettersi a nudo parlando di sé senza filtri, raccontandosi attraverso il film della sua vita. Un film a tratti doloroso, soprattutto quando rammenta l’infanzia povera, in un paesino vicino a Valencia, la scoperta della sua omosessualità, il grande amore per la madre, interpretata da una intensa Penelope Cruz, che come un filo invisibile attraversa la sua vita. E poi l’amore, amore perso e ritrovato per caso, destinato a riaccendersi per un solo attimo, forse soltanto nel ricordo di quello che fu.
Salvador, il suo alter ego, magistralmente interpretato da Antonio Banderas, è un uomo afflitto dai tanti mali fisici ma più ancora da quelli dell’anima che ha sempre cercato di lenire facendo uso di eroina perdendosi e perdendo stimoli, ispirazione, voglia di vivere e creare. Ma il suo talento e la forza interiore lo spingeranno a rinascere e a trovare la forza per tornare dietro la macchina da presa.
“Il cinema della mia infanzia sapeva di pipì. Di gelsomino. E di brezza d’estate” scriveva, ma solo quando riuscirà a riconciliarsi con se stesso attraverso il controllo dei mali fisici e il superamento dei sentimenti di colpa nei confronti della madre, potrà finalmente rappresentare quel mondo che gli viveva dentro.
Dolor y Gloria, dolore e gloria, è la sintesi perfetta di un film basato sulla memoria perché sarà proprio la memoria a diventare elemento salvifico. Bellissimo!
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