PJ Harvey - A Dog Called Money

Film 2019 | Documentario, 94 min.

Titolo originaleA Dog Called Money
Anno2019
GenereDocumentario,
ProduzioneIrlanda, Gran Bretagna
Durata94 minuti
Regia diSeamus Murphy
AttoriP.J. Harvey, Terry Edwards, John Parish .
TagDa vedere 2019
DistribuzioneWanted
MYmonetro 3,47 su 7 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Seamus Murphy. Un film Da vedere 2019 con P.J. Harvey, Terry Edwards, John Parish. Titolo originale: A Dog Called Money. Genere Documentario, - Irlanda, Gran Bretagna, 2019, durata 94 minuti. distribuito da Wanted. - MYmonetro 3,47 su 7 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento venerdì 4 dicembre 2020

Un viaggio attraverso l'intimità, le emozioni e le culture della musica di PJ Harvey. In Italia al Box Office PJ Harvey - A Dog Called Money ha incassato 5,3 mila euro .

Consigliato sì!
3,47/5
MYMOVIES 4,00
CRITICA 3,42
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO SÌ
Un documentario sulla cantante cult PJ Harvey, capace di cogliere una verità e restituirla allo spettatore.
Recensione di Nicola Falcinella
martedì 12 febbraio 2019
Recensione di Nicola Falcinella
martedì 12 febbraio 2019

La musicista britannica PJ Harvey ha accompagnato più volte il fotografo irlandese Seamus Murphy nei suoi viaggi, in Afghanistan, Kosovo e a Washington DC. Dai suoi appunti ha tratto spunti per il disco "The Hope Six Demolition Project", contenente 11 tracce, registrato in uno studio costruito appositamente a Londra e pubblicato nel 2016. Il film è l'unione delle parole e le note della Harvey e delle immagini di Murphy.

Cantante di culto fin dagli anni '90, nota anche per le collaborazioni con Nick Cave e Thom Yorke, PJ Harvey è artista versatile: nel 1998 aveva recitato in The Book of Life di Hal Hartley.

Murphy riesce, senza farne un ritratto, a trasmettere lo sguardo che la musicista ha sul mondo e a raccontarne l'ispirazione e il processo creativo. Un qualcosa di difficile da rendere, senza essere didascalici, eppure il fotografo, alla prima regia, riesce magicamente a farlo. Si parte da Kabul, il luogo che ritorna più spesso nel film, con un bambino con il naso appoggiato al finestrino e un cinema distrutto. Poi la Harvey cammina per strada e, con la sua voce sottile, condivide alcuni pensieri sulla città. Sono appunti, materia per comporre poi le canzoni, e sono tra le poche parole di un film che coinvolge senza dare troppe spiegazioni.

Segue l'allestimento di uno studio di registrazione che, come per un'installazione, è fatto per dare al pubblico la possibilità di assistere alle incisioni attraverso una vetrata. È questo dispositivo che permetterà di fare come se tutte le persone incontrate nei viaggi fossero presenti e partecipanti nel momento della composizione e dell'esecuzione. Tra un brano e l'altro, ci sono le modifiche, i suggerimenti, le richieste di consigli, ma anche gli scherzi e i giochi di parole.

La musica accompagna e abbraccia, ma non è mai dominante, figurano tutti i pezzi del disco ma mai per intero o nella versione finale. A Dog Called Money, dal titolo di una delle canzoni, non ha quasi nulla di autobiografico, non è per niente autoreferenziale, ma restituisce la relazione che PJ Harvey instaura con i luoghi che visita, con le situazioni, le persone. C'è una Kabul insolita e affascinante, dove ci sono anche i militari, ma soprattutto tanti volti di persone comuni che lavorano o vivono la propria quotidianità. C'è la Washington della Casa Bianca, del Campidoglio e dell'obelisco, ma pure quella oltre il fiume Potomac: la città di chi non trova un lavoro o non vede un futuro e magari intona un rap che la cantante puntualmente registra, non la capitale del potere.

