ferdy
|
giovedì 8 marzo 2018
|
audaces fortuna iuvat
|
|
|
|
Finalmente qualcuno si è accorto di un palcoscenico straordinario come la Val Grande. Costituito Parco nel 1992 e conosciuto più dagli stranieri d’oltralpe che dai milanesi che si trovano a 75 km in linea d’aria, giace in un area tremendamente bella e lussureggiante. Questo la dice lunga sulla flebile capacità di divulgazione e comunicazione da parte di un management del parco che ha tra le mani un vero tesoro inesplorato, inespresso e con un potenziale di ricaduta economica enorme sugli 11 comuni che sono all’interno dell’area.
Fatta questa doverosissima premessa, Il regista Caruso ha avuto il coraggio ed il merito di ambientare una storia in questo luogo.
[+]
Finalmente qualcuno si è accorto di un palcoscenico straordinario come la Val Grande. Costituito Parco nel 1992 e conosciuto più dagli stranieri d’oltralpe che dai milanesi che si trovano a 75 km in linea d’aria, giace in un area tremendamente bella e lussureggiante. Questo la dice lunga sulla flebile capacità di divulgazione e comunicazione da parte di un management del parco che ha tra le mani un vero tesoro inesplorato, inespresso e con un potenziale di ricaduta economica enorme sugli 11 comuni che sono all’interno dell’area.
Fatta questa doverosissima premessa, Il regista Caruso ha avuto il coraggio ed il merito di ambientare una storia in questo luogo. Certo con una manciata di soldi non si fanno miracoli, specie nel cinema e siamo tutti d’accordo nel dire che, al momento, Caruso non è Martin Scorsese, tuttavia il risultato nel suo insieme non è da bocciare, anzi! Non per ultimo, tenendo conto che “the shape of water” il film di Guillermo del Toro, vincitore di 4 Oscar è costato circa20 mil . di dollari per un produzione fatta negli studios.
Ma torniamo a “La terra buona”. Se vogliamo muovere qualche appunto, che ovviamente rimane del tutto personale, il regista ha forse giocato troppo sui primi piani in una dinamica cinematografica ristretta, ciò non ha giovato alla scorrevolezza del film che in alcuni momenti pare inchiodarsi su inquadrature un po’ scontate… In merito allo scenario le inquadrature dei trailer sono migliori di quelle del film e Caruso avrebbe dovuto osare di più giocando maggiormente sulla scenografia ambientale. Ma veniamo agli attori. Gea se la cava bene nel suo ruolo anche se sarebbe stato meglio e maggiormente coerente nella trama avendo a che fare con un malato terminale, gestire meglio gli sbalzi umorali che confondono la realtà dello spettatore.
Altrettanto umorale è l’interpretazione di Rubio: è sempre troppo irascibile e pare un personaggio meno biologo e più perseguitato politico anni 80. Martino “incespica” un po’ nella recitazione, il medico Mastro non è male (con una certa somiglianza a Russel Crowe) avrebbe potuto essere un po’ più medico e meno arrendevole sognatore. Brogi, Padre Sergio se la cava bene ma sconta una trama con dialoghi che sarebbero dovuti essere, magari, un po’ + profondi la trama ed i luoghi lo consentivano e lo consigliavano).
Tutto sommato Caruso è stato capace di aprire una strada, magari una semplice mulattiera come ce ne sono in quelle zone, confezionando un movie certamente non perfetto ma ricco d’iniziativa e sono certo che questo film potrà essere un motore importante per altri racconti cinematografici che sono legati storicamente a queste valli.
Forza Caruso vai avanti!
