Paul Feig torna alla regia con un prodotto spiazzante e difficilmente classificabile.
di Roy Menarini
Paul Feig sta diventando il regista di cinema femminile più importante degli ultimi anni. Ignorato perché gira "filmetti" (come se il filmetto non fosse il sismografo dello stato dell'ideologia sociale americana), ha ampiamente dimostrato di saper lavorare su personaggi di donne tanto più autentiche quanto più apparentemente grottesche e survoltate. Se Le amiche della sposa rimane il suo lavoro più compiuto, esilarante e a suo modo struggente, e se i suoi spy-action come Corpi da reato valgono più per i frammenti che per il tutto, con Un piccolo favore (guarda la video recensione) sembra intenzionato a dire cose molto interessanti attraverso un prodotto assolutamente indefinibile. Il continuo rimbalzare tra noir e commedia, parodia e thriller, lascia a dir poco spiazzati. L'intuizione maggiore è quella di lasciare al talento formidabile di Anna Kendrick campo libero per la costruzione di un personaggio molto riuscito, la mamma perfettina che in un primo momento odieresti, nel secondo usi come baby sitter e nel terzo sottovaluti fatalmente. Il confronto e conflitto con il personaggio di Blake Lively (la cui fisicità continua a impressionare anche se votata a film "minori" per eccellenza) sostiene l'intera storia, fino a infilarsi in una spirale talmente esagerata da non poter essere considerata inconsapevole.
Gli uomini, compresi i bambini, sono un dettaglio nel quadro: il resto è totalmente, squisitamente - e spesso spietatamente - femminile. Dei maschi non si fa a meno, ma solamente perché lo richiede madre natura. La famiglia è continuamente scomposta e ricombinata, con occasioni di incesto e di tradimento che sono serviti, in Un piccolo favore, con sconsiderata ironia.
L'unica spiegazione del perché sia stata data luce verde a un film così inclassificabile - e difficilmente commerciabile, pur con attrici conosciute - è evidentemente il best seller di origine. Tuttavia, rimane la domanda: a chi parla Un piccolo favore? Esiste un pubblico che stia al gioco e si lasci pestare le dita da continui mutamenti di tono e ritmo, di genere e di aspettative? Si deve parlare ormai di film-orfani, che nascono senza genitori (ovvero punti di riferimento pre-esistenti) né destinati a generare imitazioni. Il sospetto è che opere di questo tipo nascano anche grazie alla serialità televisiva contemporanea, dove l'eccentricità di storie e personaggi è divenuta la regola, e gli stravolgimenti narrativi sono all'ordine del giorno, salvo che in Un piccolo favore vengono compressi in cento minuti. Tornando ai contenuti, si diceva del punto di vista interno al campo da gioco femminile. La sotto-traccia della scuola e delle mamme rasenta l'ossessione negli Stati Uniti, almeno a giudicare dal cinema e nella televisione recenti. Dalle bad moms alle iene (poi solidali) di Big Little Lies (guarda la video recensione), queste donne catalizzate dai figli si devono principalmente liberare dall'infantilismo di ritorno cui sono costrette. Da frustrazioni e soffocamenti sociali. E quando incontrano modelli emancipati e persino insofferenti delle regole domestiche e del dispotismo dei marmocchi (come in questo caso), possono trasformarsi nel loro opposto. Mai sfidare una mamma a dimostrare di che cosa è capace.