C'è il Kosovo con i monaci del monastero di Decani, le feste albanesi e i musicisti rom, ma si arriva ai migranti che premono in Grecia, a Idomeni, o a chi manifesta in Siria. Dall'altra parte un comizio a favore di Donald Trump e chi ne contesta l'elezione. Il tutto fluidamente alternato alle immagini dello studio della cantante al lavoro con i suoi musicisti: non un giudizio, per altro già implicito, su ciò che accade, ma come diventa spunto anche non palese della creatività della Harvey.

Un documentario che si colloca, e probabilmente non potrebbe essere diversamente date le sue collaborazioni passate, a metà tra Junun di Paul Thomas Anderson e Nick Cave - 20.000 Days on Earth con Nick Cave, senza averne magari la raffinatezza di concetto o di regia, ma con la capacità di cogliere una verità e restituirla allo spettatore. Murphy non si lascia condurre la musica e riesce a unirla alle immagini come se sgorgassero insieme e si unissero in un'emulsione: un balsamo per chi ama l'artista e non soltanto.

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STAMPA
RECENSIONI DELLA CRITICA
martedì 26 maggio 2020
Caterina Bogno
Film TV

Tra 2011 e 2014 PJ Harvey segue in Kosovo, in Afghanistan e a Washington il fotografo Seamus Murphy, autore dei 12 Short Films che nel 2011 avevano accompagnato Let England Shake - l'album dell'apertura, per la superba cantrice di fantasmi interiori, al fuori, al mondo, a un inedito tipo di demoni. Ne nascono un libro; un disco, The Hope Six Demolition Project (dal programma Usa per la demolizione [...] Vai alla recensione »

venerdì 22 maggio 2020
Anna Maria Pasetti
Il Fatto Quotidiano

Parole, immagini e note. Niente di più semplice, niente di più complesso se a crearsi è vera poesia animata da sincero impegno socio-politico. L' identificazione di un connubio artistico fra i più felici dei nostri tempi è quasi immediata: P.J. Harvey e Seamus Murphy. Traducendo per i meno esperti: una delle divine del rock alternativo britannico (riduzione per necessità semplificativa) accanto a [...] Vai alla recensione »

giovedì 21 maggio 2020
Giona A. Nazzaro
Il Manifesto

Il cosiddetto documentario di argomento rock è un genere a sé stante. Possiede una forma canonica strutturata quasi sempre intorno al montaggio di interviste recenti, con i protagonisti che guardano con nostalgia, rimpianto, divertimento, ironia al loro passato, testimonianze , materiale d' archivio che rievoca momenti cruciali della carriera e interviste d' epoca.

mercoledì 20 maggio 2020
Raffaella Giancristofaro
Duels.it

Tra il 2011 e il 2014 PJ Harvey segue nei suoi viaggi in Kosovo, Afghanistan e negli USA (Washington, D.C.) l'amico fotoreporter e filmmaker irlandese Seamus Murphy (A Darkness Visible), già autore dei video per i pezzi del suo precedente Let England Shake (2011). Dagli appunti e dagli incontri raccolti dalla cantautrice sul percorso - in aggiunta alle riprese fatte, sempre da Murphy, in Siria e Macedonia [...] Vai alla recensione »

martedì 19 maggio 2020
Paola Zonca
La Repubblica

Un bimbo afghano dal viso buffo e tenerissimo si affaccia al finestrino di un'automobile e vi schiaccia contro il suo piccolo naso: ancora non si sa chi è a bordo della vettura, ma basta questa suggestiva scena per incuriosire lo spettatore. Incomincia così il documentario PJ Harvey. A dog called money che, presentato nella sezione Panorama della scorsa Berlinale, inaugura dopodomani la nuova sala [...] Vai alla recensione »

martedì 19 maggio 2020
Lorenzo Ciofani
La Rivista del Cinematografo

Inizia con un'immagine di bellezza tragica, che come tutte le visioni decadenti ha qualcosa di misteriosamente attraente. È una sala abbandonata, fatiscente, quasi un reperto archeologico. Un luogo che, in questi giorni, assume un significato a tratti inquietante. "Fino a venti anni fa potevi pagare il biglietto del cinema in pallotte", dice PJ Harvej, anima che abita ogni angolo di PJ Harvey - A [...] Vai alla recensione »

NEWS
TRAILER
mercoledì 20 maggio 2020
 

Regia di Seamus Murphy. Un film con P.J. Harvey. Da domani direttamente in digitale.  Guarda il trailer »

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