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Benvenuti a Marwen, una dichiarazione d'amore all'arte e alle donne

Il film di Zemeckis conferma la fantasia come urgenza, introduce un altro personaggio puro ed esplora un'altra grande ossessione dell'autore, salvarsi da soli. Al cinema.
di Marzia Gandolfi

Benvenuti a Marwen

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Steve Carell (Steven John Carell) (61 anni) 16 agosto 1962, Concord (Massachusetts - USA) - Leone. Interpreta Mark Hogancamp nel film di Robert Zemeckis Benvenuti a Marwen.
sabato 12 gennaio 2019 - Focus

Architetto maggiore della pop cultura, Robert Zemeckis resta il più sperimentale dei registi hollywoodiani. Pioniere degli effetti speciali digitali, considerato a torto un satellite di Steven Spielberg, il suo cinema coniuga da sempre la tradizione analogica con le innovazioni tecnologiche e ancora. Perché dietro le sperimentazioni digitali e lo smagliante assetto tecnologico, sotto il divertissement universale e le arie da favole positiviste, i suoi film dispiegano una quantità di concetti e di sfumature che mettono in moto le cose, i punti di vista, i livelli di racconto, travolgendo incessantemente lo spettatore. Del resto l'arte di Zemeckis ha dato il suo meglio nelle confessioni intime delle superproduzioni e Benvenuti a Marwen non fa eccezione, ricreando un mondo alternativo che rende conto del dolore del reale e lo guarisce.

Interrogandosi ancora una volta su come affinare le nuove tecnologie e farne la molla della (sua) narrazione, l'autore americano conferma il suo ottimismo inquieto e i suoi eroi in lotta contro un demone, un'ossessione o una dipendenza. Eroi che provano a evadere da una prigione mentale e fisica attraverso la ricerca e l'impresa straordinaria.
Marzia Gandolfi

Da Ritorno al futuro, superare e comprendere le origini, a Chi ha incastrato Roger Rabbit, vincere l'alcolismo e la depressione, passando per il funambolo dell'estremo di The Walk, fino all'artista spezzato di Benvenuti a Marwen, Robert Zemeckis ausculta i suoi protagonisti con un candore che non appartiene che a lui e al suo universo.

Universo concentrato tutto insieme nella sua ultima opera, opera summa che dimostra anche ai critici più scettici, che non gli perdonano il successo commerciale, l'esistenza di una 'Zemeckis-Land' su cui atterra la scena del debutto. Benvenuti a Marwen apre con un incidente aereo che richiama immediatamente alla memoria Cast Away e Flight. Il terreno di gioco sui cui precipita nasce questa volta dall'immaginazione di Mark Hogancamp, un fotografo americano vittima nel 2008 di un'aggressione che gli cancella la memoria. Per ricostruirla e ricostruirsi si rifugia in un villaggio in miniatura popolato da bambole armate fino ai denti.


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In foto una scena del film Benvenuti a Marwen.
In foto una scena del film Benvenuti a Marwen.
In foto una scena del film Benvenuti a Marwen.

Aprendo la vena emozionale del suo racconto, Zemeckis pesca di nuovo una storia vera, replicando figure familiari: performance capture (Polar Express, La leggenda di Beowulf, A Christmas Carol), plastificazioni, torsioni e smembramenti di corpi (La morte ti fa bella), potere salvifico della finzione (Cast Away), autocitazioni lampanti (la DeLorean tascabile) o discrete (la parola 'Allied - Un'ombra nascosta' scritta su un camion dei traslochi), rosse incendiarie come Jessica Rabbit, idioti geniali come Forrest Gump.

Accomodato nel giardino di Mark Hogancamp, universo immaginario dove il protagonista ripiega per sopravvivere, Benvenuti a Marwen conferma la fantasia come urgenza, introduce un altro personaggio puro ed esplora un'altra grande ossessione dell'autore, salvarsi da soli. Chuck Noland lascia da solo la sua isola, Beowulf e Whip Whitaker intraprendono da soli la propria redenzione e anche quando c'è un intervento esteriore (il controllore, il viaggiatore solitario e Babbo Natale in Polar Express o gli spiriti del Natale in A Christmas Carol), è sempre questione di proiezione di sé, i personaggi in questione sono incarnati dall'attore che interpreta il protagonista.