[-]
|
|
[+] lascia un commento a ferdy »
[ - ] lascia un commento a ferdy »
|
|
d'accordo? |
|
enricaraviola
|
lunedì 5 marzo 2018
|
aspettative deluse
|
|
|
|
La cosa migliore del film forse è il videosaluto iniziale del regista al pubblico: crea empatia, ti convince a sostenere la sua "causa buona". Poi inizia il film e ti accorgi che la recitazione zoppica e la sceneggiatura pure. Senza un perché, i piani narrativi oscillano tra il drammatico, il melodrammatico e il farsesco, come se il regista non avessse scelto un registro. Una sperduta borgata di montagna è lo scenario facilmente pretesuoso (e null'altro) in cui si rifugiano, chi per una ragione chi per un'altra, i personaggi. Giulia/Gea è una ragazza malata di cancro che un po' sta malissimo e un po' sta benissimo; Martino è l'amico "fallito", in cerca (anche se se ne rende conto solo dopo un po') di un proprio posto nel mondo, che la accompagna da padre Sergio, un anziano e saggio monaco che vive con il fedele e macchiettistico Gianmaria; Mastro è un medico ricercato dalla giustizia per aver sperimentato una cura alternativa che ha mandato al creatore un proprio paziente: con l'aria sempre imbambolata, si fa comandare a bacchetta da Rubbio, il suo "facitore di pozioni" (succhi Ace e affini) che urla praticamente sempre, anche quando non c'è nessun motivo per farlo.
[+]
La cosa migliore del film forse è il videosaluto iniziale del regista al pubblico: crea empatia, ti convince a sostenere la sua "causa buona". Poi inizia il film e ti accorgi che la recitazione zoppica e la sceneggiatura pure. Senza un perché, i piani narrativi oscillano tra il drammatico, il melodrammatico e il farsesco, come se il regista non avessse scelto un registro. Una sperduta borgata di montagna è lo scenario facilmente pretesuoso (e null'altro) in cui si rifugiano, chi per una ragione chi per un'altra, i personaggi. Giulia/Gea è una ragazza malata di cancro che un po' sta malissimo e un po' sta benissimo; Martino è l'amico "fallito", in cerca (anche se se ne rende conto solo dopo un po') di un proprio posto nel mondo, che la accompagna da padre Sergio, un anziano e saggio monaco che vive con il fedele e macchiettistico Gianmaria; Mastro è un medico ricercato dalla giustizia per aver sperimentato una cura alternativa che ha mandato al creatore un proprio paziente: con l'aria sempre imbambolata, si fa comandare a bacchetta da Rubbio, il suo "facitore di pozioni" (succhi Ace e affini) che urla praticamente sempre, anche quando non c'è nessun motivo per farlo. Poi ci sono gli immancabili montanari pettegoli ottusi dell'osteria del paese, che, con la loro curiosità malevola, combinano il solito pasticcio, con tanto di finale in stile "oggi le comiche"… Possibile che ci siano voluti dieci anni, per scrivere, riscrivere e portare a termine una simile opera?
(PS: per lo sparuto popolo degli spetttori cuneesi: di Valle Maira nemmeno l'ombra, se non gli interni della biblioteca di padre Sergio, figura per altro di puro contorno…)
[-]
|
|
[+] lascia un commento a enricaraviola »
[ - ] lascia un commento a enricaraviola »
|
|
d'accordo? |
|
rami
|
sabato 10 marzo 2018
|
grazie emanuele
|
|
|
|
Grazie a Emanuele Caruso: mi ha dato più emozioni questo film che molti altri in cui sono stati spesi decine o centinaia di milioni, non si possono negare la tenacia, la prersevaranza e le capacità del regista. Forse gli attori potevano essere "tutti"non professionisti, ma come hanno scritto altri, con pochi mezzi non si può fare più di tanto.
Detto questo un piccolo dubbio.
[+]
Grazie a Emanuele Caruso: mi ha dato più emozioni questo film che molti altri in cui sono stati spesi decine o centinaia di milioni, non si possono negare la tenacia, la prersevaranza e le capacità del regista. Forse gli attori potevano essere "tutti"non professionisti, ma come hanno scritto altri, con pochi mezzi non si può fare più di tanto.
Detto questo un piccolo dubbio. Emanuele ci dice che questo film fa domande ma non da risposte, eppure io una risposta l'ho sentita forte e chiara: la ragazza entra nel film che non sta in piedi ed esce saltando come un grillo, ovvero è guarita.
Ed è guarita grazie alla “medicina alternativa” e alla “medicina di Dio”.
Conosco la prima come opportunità per truffatori della peggior specie (approfittano dello sconcerto causato dalla malattia par derubare il malato) e la seconda come medicina dell'ignoranza che ci fa credere che Dio distribuisca il cancro a casaccio e altrettanto a casaccio lo tolga.
Queste sono “domanda e risposta” che ho letto nella trama.
