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La terra dell'abbastanza, la reticenza come meccanismo narrativo

Damiano e Fabio D'Innocenzo raccontano il loro esordio nel lungo, applaudito a Berlino, candidato ai Nastri d'Argento e dal 7 giugno al cinema.
di Paola Casella

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giovedì 31 maggio 2018 - Incontri

Il 14 luglio, giorno della Presa della Bastiglia, compiranno 30 anni, ma la loro rivoluzione è già cominciata. Damiano e Fabio D'Innocenzo, gemelli indistinguibili che parlano al plurale e rispondono a turno, hanno debuttato nel lungometraggio con La terra dell'abbastanza, storia di due ragazzi della periferia romana caduti nella ragnatela del crimine, senza aver mai girato prima neanche un corto, e sono stati immediatamente convocati dalla Berlinale per la sezione Panorama. Anche Matteo Garrone ha riconosciuto il loro talento e si è avvalso della collaborazione dei D'Innocenzo per la sceneggiatura di Dogman.

La candidatura ai Nastri d'Argento come registi esordienti non è che la ciliegina sulla torta. Del resto tutta la squadra che ha lavorato a La terra dell'abbastanza ha per i fratelli parole di elogio: questi due millennial sanno "esattamente dove andare, qual è la via e quale il civico", come afferma Damiano, ma lo fanno con grande rigore e sobrietà, lavorando sulla semantica cinematografica in levare e in contrappunto.
Paola Casella

Potremmo definire il vostro lavoro "cinema della reticenza"?
Usiamo spesso la reticenza come meccanismo narrativo. Quando hai una storia che funziona l'importante è non complicarla, non raccontarla in maniera funambolica, evitando ogni spettacolarizzazione. Del resto è la storia a scegliere i suoi ingredienti, e il modo in cui deve essere raccontata. L'importante è non tradire lo spirito del racconto: non ci piace chi muove la cinepresa come se stesse giocando a pallone, per farsi dire "come sono bravo". Per noi è importante anche ciò che accade fuori campo: il cinema deve lasciare spazio alla possibilità di colmare, permettendo allo spettatore una visione attiva.

Perché vi chiamate Fratelli D'Innocenzo, senza specificare i vostri nomi propri?
Abbiamo pensato a un nome da officina meccanica, o da pastificio. Proveniamo da una famiglia umile - papà era pescatore, poi giardiniere - e siamo cresciuti fra Anzio, Nettuno e Lavinio, tutto pur di andare via da Tor Bella Monaca. Un nome così ci sembrava un omaggio alla nostra storia.


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In foto una scena del film La terra dell'abbastanza.
In foto una scena del film La terra dell'abbastanza.

La terra dell'abbastanza si differenzia dal filone cinematografico recente che racconta i ragazzi della periferia romana coinvolti nel crimine.
La nostra famiglia ha subìto dei lutti per mano della criminalità, ci sarebbe sembrato di bestemmiare verso la nostra interiorità aderire all'estetica glamour del genere crime. Mirko e Manolo, i protagonisti di La terra dell'abbastanza, sono vittime di un fortissimo senso di colpa e non sanno come uscire dalla loro profonda sofferenza: dunque la volontarietà della loro adesione al crimine diventa l'unico spiraglio per non confrontarsi con quel dolore. Inoltre volevamo sradicarci dal machismo dominante creato dal ventennio berlusconiano secondo cui essere poco sensibili è uno status symbol: a noi piace la tenerezza.

Eppure anche voi, anagraficamente, siete figli del ventennio berlusconiano.
Sì, ma sentiremmo ugualmente volgare il rattrappirsi a causa di questo. Provenire da un ventennio così debole e patetico deve essere una spinta. Si può attingere anche ad un passato più lontano, non ci sono scusanti.

Mirko e Manolo potrebbero essere cugini di Marco e Ciro, i due giovani delinquenti di Gomorra?
Matteo Garrone ci ha detto che il pubblico ha empatizzato con i nostri personaggi come aveva fatto al suo tempo con i suoi. Ma Marco e Ciro avevano grandi velleità, volevano imitare Scarface, mentre Mirko e Manolo hanno ambizioni molto più terrene e sogni assai più comuni.

Quanto è importante per voi dare spazio al femminile?
L'unico punto di luce di La terra dell'abbastanza è la madre di Mirko, una donna che resiste al suo contesto, e guarda al figlio con grande pietas, senza giudicarlo. In un film di morte era importantissimo che ci fosse una figura femminile a rappresentare la vita. E il nostro prossimo film, che al momento si chiama Ex vedove, sarà un western al femminile: per scrivere la sceneggiatura abbiamo attinto a Marguerite Duras e Sarah Kane. Non si possono seguire solo esempi dello stesso segno: anche nel cinema siamo molto attenti al lavoro di autrici come Chantal Akerman o Claire Denis.

A che punto è la lavorazione di Ex vedove?
Il Sundance Institute ci ha selezionati per un workshop di sviluppo progetti che partirà a fine giugno in Grecia. L'anno scorso l'avevano offerto a Pietro Marcello per il suo Martin Eden con Luca Marinelli.


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In foto una scena del film La terra dell'abbastanza.
In foto una scena del film La terra dell'abbastanza.

Come descrivereste il vostro prossimo film?
Come un western girato da Cassavetes: nessun revisionismo, nessuna strizzata d'occhi a Tarantino. Sarà ambientato nell'Italia di fine '800 e recitato nei dialetti italiani da un cast di attori di serie A, perché il budget è quattro volte superiore a quello del nostro primo film e qualche "nome" ci voleva.

Farete i provini anche a loro, come avete fatto con Luca Zingaretti e Max Tortora per La terra dell'abbastanza?
Noi facciamo i provini a tutti, e nessuno si sottrae. A Zingaretti avevamo fatto leggere la storia perché la producesse e lui ci ha mandato un messaggio audio su whatsapp: "Ma come, non mi chiamate per un ruolo?"

Anche la squadra tecnica de La terra dell'abbastanza è di prim'ordine: Paolo Carnera alla fotografia, Marco Spoletini al montaggio, Maricetta Lombardo al suono, Massimo Cantini Parrini ai costumi, Paolo Bonfini alla scenografia.
Abbiamo scelto i maestri per poter rubare ai migliori, senza paura di rimanerne condizionati: quando hai una visione chiara di quello che vuoi raccontare non la perdi. E tutti loro hanno lavorato ad un terzo del compenso abituale.

Oltre a questo dream team di "tecnici", a quali artisti vi ispirate?
Abbiamo molti riferimenti di natura figurativa - Nan Goldin, Francis Bacon per la deformazione graduale della realtà - ma ci ispiriamo anche alla letteratura - La terra dell'abbastanza è una fiaba dark sullo stile di Calvino e del Rodari de La torta in cielo.

E nel cinema?
Il Neorealismo ci ha condizionato molto, ma non abbiamo la vana velleità di usare un linguaggio che appartiene a un'altra epoca. Ci ispiriamo a Zavattini, al Rossellini di Paisà, ma anche all'Abel Ferrara di Fratelli e Il cattivo tenente, che ha dentro di sé un dualismo logorante.

E a Pasolini?
Certamente, ma non ce lo fate citare più: da lassù gli fischiano le orecchie.


RECENSIONE

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