Un'altra produzione del "cinema del faro" medio, interstiziale, autonomo e senza tempo.
di Roy Menarini
Si può persino ribattezzare "cinema del faro", la produzione di film ambientati su isole con al centro personaggi di guardiani separati dalla società e circondati dall'immensità del mare. Il cinema di genere ne ha spesso approfittato per produrre emozioni di suspense, paura o mistero, dal più recente La luce sugli Oceani a Shutter Island o da Fog di John Carpenter al vecchio e irresistibile (tra le rare commedie sull'argomento) Capitan gennaio con Shirley Temple.
Questa volta lo scenario è Eilean Mòr, isola delle Ebridi scozzesi. Un luogo in cui la storia si è trasformata in leggenda: nel 1900 tre guardiani scomparvero nel nulla, facendo sì che da quel momento la vicenda senza soluzione abbia creato ogni tipo di diceria, anche le più fantasiose.
Il danese Kristoffer Nyholm, invece, inverte le possibilità fantastiche e quasi horror che la storia avrebbe potuto suggerire, per sfruttare al dettaglio ciò che comunque è sempre stato il punto di forza del "cinema del faro": la contraddizione tra gli spazi aperti (quasi infiniti di fronte agli occhi) e la claustrofobia mista a solitudine che i guardiani provano giorno dopo giorno. Ovviamente la natura fa la sua parte, imponendo un paesaggio di cupo romanticismo e aprendo a suggestioni di vario tipo. In effetti, The Vanishing - Il mistero del faro reca alcune innovazioni, ovvero il pericolo giunge sia dall'esterno sia dall'interno. Tre guardiani sono troppi per poter gestire una cassa che si rivela molto ricca, trasportata dalle onde e da un naufrago; ma troppo pochi per sostenere l'assalto di malintenzionati. Come si fa a difendere una intera isola dall'attracco di una barca? Come si riesce a osservare il territorio anche nottetempo se da ogni parte si è assediati dal mare?
Il film di Nyholm è tripartito fra le diverse tappe di una tesissima (auto)distruzione portata nel luogo apparentemente più incorrotto, e invece pienamente infiltrato dall'avidità umana. Nessun personaggio è portatore di valori pienamente positivi, e la lotta feroce che si scatena in questo thriller volutamente bradicardico è fortemente legata alla bramosia di possesso e alla ferinità maschile, che viene in fondo descritta su diverse fasi anagrafiche (i tre protagonisti rappresentano tre momenti della vita maschile, tutti segnati dallo stesso demone del desiderio di ricchezza).
Insomma, ci troviamo di fronte a un perfetto esempio di genere. Quasi programmaticamente disinteressato a porsi come apologo sull'avidità umana o come racconto che trascenda la finalità tensiva per giungere a riflessioni più ampie, The Vanishing - Il mistero del faro è semplicemente una variazione più oscura e intimista di un normale film di genere. Valutazione non troppo lontana, del resto, da quella che avremmo potuto fare per la serie televisiva che ha lanciato le potenzialità stilistiche di Nyholm, The Killing versione danese. I generi sono questo: una continua negoziazione tra aspettative e innovazioni, tra luoghi comuni e piccoli cambiamenti, tra storie note e atmosfere inedite.
Con un buon grado di provocazione, si potrebbe dire che The Vanishing - Il mistero del faro è un film che non ha niente di speciale. Ma non nel senso che è un film mediocre (anzi, è avvincente, ottimamente recitato e diretto con particolari crudelmente raffinati), bensì che è un perfetto prodotto medio, interstiziale, autonomo e senza tempo, che non ha intenzione di dirci nulla sul cinema contemporaneo o di inserirsi in dibattiti civili e politici. In questo senso, ha un suo fascino cinefilo.