Io comunque, se mi ammalo, non andrò ne dai santoni ne dai preti, andrò dritto in uno di quegli ospedali dove i miracoli li fanno per davvero e tutti i giorni.
Nonostante questo ringrazio ancora Emanuele.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a rami »
[ - ] lascia un commento a rami »
|
|
d'accordo? |
|
alenca
|
venerdì 30 marzo 2018
|
pone domande e suscita forti emozioni. consigliatissimo!
|
|
|
|
Molto interessante il tema di fondo della ricerca al di là della vita materiale, nelle sue diverse connotazioni in ciascuno dei 3 caratteri principali. Un tema che tra l'altro il cinema italiano affronta poco proprio in un'epoca in cui invece siamo tutti mossi dal trovare risposte interiori. Il film centra l'obiettivo di suscitare forti emozioni facendoci riflettere e ponendo quesiti che ci accompagnano nei giorni successivi alla visione; ci insegna a essere più buoni con noi stessi e prenderci del tempo per curare la cosa più importante: la nostra serenità interiore. Ho trovato un bell'atto di generosità la presenza in sala del regista che ci ha raccontato il film, i retroscena e la produzione, arricchendo molto la visione e permettendoci ancora meglio di coglierne i molteplici significati.
[+]
Molto interessante il tema di fondo della ricerca al di là della vita materiale, nelle sue diverse connotazioni in ciascuno dei 3 caratteri principali. Un tema che tra l'altro il cinema italiano affronta poco proprio in un'epoca in cui invece siamo tutti mossi dal trovare risposte interiori. Il film centra l'obiettivo di suscitare forti emozioni facendoci riflettere e ponendo quesiti che ci accompagnano nei giorni successivi alla visione; ci insegna a essere più buoni con noi stessi e prenderci del tempo per curare la cosa più importante: la nostra serenità interiore. Ho trovato un bell'atto di generosità la presenza in sala del regista che ci ha raccontato il film, i retroscena e la produzione, arricchendo molto la visione e permettendoci ancora meglio di coglierne i molteplici significati. Grazie davvero! Per quanto riguarda la recitazione, le tecniche di inquadratura, la colonna sonora e gli altri aspetti tecnici certo si poteva fare molto di più, ma il film è stato realizzato con soli 195k€! Quindi lasciatevi trasportare e non focalizzatevi sui dettagli.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a alenca »
[ - ] lascia un commento a alenca »
|
|
d'accordo? |
|
agostinocullati
|
giovedì 3 maggio 2018
|
“la terra buona”, bellezza e fragilità di cui pren
|
|
|
|
C’è qualcosa che rende grande una musica, un quadro, uno scritto o un film? Sì, c’è. Se il suo autore ci ha messo il cuore. Può avere difetti tecnici anche importanti, ma resterà per sempre, comunque, una piccola perla che saprà rilucere e illuminare i nostri bui. Aver qualcosa di proprio da dire, riconoscere le proprie emozioni e prendersene cura. Elaborare un pensiero, un punto di vista personale. E mettere insieme i pezzi, condividendo l’opera di assemblaggio con altri buoni compagni di viaggio. In attesa che il miracolo si compia, che l’esperienza individuale divenga universalizzabile. Sembrerebbe la cosa più elementare che c’è, ma nell’oggi in cui siamo immersi, così drammaticamente scandito dall’imperativo categorico dello “share/condividi” che ritma sincopato a colpi di “mi piace” le nostre giornate, portare all’attenzione del mondo una propria visione delle cose, una personale weltanschauung, è roba forte e coraggiosa, che merita attenzione e protezione.
[+]
C’è qualcosa che rende grande una musica, un quadro, uno scritto o un film? Sì, c’è. Se il suo autore ci ha messo il cuore. Può avere difetti tecnici anche importanti, ma resterà per sempre, comunque, una piccola perla che saprà rilucere e illuminare i nostri bui. Aver qualcosa di proprio da dire, riconoscere le proprie emozioni e prendersene cura. Elaborare un pensiero, un punto di vista personale. E mettere insieme i pezzi, condividendo l’opera di assemblaggio con altri buoni compagni di viaggio. In attesa che il miracolo si compia, che l’esperienza individuale divenga universalizzabile. Sembrerebbe la cosa più elementare che c’è, ma nell’oggi in cui siamo immersi, così drammaticamente scandito dall’imperativo categorico dello “share/condividi” che ritma sincopato a colpi di “mi piace” le nostre giornate, portare all’attenzione del mondo una propria visione delle cose, una personale weltanschauung, è roba forte e coraggiosa, che merita attenzione e protezione.
