Sebastian Lelio ha trasferito tutta la dolente letteratura umana del film originale dentro un meccanismo più dramedy, adeguato allo spettatore occidentale. Al cinema.
di Roy Menarini
Il lungo percorso di Gloria Bell non nasce solamente da Gloria, l'originale cileno da cui lo stesso Sebastian Lelio ha tratto il proprio remake americano con Julianne Moore e John Turturro. Prima ancora c'era Gloria di Umberto Tozzi, 45 giri pubblicato nel 1979, di enorme e immediato successo mondiale sia nella versione italiana sia in altre versioni - quella spagnola fu cantata dallo stesso Tozzi, mentre quella americana (che risuona in Gloria Bell) da Laura Branigan. La facile melodia del pezzo, basato su ritmiche che mescolavano pop e dance di fine anni Settanta, a quanto sostiene la leggenda fu apprezzata persino da von Karajan e amata spudoratamente dalla musica colta. Ecco perché Lelio volle omaggiarla fin dal titolo del capostipite del 2013, con una scena madre difficilmente dimenticabile. Ma l'anno dopo l'uscita del disco di Tozzi, il nome Gloria entrò anche nei cuori cinefili grazie al talento di John Cassavetes e Gena Rowlands, con il film omonimo del 1980.
In modo indiretto e ironico, la versione cilena omaggiava anche quella Gloria, visto che questa, in fondo - proprio come il personaggio della Rowlands - imbraccia le armi, sia pure in modo assai innocuo.
Come se non bastasse, nel 1999, Sidney Lumet dedicò a Cassavetes un remake omonimo, questa volta con una Sharon Stone in cerca di pedigree autoriale, e di un (proibitivo) confronto con l'attrice e compagna di Cassavetes.
Tutto questo per dire che, quando ci avviciniamo a Gloria Bell, non ci troviamo di fronte solamente a un auto-remake di un bel film cileno, ma a una costellazione molto più ampia, dove persino il confronto tra Julianne Moore e tutte le donne citate diventa un piccolo piacere interno alla narrazione. Sì, perché se dovessimo accontentarci del minimo confronto Cile/Hollywood, dovremmo effettivamente ammettere che Lelio ha trasferito tutta la dolente letteratura umana e malinconica di Gloria dentro un meccanismo più dramedy e adeguato allo spettatore statunitense e occidentale in Gloria Bell.
Certo, Julianne Moore - in qualche modo citando una delle sue prime, indimenticabili performance in America oggi - è ancora capace di sostenere un dialogo restando nuda, e di regalare intensità erotiche non inferiori a quelle di Boogie Nights; però non si può negare che tutte le implicazioni che la dimensione socio-politica cilena offriva alla solitudine della protagonista nella versione del 2013, qui si stemperano su uno sfondo culturale meno connotato.
Se però osserviamo queste catene testuali in modo più dinamico, ampio, possiamo comprendere come il cinema continui ad essere il crocevia di suggestioni, influenze, citazioni, trasferimenti tra elementi diversi della cultura popolare e artistica. E quindi, esattamente come Gloria di Umberto Tozzi, anche Gloria di Lelio può subire adattamenti e rifacimenti, quasi fosse una storia universale capace di parlare a tutte le latitudini.
E in fondo, il Gloria del 2013 non era forse una ballata della solitudine in cui entrava già, e non secondariamente, l'influenza di certo cinema americano degli anni Settanta, e di titoli come Una donna tutta sola con Jill Clayburgh? Dentro quel meccanismo di inclusione ed esclusione che le persone di mezza età vivono, non c'era forse il ricordo dell'immaginario hollywoodiano? E non potremmo pensare che Sebastian Lelio, con Gloria Bell, è in qualche modo tornato alla sorgente delle sue suggestioni, potendo per di più dirigere una delle poche attrici che avrebbe potuto sfidare Gena Rowlands, Candice Bergen, Sally Field e le altre magnifiche interpreti della New Hollywood?
Vedete quante traiettorie un woman film apparentemente non originale può offrire?