Il film di Baird racconta una coppia di artisti spesso ignorata dai cinefili e a torto considerata troppo legata a una dimensione infantile e superficiale della comicità. Al cinema.
di Roy Menarini
Tra i grandi della risata - ovvero Charlie Chaplin, Buster Keaton, fratelli Marx, Jerry Lewis - Stanlio e Ollio sono quelli meno esaltati dai cinefili. Forse perché a torto considerati troppo legati a una dimensione infantile e superficiale della comicità (complice la sorprendente permanenza nei palinsesti della televisione contemporanea), Stan Laurel e Oliver Hardy attendono ancora una vera e propria canonizzazione enciclopedica e universale. Non sappiamo se il film di Jon S. Baird sancirà l'avvenuta entrata nel pantheon maggiore (per il grande pubblico il problema non si è mai posto), ma certamente aiuterà a comprendere quanta umanità, quanta malinconia, quanta saggezza ci fosse nel repertorio dei due.
Raccontati nel momento del tramonto della loro carriera, in tournée senza i fasti d'un tempo e soprattutto estromessi dall'industria cinematografica, Stanlio e Ollio hanno avuto una carriera discendente ben più lunga di quella ascendente, e tuttavia hanno confermato l'osmosi tra il cinema comico e i palchi teatrali, tra performance riprodotta e gag live, tra mondi diversi della grande costellazione dello spettacolo brillante.
L'arte di Stanlio e Ollio prese del resto vita in una fase difficile per la società americana, quella della crisi del 1929 e del passaggio al sonoro, quella delle tensioni internazionali e della guerra alle porte. Stanlio e Ollio, con il loro atteggiamento inetto, tonto e distruttivo nei confronti delle cose da fare, da costruire, da ottenere, in fondo parlano anche di quanto in quegli anni il mito del self made man avesse lasciato il posto a un'ombra tragicomica.
Si sbaglierebbe, però a teorizzare troppo sui due, perché la dimensione infantile e anarchica del gesto comico fu forse più importante, quella che ancora emerge nel racconto cinematografico di oggi ma che si scontra (intelligentemente) con la situazione crepuscolare e anagrafica dei due vecchi, ma non pacifici, amici. Stan Laurel, la mente. Oliver Hardy, il braccio - dietro la macchina da presa, s'intende. Perché davanti, il segaligno e tonto Stanlio fa infuriare Ollio, grosso e più sveglio, ma non abbastanza da evitare ulteriori catastrofi.
Insomma, ci sarebbe da parlare per settimane, o per pagine, dei due grandi comici, ma il biopic serve anche a questo, a capire ciò che serve in 90 minuti, con una dimensione pedagogica e storiografica sempre più presente, e giustificata da un tempo - il nostro - di frenesia per la novità, e dunque di smemoratezza collettiva, oltre che di imprecisione e confusione informativa.