Titolo originale | Dark Polo Gang |
Anno | 2018 |
Genere | Biografico |
Produzione | Italia |
Durata | 20 minuti |
Regia di | Carlo Lavagna, Tommaso Bertani |
Attori | Arturo Bruni, Nicolò Rapisarda, Dylan Thomas Cerulli, Umberto Violo . |
MYmonetro |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 16 maggio 2018
CONSIGLIATO N.D.
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Ciò che si nasconde dietro a un successo travolgente, le dinamiche - per di più misteriose - che sottendono alla pazzesca popolarità di quattro giovani sconosciuti che da un giorno all'altro diventano superfamosi grazie a YouTube, è cioè di cui tratta Dark Polo Gang - serie TIMVISION incentrata sui un gruppetto di rapper romani. La docuserie è composta da 12 episodi (disponibili sulla piattaforma tre nuove puntate per volta ogni sabato) e segue le vite della Dark Polo Gang all'indomani dell'upgrade dal panorama musicale indipendente all'ingaggio di una major (Universal).
Nella quotidianità di Tony, Wayne, Pyrex e Side ci sono le giornate in sala di registrazione, le serate tutti insieme a dipingere le palle di Natale, un viaggio a Londra, i servizi fotografici che fanno il verso ai Beatles, e poi tante parole, tante dichiarazioni più o meno però provocatorie dei quattro artisti che si dividono il favore di un pubblico giovanissimo e fervente con le invettive lanciate da altri rapper.
Dietro alle quinte
Reietti, in un angolo, tutti quelli a cui l'età anagrafica (chiunque abbia dai 29 anni in su...) impedisce di capire come funziona la fama e la celebrità al tempo dei social. E infatti tanto è il successo della Dark Polo Gang - complice anche la solerzia con cui hanno sfornato un numero esorbitante di canzoni in pochissimi mesi - coadiuvato dalla diffusione su YouTube di video clip accattivanti, che anche la serie ha spopolato, facendo triplicare il numero di utenti unici connessi a TIMVISION durante il debutto dei primi tre episodi. Tra questi, metà sono sotto i 24 anni (e si sono divorati i tre episodi sullo smartphone), metà sotto i 35 anni. I primi sono fan sfegatati, gli altri un pubblico un po' meno esagitato che ha anche la curiosità di voler comprendere le modalità di un fenomeno sociale sintomatico dell'ultimo decennio. Gli altri, semplicemente, sono troppi vecchi per avvicinarsi alla serie e al fenomeno senza soccombere all'urgenza di sciogliersi i bigodini e inseguire i quattro col battipanni.
C'era una volta l'hip hop
Chi sono i Dark Polo Gang, da dove vengono, dove vanno è quello di cui parla la (docu)serie. Ai quattro piace farsi vedere "arrivati" mentre si svegliano la mattina a letto con ragazze in mutande o scelgono (a volte se li costruiscono da soli fondendo l'oro!) i gioielli con cui addobbarsi. Anche se le loro mamme sono cresciute a pane e Dr. Dre (e 50Cent e gli altri vati dell'hip hop dagli anni '90), loro hanno optato per essere rapper diversi (farsi vedere nel giro venti anni fa con golfini rosa a pois e maglioni con le ciliegie, portare a spasso bassotti dopo essersi pinzettati le sopracciglia avrebbe fatto guadagnare loro una pallottola in testa). Nel susseguirsi degli episodi, girati con un montaggio da videoclip di MTV più sotto acido del solito, i quattro affrontano varie tematiche, come la famiglia, la fama e il rapporto che hanno con essa, l'affetto che li lega, l'atteggiamento con cui affrontano il grande passo verso la collaborazione con la major.
Chi ci è, chi ci fa
La serie non fornisce strumenti per decifrarli: non è dato sapere quanto ci sono e quanto ci fanno, se uno o tutti i membri della Dark Polo Gang sono sempre e solo se stessi (come Eminem) o recitano una parte, creandosi in vero e proprio alter ego provocatorio e costruito a tavolino (un po' come i wrestler) come Ninja dei DIE ANTWOORD. Lo show aiuta, però, a capire come funziona la macchina del successo ai tempi di YouTube, piattaforma capace di trasformare misconosciuti ragazzini ugole d'oro che postavano video di se stessi in cantanti di fama e ricchezza mondiali (come Justin Bieber), e teenager che caricavano filmini buffi in star di Hollywood (come Dylan O'Brien).
I Dark Polo Gang ne sono la versione italiana, e sono consapevoli della portata della propria popolarità, tanto da sentirsi i nuovi Beatles. Si producono in dichiarazioni spiazzanti come "siamo la cosa più che si avvicina di più ai Beatles su questo pianeta". Tony spiega di essere come John Lennon, anche lui si veste di bianco come aveva fatto l'icona di Liverpool "sulla cover dell'album di Abbey Road di cui non ricorda il nome". Difficile, di nuovo, dire se credano sul serio a quello che dichiarano, è più facile creder loro quando affermano di sentirsi supersayan, perché un po' lo sono, per i traguardi stratosferici che sono riusciti a raggiungere.