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Notti magiche, una satira del mondo cinematografico italiano

Nessuno prima di Paolo Virzì aveva realizzato un'opera retrospettiva sul cinema italiano senile e in crisi di fine anni Ottanta. Presentato alla Festa del Cinema di Roma e ora in sala.
di Roy Menarini

Notti magiche

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Mauro Lamantia . Interpreta Antonino Scordia nel film di Paolo Virzì Notti magiche.
domenica 11 novembre 2018 - Focus

Tra tutte le perplessità e le critiche ricevute da Notti magiche sulle colonne dei critici più importanti, quelle di bozzettismo o caricatura sono le più incomprensibili. Il nuovo film di Paolo Virzì è evidentemente una satira del mondo cinematografico italiano, colto in un momento di trapasso (è il caso di dirlo, visto che il film comincia con la scoperta di un cadavere: il morto è un produttore). Per forza che è raccontato attraverso deformazioni e esagerazioni. Del resto, nessuno aveva ancora fatto un'opera retrospettiva sul cinema italiano senile e in crisi di fine anni Ottanta. Si sono fatti film sull'epoca d'oro e sullo scarto rispetto al vuoto contemporaneo (da Latin Lover di Cristina Comencini a Una storia senza nome di Roberto Andò). O si erano fatti film sulla difficoltà tragicomica di fare film dopo i maestri e dentro un'industria narcisista e complessata (da Sogni d'oro di Nanni Moretti a Il caricatore di Eugenio Cappuccio, Massimo Gaudioso e Fabio Nunziata).

Il cinema che si prepara a inizio anni Novanta, secondo Virzì, è il prodotto di una gerontocrazia. Vecchi e anziani dappertutto, riconoscibili anche se sotto nomi di finzione.
Roy Menarini

Autori e produttori di terza età che fanno tutt'uno con l'élite intellettuale romana, e che costruiscono e disfano film o serie televisive parlandosi addosso nelle trattorie di gradimento, tra un piatto di tonnarelli e un accesso di tosse. Camminano a fatica, si fanno portare i pesi dalle ragazze più giovani, prendono a libro paga (si fa per dire) giovani sceneggiatori che pendono dalle loro labbra, hanno tutti - chi più chi meno - delle prede sotto i trent'anni di cui sono gelosi e che tengono avvinte a sé per pura gelosia, senza permettere alcun ricambio generazionale.


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In foto una scena del film Notti magiche.
In foto una scena del film Notti magiche.
In foto una scena del film Notti magiche.

Ma come, si dirà. Non era una commedia? In verità Notti magiche è una satira, e nella satira notoriamente si salvano in pochi. Il gerontocomio del cinema italiano in crisi - dove persino un set di Fellini è diventato una cosa di una malinconia straziante - è la prima vittima dello sguardo impietoso di Virzì. Forse un pizzico di umanità in più, riconoscendogli il rigore del grande intellettuale, viene riservato a Fulvio (alias Furio Scarpelli, genio storico della commedia all'italiana), interpretato con il consueto rigore carismatico da Roberto Herlitzka.

I giovani dovrebbero - in questo probabile racconto autobiografico (Virzì si è diplomato al Centro Sperimentale nel 1987 e ha fatto lo sceneggiatore per anni fino al debutto del 1994 con La bella vita) - fare la parte dei rivoluzionari. Ma tutte le aspirazioni anarcoidi e libertarie di quell'età vengono soffocate dal clima di basso impero dove ci sono ex registi impegnati che vivono in uno scantinato e dove si pensa ancora di poter capire e raccontare una società che in verità sta cambiando rapidamente.
Roy Menarini

Notti magiche forse non è un'ammissione di colpevolezza, perché poi il più talentuoso e al tempo stesso superficiale dei tre protagonisti, il toscano di Piombino, è quello che smaschera le fandonie del produttore e che, annusando l'aria che tira, decide di mandare al diavolo tutto. Ma Notti magiche non è neppure l'autoassoluzione di un regista che spiega come è diventato grande passando attraverso esperienze umane euforiche e miserevoli insieme (non è, insomma, quello che ha fatto Olivier Assayas con Qualcosa nell'aria).


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In foto una scena del film Notti magiche.
In foto una scena del film Notti magiche.
In foto una scena del film Notti magiche.

La differenza la fa, appunto, la cattiveria. Che a Virzì non è mai mancata. S'intende non il cinismo né la disumanità ma la capacità di far apparire il mostruoso sotto le pieghe del quotidiano, senza sconti - e questo, sì, è il lascito dei maestri della commedia. Anche quando si rischia di eccedere: la sequenza cui viene costretta Ornella Muti, o la figura fragile e un po' istupidita del vecchio autore dell'incomunicabilità, che rimanda esplicitamente a Michelangelo Antonioni. Il resto è una pletora di figure parassitarie e cialtrone, mangiapane e disperati, tutti ex di qualcosa in una fase terminale del cinema italiano.

Eppure, in mezzo a tanto crepuscolo, Roma - la Roma del cinema, la Roma del mondiale '90, la Roma un quarto di secolo prima di La grande bellezza - continua a valere la pena di un'esperienza.
Roy Menarini

Il vitalismo scorre, l'erotismo si diffonde, la passione trabocca, le speranze (mal risposte) tengono in vita. Per i tre giovani protagonisti è comunque un periodo indimenticabile. Come nella Dolce vita di Fellini (il vero grande monstrum del film, evocato anche dalle musiche di Carlo Virzì) la volgarità e l'attrazione del piacere mondano finiscono col prevalere ma il viaggio esistenziale dell'artista vale sempre la pena. A patto di saperlo raccontare. In questo senso, con tutte le sue caricature, Notti magiche è un film fondamentalmente onesto.


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