È il caso del lungometraggio “La Terra Buona”, opera seconda del giovane regista (classe 1985) Emanuele Caruso. Qui c’è salvezza perché c’è l’anelito a costruire mondi individuali/interiori e condivisi/collettivi non sottomessi all’unica legge del profitto e della reificazione di ogni rapporto uomo-uomo e uomo-natura. Non è banalmente un film new-age, né tantomeno sulle cure alternative. Si parla di cancro e si tenta di curarlo, ma nelle intenzioni del regista il vero cancro è quello che ci ha resi duri e insensibili alla bellezza così come al dolore, ebbri e orgogliosi di ignoranza esibita, sarcastici cronici per disperazione e mancanza di nuovi orizzonti possibili, verbosi all’inverosimile, ma con un vocabolario cognitivo e sentimentale ridotto a fondo di spazzatura. Ne “La Terra Buona” c’è una possibile via d’uscita dal labirinto perché i protagonisti accettano di guardare le loro debolezze, mettendole alla giusta distanza dal sé individuale. Salvezza è possibile a partire da un rinnovato rapporto di mimesis con la natura: non è affatto un caso che le riprese siano state per lo più effettuate in quella che è la più grande area non ancora antropizzata d’Europa, la Val Grande, là dove i confini amministrativi tra Italia e Svizzera lasciano il passo agli sconfinati orizzonti disegnati da pascoli, vette alpine e cieli tersi. E da poche, piccole casette in pietra. Guardare le proprie debolezze e prendersene cura. Imparare a stare soli, a trovare il silenzio dentro se stessi e la pienezza in un filo d’erba, in un tetto di pietre.
Un monaco eremita dal cuore grande, il suo fedele aiutante, un medico e il suo braccio destro che si intestardiscono a guarire gli animi delle persone, oltre che le loro malattie fisiche, una coppia di amici. Si troveranno, per qualche settimana, a condividere le rispettive vite al cospetto della grande valle che li ospita tutti, coi suoi silenzi e i suoi verdi prati. Èda lì che tutto può ricominciare, rinnovato: “Le cose cambiano. E anche le persone”. E una biblioteca, allestita con amore paziente lungo trent’anni nella vecchia canonica della chiesetta del paese, che accoglie 60 mila volumi. Tra le più alte d’Europa, scrigno prezioso che custodisce fragilità e bellezza, in attesa che giungano gli “illuminati, persone sapienti” a prendersene cura per altri decenni a venire… La “Terra Buona”, un piccolo capolavoro da suggerire alle persone a cui vogliamo bene.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a agostinocullati »
[ - ] lascia un commento a agostinocullati »
|
|
d'accordo? |
|
carlafed
|
lunedì 14 maggio 2018
|
tutto sommato piacevole
|
|
|
|
Devo ammettere che un po' di delusione c'è stata, dopo le aspettative create dal trailer, la pubblicità e la storia avventurosa per la realizzazione. Il film è piacevole, leggero direi, in contrasto con l'argomento forte, e anche tragico. Il che è un vantaggio, esci un po' vuota, ma rilassata.
A causa delle ingenuità della sceneggiatura, la storia assume il tono di una favola in cui gli elementi si amalgamano in modo discontinuo e in cui non occorre ci sia niente, ma proprio niente, di credibile. Una valle lontana dalla civiltà, ma dotata di notevole comfort (si intuisce ci sia persino l'elettricità), neppure tanto distante da una ferrovia piccola, ma efficiente, e chi ci arriva non lo fa per caso o per scelta, ma per un passa parola che sa un po' di raccomandazione.
[+]
Devo ammettere che un po' di delusione c'è stata, dopo le aspettative create dal trailer, la pubblicità e la storia avventurosa per la realizzazione. Il film è piacevole, leggero direi, in contrasto con l'argomento forte, e anche tragico. Il che è un vantaggio, esci un po' vuota, ma rilassata.