In Benvenuti a Marwen Zemeckis ribadisce più forte l'idea: è attraverso il suo doppio, proiezione di sé e della propria arte, che il personaggio esorcizza il suo trauma.
Marzia Gandolfi

Se da qualche parte c'è un dio, quel dio non è che Mark Hogancamp, sopravvissuto miracolosamente al pestaggio di cinque neonazisti a cui una sera in un bar ha avuto l'ardire di confessare la sua passione per i tacchi alti. Tre anni più tardi si ritrova senza memoria, invalido e ripiombato nell'infanzia dove gioca e rigioca la sua aggressione, schierando fashion dolls contro Ken-nazi. In uno stato di regressione estatica, da qualche parte tra Forrest Gump e 40 anni vergine, al quale rimandano la performance infinitamente delicata di Steve Carell e quella abbagliante di Leslie 'Apatow' Mann, Mark si immagina capitano dell'US Army in lotta contro un'orda di SS durante la Seconda Guerra Mondiale e in un villaggio belga chiamato Marwen, una sorta di gineceo ideale che sublima le donne del suo entourage (vicina di casa, infermiera, commessa, collega, fisioterapista). Conservando negli avatar plastici l'impronta delle donne della sua vita, Mark costruisce e fotografa una catarsi e una violenza permessa dall'animazione, in attesa di un processo che gli permetterà di chiudere (legalmente) col passato e di indossare i tacchi in faccia al mondo.


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In foto una scena del film Benvenuti a Marwen.
In foto una scena del film Benvenuti a Marwen.
In foto una scena del film Benvenuti a Marwen.

Come i suoi predecessori, Mark è 'separato' e bloccato nel tempo. È bloccato nei ricordi del suo trauma, una storia condannata a ripetersi sempre uguale ancora e ancora. Una sequenza che è necessario interrompere per andare avanti proprio come nella saga di Ritorno al futuro.

Spezzato dal trauma, Mark è una nuova figura di innocente, uno spirito semplice, diverso e capace di (re)incantare il mondo. Ma all'elogio dell'ingenuità, già impersonata da Tom Hanks, si affianca questa volta una rappresentazione della femminilità sexy e armata contro il maschio fascista. La questione del corpo è al cuore del film e rinvia al genere. Ed è esattamente lì, prima che alle distorsioni delle silhouette e al morphing emozionale dei personaggi, che Benvenuti a Marwen si rivela sorprendente. Lontano dalla cronaca artistica della morale #metoo, il film è una grande dichiarazione d'amore di Zemeckis alle donne. Nel suo cinema le donne sono spesso il motore della sopravvivenza e dell'evoluzione, come Jenny di cui Forrest Gump non fa che sognare o Kelly che Chuck vorrebbe tanto ritrovare. In Benvenuti a Marwen i personaggi femminili aiutano Mark ad avanzare.

Con un'audacia e un umanesimo disarmante, Robert Zemeckis mette in scena frontalmente le conseguenze del quotidiano 'battuto' di Mark e del suo feticismo per le eroine femminili, che sogna lo salvino ancora e sempre, fino alla sua fascinazione per un accessorio che aggiunge al film un tocco radicale e queer.
Marzia Gandolfi

Se come Roger Rabbit, l'autore non si interessa che all'amore, tuttavia Benvenuti a Marwen non è un semplice racconto romantico, d'altra parte i racconti romantici non hanno niente di semplice per Zemeckis. Dopo aver rivoltato come un guanto la morale di Casablanca, dove l'intensità parossistica della guerra è impiegata come carburante per un mélo che considera l'eroismo nella prospettiva di coppia, l'autore porta più in là i monologhi interiori di Cast Away e Flight.

Eminente narratore della solitudine, firma un altro assolo, una stasi di dolore fisico e mentale che al cinema è sovente appannaggio delle donne. E in un film dove tutti gli uomini sono nazisti, Mark-Hogie, alter (L)ego di Zemeckis, sceglie le donne, good girls che mitragliano bad guys, salvandolo una, dieci, cento volte. Il messaggio è chiaro, la mascolinità tossica fa degli uomini dei nazisti, e il partito preso pure, l'arte e le donne salveranno il mondo. Film magnifico sulla solitudine post-traumatica e la resilienza attraverso la finzione, Benvenuti a Marwen combina ricreazione idilliaca e sofferenza reale, tecniche audaci e scelte narrative che rendono ancora una volta impossibile trovare definizioni categoriali per il suo cinema. Ma è di quella materia che sono fatti i grandi film di Robert Zemeckis.


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