Titolo originale | Isis, Tomorrow. The Lost Souls of Mosul |
Anno | 2018 |
Genere | Documentario, |
Produzione | Italia, Germania |
Durata | 80 minuti |
Regia di | Francesca Mannocchi, Alessio Romenzi |
Distribuzione | ZaLab |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 31 agosto 2018
L'indagine delle dinamiche che portano a diventare figli dell'ISIS in Iraq. In Italia al Box Office Isis, Tomorrow - The Lost Souls of Mosul ha incassato 10,4 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Il documentario esplora le conseguenze della lunga e brutale guerra contro Isis. Conseguenze non solo materiali ma soprattutto morali e che incidono sulle vite dei soggetti più vulnerabili: donne, per lo più vedove, e bambini, orfani. Viene data voce ai parenti dei civili morti guerra e ai parenti dei combattenti, i miliziani del Califfato. Donne e bambini che devono far fronte a un indicibile dolore e a un sentimento di vendetta e ritorsione che sta governando il complesso dopoguerra iracheno.
La domanda che nasce spontanea dopo la visione di questa preziosa indagine di Mannocchi e Romenzi è: le colpe dei padri debbono ancora e sempre ricadere sui figli?
La situazione è chiara sin dall’inizio: l’Isis non solo ha commesso le uccisioni, organizzato le stragi, schiavizzato le donne. I suoi componenti hanno lavorato su un terreno capace di assorbire con rapidità concetti d’odio e di vendetta: la mente dei bambini e dei ragazzi. Figli, nipoti e loro amici sono stati indottrinati fin da piccoli e immagini e parole ci mostrano come ogni singolo concetto sia penetrato a fondo nelle loro coscienze al punto da divenire inestirpabile.
Il problema che i due registi evidenziano con grande lucidità riguarda il presente ma, soprattutto, il futuro. Come far sì che un odio così radicato, che ha a sua volta prodotto odio in coloro che ne hanno subito gli orrendi soprusi, possa essere messo in condizione di non nuocere? La soluzione apparentemente più ovvia è: impedendo alle famiglie che sono passate dalla parte dell’Isis di tornare nelle loro case (ammesso che esistano ancora) o, ancor meglio, tenendo in carcere sine die figli e nipoti.
È una vera soluzione? Come si può intervenire? Soprattutto: lo si deve fare o si deve lasciare che la rivalsa più che giustificata domini i prossimi decenni? Non sono domande nuove: la situazione post-apartheid sudafricana, tra le tante, è lì a ricordarcelo. Qui però la materia del contendere è più delicata e al contempo più grave. Escludere dalla società del futuro un numero ingente di minori perché indottrinati significa in qualche modo arrendersi di fronte a un’apparente ineluttabilità con conseguenze non difficili da immaginare. Allora che fare? I registi non ci danno delle risposte ma fanno bene a porci delle domande.