A causa delle ingenuità della sceneggiatura, la storia assume il tono di una favola in cui gli elementi si amalgamano in modo discontinuo e in cui non occorre ci sia niente, ma proprio niente, di credibile. Una valle lontana dalla civiltà, ma dotata di notevole comfort (si intuisce ci sia persino l'elettricità), neppure tanto distante da una ferrovia piccola, ma efficiente, e chi ci arriva non lo fa per caso o per scelta, ma per un passa parola che sa un po' di raccomandazione. La malattia è presente, ma in fondo non fa tanto male. Come le cure alternative, che ancora non sappiamo se sono efficaci, ma almeno non avvelenano. E poi ci sono i cattivi, un po’ goffi come nei fumetti. La tiritera del carabiniere non l’abbiamo capita (io e i miei compagni di visione), se era una satira della burocrazia legale, ho sentito di meglio.
Certo i luoghi sono talmente belli e scenografici che sarebbe stato molto difficile sbagliare le riprese. La recitazione degli attori è schietta e generosa, ma così poco sorretta dal testo, che finisce per somigliare a una recita di dilettanti, in cui tutti danno il meglio anche se sanno molto bene che il loro mestiere è un altro. Il finale sembra una citazione del grande Saramago. Chissà se Emanuele Caruso lo ha letto, Saramago. Il regista ha grinta da vendere, quindi si consiglia una cura multivitaminica, con una base di Rossellini De Sica e compagni, qualche dose di Paolo ed Emilio Taviani e tanto tanto Olmi.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a carlafed »
[ - ] lascia un commento a carlafed »
|
|
d'accordo? |
|
fabal
|
lunedì 14 maggio 2018
|
una riflessione sfumata
|
|
|
|
Gea è una ragazza malata di cancro giunta in Val Grande dalla Capitale: accompagnata dal suo amico Martino, cerca un medico che ha sperimentato alcune cure alternative. Il dottor Mastroianni, però, vive da eremita in una specie di comunità sperduta tra i monti, riunita attorno a Padre Sergio, a circa due ore di camminata dal paese più vicino.
Estasiato dalla visione de Il vento fa il suo giro alcuni fa, la mia aspettativa era di un "realismo magico" simile a quello del film di Giorgio Diritti, perfettamente calato nel luogo del racconto di cui il regista conservava il chiaroscuro delle abitazioni in pietra, il dialetto sottotitolato degli attori non-professionisti e una dimensione sensoriale di altissimo livello.
[+]
Gea è una ragazza malata di cancro giunta in Val Grande dalla Capitale: accompagnata dal suo amico Martino, cerca un medico che ha sperimentato alcune cure alternative. Il dottor Mastroianni, però, vive da eremita in una specie di comunità sperduta tra i monti, riunita attorno a Padre Sergio, a circa due ore di camminata dal paese più vicino.
Estasiato dalla visione de Il vento fa il suo giro alcuni fa, la mia aspettativa era di un "realismo magico" simile a quello del film di Giorgio Diritti, perfettamente calato nel luogo del racconto di cui il regista conservava il chiaroscuro delle abitazioni in pietra, il dialetto sottotitolato degli attori non-professionisti e una dimensione sensoriale di altissimo livello. La terra buona di Emanuele Caruso sceglie di avvalersi di una dimensione più "generica" della comunità montana, senza il taglio documentaristico di un paese realmente esistente, sostituendo gli abitanti veraci con attori neanche troppo bravi il cui spettro di accenti attraversa un po' tutto lo stivale. Particolarrmente stonato con quello che dovrebbe essere un rilassante e incontaminato parco alpino è il romanesco urlato e invasivo di Cristian di Sante, che a tratti costituisce (purtroppo) l'unica voce trascinante di una recitazione un po' masticata, confusa nei diloghi corali, se non addirittura caricaturale: i tre paesani che scoprono il nascondiglio del medico ricercato e uccidono l'asina (la povera Dolores) come avvertimento, sembrano criminali da strapazzo da cartone animato.
Il film parte piuttosto bene, cercando di rapire lo spettatore con la suggestione della splendida location e un certo mistero intorno all'introversa figura di Mastro, interpretato da Fabrizio Ferracane, il cui personaggio entro le righe è forse l'unico a funzionare insieme alla perfetta barba di Giulio Brogi nei panni di Padre Sergio.
