Mi Ameranno quando Sarò Morto

Film 2018 | Documentario 98 min.

Regia di Morgan Neville. Un film Da vedere 2018 con Orson Welles, Peter Bogdanovich, Frank Marshall, Oja Kodar, Beatrice Welles. Cast completo Titolo originale: They’ll Love Me When I'm Dead. Titolo internazionale: They'll Love Me When I'm Dead. Genere Documentario - USA, 2018, durata 98 minuti. - MYmonetro 3,23 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento martedì 6 novembre 2018

L'altra faccia del vento, il film che Orson Welles non riuscì a completare negli anni Settanta.

Consigliato sì!
3,23/5
MYMOVIES 3,50
CRITICA
PUBBLICO 2,96
CONSIGLIATO SÌ
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Making of dal battito trascinante di The Other Side of the Wind, incompiuto, ultimo film di Orson Welles .
Recensione di Raffaella Giancristofaro
lunedì 3 settembre 2018
Recensione di Raffaella Giancristofaro
lunedì 3 settembre 2018

Storia della lavorazione infinita e intermittente dell'ultimo film girato da Orson Welles, The Other Side of the Wind: incompiuto, montato da Bob Murawski e presentato anch'esso a Venezia 2018 come evento speciale Fuori Concorso (su Netflix a novembre). La guida che accompagna lo spettatore in questa ricostruzione complicata è l'attore Alan Cumming, da una moviola in una editing room vintage. Morgan Neville, veterano della produzione di documentari sulle retrovie dell'entertainment (Oscar nel 2014 per il doc Twenty Feet From Stardom) incornicia così il racconto, montando a ritmo incalzante estratti di interviste a Welles e frammenti del footage realizzato in più riprese, tra Europa e Stati Uniti, tra 1970 e il 1985, anno della sua morte.

Bobine di pellicola a un certo punto confiscate al suo autore e chiuse in un caveau parigino per decenni, ma recuperate grazie all'ostinazione dei collaboratori di allora nel voler mostrare al mondo "il più grande film della storia del cinema mai distribuito".

Ovviamente il testimone numero uno dell'impresa è il discepolo e amico, nonché intervistatore privilegiato, Peter Bogdanovich, anche lui tra gli interpreti del film. Legato all'autore di Quarto potere da un misto di ammirazione, competizione, complicità che a tratti sembra sconfinare nell'attrazione erotica. Apparentemente la volontà di Welles in The Other Side of the Wind era quella di realizzare un documentario con dialoghi improvvisati, che seguisse la festa di compleanno (e in trasparenza anche il ritorno sulle scene) di un anziano regista e, in parallelo, le peripezie di uno giovane. Questa seconda parte poi si svilupperà in una specie di parodia del cinema d'autore europeo, intimista e stilizzato, da Antonioni a Bergman e Bertolucci, anarchica e sessualmente esplicita, fortemente caratterizzata dalla sensualità nuda di Oja Kodar, ultima compagna di Welles e tra le voci di commento del documentario.

Più che un set, quello di The Other Side of the Wind pare una comune, un circo di amici e colleghi (tra cui si avvistano anche Claude Chabrol, Henri Jaglom, Dennis Hopper), con studenti di cinema con cineprese e registratori sempre accesi, nani, manichini. Soprattutto, un luogo aperto al caso, all'imprevisto («le cose più grandi nel cinema sono incidentali, il regista è colui che presiede a questi incidenti», dice Welles).

Nella crew tecnica - composta in tutto da sette persone - spicca Gary Graver, cameraman che ha collaborato con Roger Corman e John Cassavetes, ma anche regista di film soft porno (come One Million AC /DC, storia di dinosauri bisessuali creati da Ed Wood). Anche lui sedotto da Welles, Graver collassa perfino sul set pur di continuare a lavorare per lui (gratis), tra continue interruzioni, dovute ai finanziamenti a singhiozzo, e una catena di avversità. Il regista maturo del "film nel film" è John Huston (nome di finzione: Jake Hannafort) vecchio complice di Welles: come lui un talento non imbrigliabile, che la fabbrica seriale hollywoodiana riuscì a fagocitare solo in parte. Un alter ego o forse no, perché l'inganno, la maschera sono la sostanza dell'autore di F for Fake: regista, truffatore, ammaliatore, entertainer, mago. Ma anche enfant prodige orfano, spasmodicamente in cerca di amore e amicizia: non è un caso che il film e il titolo di Neville ("sarò amato da morto") sottolineano come l'unico Orson del cinema abbia lavorato per tutta la sua filmografia, finita o meno, sul tema del tradimento.

"It's all in the editing", tutto sta nel montaggio, il suo modus operandi. Al di là delle vicissitudini rocambolesche subite dal regista prima osannato e poi allontanato dal mainstream, che più di tutti ha vissuto la maledizione di essere genio (e quindi "l'esilio" europeo, la costante, deprimente ricerca di fondi, l'ammirazione della New Hollywood, per cui è stato modello anche produttivo) e nell'anarchia del contesto qui ricostruito, il film indica non solo diverse immagini dell'uomo, ma anche differenti ere del cinema che possono sovrapporsi nell'opera di un autore. Tra i passaggi più cult e rappresentativi della sua indole ribelle, un estratto dal sarcastico discorso al premio dell'American Film Institute (1975), che non lo farà tornare nelle grazie dei finanziatori.

Un making of dal battito trascinante, che fa buon uso del prezioso girato a cui può finalmente attingere ma anche al ricchissimo repertorio di istrionismi del suo protagonista. Secondo un principio mimetico, Neville adotta il "metodo" Welles, giustapponendo una verità all'altra, una dichiarazione sensazionale a quella successiva, restituendo la rockstar anticonformista che effettivamente Welles è stato. Testimoniando in forma smaccatamente pop, anche per un pubblico di non cinefili, gli ultimi quindici anni di lavoro del "primo dei registi indipendenti". Si può leggerlo anche come una beffarda, tanto più perché postuma, rivincita dell'autore di L'infernale Quinlan sull'industria e poi le nouvelles vagues che lo avevano scavalcato. La ricostruzione di un mix elettrico di caos, parodia, bulimia, e creatività libera che si alimenta, si gratifica, vive e pulsa nel processo. Fino a quando dura il gioco.

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