Poi, però, un'evanescenza di fondo grava su tutta la vicenda, trasudando una generale debolezza di tutte le tematiche che La terra buona allestisce senza portare a compimento. La spinosa questione sulle cure alternative al cancro, che sulle prime sembra essere l'oggetto centrale della riflessione, è di fatto lasciata in sospeso da Caruso che (forse saggiamente) non prende una posizione ma lascia sfumare in un generico accenno ai beveroni macrobiotici e alla vita sana: non si capisce in cosa effettivamente consista la cura di Mastro e se abbia gli effetti sperati. Anche la dimensione "spirituale" in cui si muove l'eremo di Padre Sergio rimane poco definita e mescola panteismo, cristianesimo, animismo, senza lasciare un vero messaggio.
Il finale aperto, pur non rispondendo a nessuna delle domande poste dal film, comunque non delude.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a fabal »
[ - ] lascia un commento a fabal »
|
|
d'accordo? |
|
|
lunedì 5 marzo 2018
|
inguardabile
|
|
|
|
Sono andata a vedere il film perché girato nelle mie valli,ma raramente ho visto un film tanto brutto. La regia è elementare, i dialoghi al limite del surreale, un’accozzaglia di concetti new age vegano-macrobiotici che alimentano solo fanatismi pseudo scientifici. La colonna sonora è inappropriata e noiosa, gli attori surclassano quelli de “gli occhi del cuore” di Boris nella recitazione agghiacciante. Lo slow-motion è abusato, dallo stelo d’erba al fazzoletto porto alla malata di cancro (offensivo per i malati di cancro, peraltro). L’unica attrice per cui valesse la pena, la Val Grande, è stata miseramente relegata in un paio di riprese con drone. Non c’è altra parola per descrivere il film, sceneggiatura, dialoghi, fotografia, montaggio, regia e recitazione se non: brutti.
[+] non capisco
(di dodix2013)
[ - ] non capisco
[+] un dubbio atroce...
(di dodix2013)
[ - ] un dubbio atroce...
|
|
[+] lascia un commento a »
[ - ] lascia un commento a »
|
|
d'accordo? |
|
giurg63
|
domenica 11 marzo 2018
|
carenze nel finale
|
|
|
|
A mio avviso il film, comincia a "precipitare" dalla scena dell'uccisione dell'asina, che io avrei evitato, in avanti, scivolando in un finale poco elaborato e frettoloso.
Buona l'idea del ragazzo che, costantemente diffidente e scettico nei confronti della piccola comunità creata da Padre Sergio, alla fine decide di separarsi dalla ragazza malata, che non ha mai corrisposto i suoi sentimenti, per tornare nell'isolamento di quel luogo così solitario.
Corretto anche il lasciar "svanire nel nulla" Gea, che, con uno sguardo infinitamente maliconico saluta il suo amico accompagnatore.
Totalmente bizzarra e fuori luogo l'ape volante che il medico e il suo "braccio destro" utilizzano per raggiungere la Svizzera, dove saranno accolti da una persona di cui, fino a quel momento, non si era fatto alcun accenno.
[+]
A mio avviso il film, comincia a "precipitare" dalla scena dell'uccisione dell'asina, che io avrei evitato, in avanti, scivolando in un finale poco elaborato e frettoloso.
Buona l'idea del ragazzo che, costantemente diffidente e scettico nei confronti della piccola comunità creata da Padre Sergio, alla fine decide di separarsi dalla ragazza malata, che non ha mai corrisposto i suoi sentimenti, per tornare nell'isolamento di quel luogo così solitario.
Corretto anche il lasciar "svanire nel nulla" Gea, che, con uno sguardo infinitamente maliconico saluta il suo amico accompagnatore.
Totalmente bizzarra e fuori luogo l'ape volante che il medico e il suo "braccio destro" utilizzano per raggiungere la Svizzera, dove saranno accolti da una persona di cui, fino a quel momento, non si era fatto alcun accenno.
A parte la bellezza dei luoghi e della stupenda poesia recitata, direi, quasi "pregata," da Gea, la pellicola risulta appena sufficiente, decisamente non all'altezza di "E fu sera e fu mattina," la precedente opera di Caruso.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a giurg63 »
[ - ] lascia un commento a giurg63 »
|
|
d'accordo? |
|
|