massenzio99
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sabato 5 gennaio 2019
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da non perdere
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Vice è un film da non perdere, fatto benissimo, a partire dal montaggio eccezzionale. Riesce a rendere una storia con conseguenze drammatiche, come quella di Cheney, meno pesante con diverse trovate geniali da parte del regista,come inserire alcune gag comiche immaginarie tra i protagonisti. Anche la voce fuori campo è geniale, mai fastidiosa, anzi aiuta il film ad essere ancora più chiaro e interessante. Insomma un bel film, meriterebbe l'Oscar e anche Christian Bale dovrebbe essere premiato per il suo impegno nell' assomigliare il più possibile al vice presidente americano, anche se la concorrenza è alta. Un ulteriore complimento al trucco, da premiare anch' esso per come è riuscito a rendere gli attori quasi identici a quelli reali.
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Vice è un film da non perdere, fatto benissimo, a partire dal montaggio eccezzionale. Riesce a rendere una storia con conseguenze drammatiche, come quella di Cheney, meno pesante con diverse trovate geniali da parte del regista,come inserire alcune gag comiche immaginarie tra i protagonisti. Anche la voce fuori campo è geniale, mai fastidiosa, anzi aiuta il film ad essere ancora più chiaro e interessante. Insomma un bel film, meriterebbe l'Oscar e anche Christian Bale dovrebbe essere premiato per il suo impegno nell' assomigliare il più possibile al vice presidente americano, anche se la concorrenza è alta. Un ulteriore complimento al trucco, da premiare anch' esso per come è riuscito a rendere gli attori quasi identici a quelli reali. Non un capolavoro, ma vicino ad esserlo.
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inesperto
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mercoledì 9 gennaio 2019
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il potere della quiete
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La prestigiosa e sanguinaria carriera politica di un uomo tranquillo: Dick Cheney. Raccontato ottimamente, il film narra della vita privata e pubblica del vice presidente più potente della storia degli Stati Uniti d'America. A tratti la sceneggiatura sembra ispirarsi alla serie tv House of Cards, cosa apprezzabile consideratane la qualità. Geniale il falso finale rappresentante quella che sembrava la fine politica di quest'uomo; il quale, invece, ritorna prepotentemente alla ribalta dapprima con la vittoria farsesca delle elezioni presidenziali da parte di George W. Bush ed in seguito con l'attacco terroristico alle torri gemelle dell'11 settembre 2001. Eccellenti le interpretazioni della splendida Amy Adams e del simpatico Steve Carell.
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La prestigiosa e sanguinaria carriera politica di un uomo tranquillo: Dick Cheney. Raccontato ottimamente, il film narra della vita privata e pubblica del vice presidente più potente della storia degli Stati Uniti d'America. A tratti la sceneggiatura sembra ispirarsi alla serie tv House of Cards, cosa apprezzabile consideratane la qualità. Geniale il falso finale rappresentante quella che sembrava la fine politica di quest'uomo; il quale, invece, ritorna prepotentemente alla ribalta dapprima con la vittoria farsesca delle elezioni presidenziali da parte di George W. Bush ed in seguito con l'attacco terroristico alle torri gemelle dell'11 settembre 2001. Eccellenti le interpretazioni della splendida Amy Adams e del simpatico Steve Carell. Fenomenale quella di Christian Bale.
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dinoroar
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giovedì 10 gennaio 2019
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un capolavoro mancato
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Mi viene in mente JFK ... ma siamo lontani. Fatto salvo la bella prova degli attori, il film non si decide mai se film restare o saltare nel docu-film. Troppi avanti ed indietro nel tempo con inserti di guerra (vera o finta) che però hanno il merito di infrangere il leggero torpore che a tratti prende lo spettatore. Lacunosi alcuni passaggi ormai (quasi) storicizzati, soprattutto nella parte che riguarda l'inizio della carriera del protagonosta. Si passa da semi-analfabeta ubriacone ad avere un ufficio nella sede del Governo in tre balletti per poi invece indugiare fino all'ossessione su i tratti loschi di questo personaggio che ha, alla fin fine, un ha grande merito: aver fatto quello che il Popolo americano gli chiedeva esplicitamente e tra le righe.
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Mi viene in mente JFK ... ma siamo lontani. Fatto salvo la bella prova degli attori, il film non si decide mai se film restare o saltare nel docu-film. Troppi avanti ed indietro nel tempo con inserti di guerra (vera o finta) che però hanno il merito di infrangere il leggero torpore che a tratti prende lo spettatore. Lacunosi alcuni passaggi ormai (quasi) storicizzati, soprattutto nella parte che riguarda l'inizio della carriera del protagonosta. Si passa da semi-analfabeta ubriacone ad avere un ufficio nella sede del Governo in tre balletti per poi invece indugiare fino all'ossessione su i tratti loschi di questo personaggio che ha, alla fin fine, un ha grande merito: aver fatto quello che il Popolo americano gli chiedeva esplicitamente e tra le righe. Il benessere e la sicurezza ad ogni costo. Ed ogni costo è stato pagato. Da vedere ma non lascia il segno in quanto parla di fatti troppo recenti e conosciuti. Fra qualche anno forse, saranno rese note molte più informazioni secretate, ed allora si che si potrà scrivere, vedere, qualcosa di veramente interessante.
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doctorcinema
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giovedì 10 gennaio 2019
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una grande occasione sprecata
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"Vice" si propone di raccontare la storia (verosimile, come si premura di specificare il regista durante i titoli di testa) di Dick Cheney, importantissima figura della politica americana che ha saputo rimanere per decenni sulla cresta dell'onda, seppur costantemente dietro le quinte.
Viene narrata, anche attraverso iniziali flashback, la storia di un uomo che seppe dare una svolta alla propria vita quando da giovane, in preda ai tormenti dell'alcolismo e di comportamenti da sbandato, rischiò di perdere tutto: lavoro, moglie, famiglia.
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"Vice" si propone di raccontare la storia (verosimile, come si premura di specificare il regista durante i titoli di testa) di Dick Cheney, importantissima figura della politica americana che ha saputo rimanere per decenni sulla cresta dell'onda, seppur costantemente dietro le quinte.
Viene narrata, anche attraverso iniziali flashback, la storia di un uomo che seppe dare una svolta alla propria vita quando da giovane, in preda ai tormenti dell'alcolismo e di comportamenti da sbandato, rischiò di perdere tutto: lavoro, moglie, famiglia.
L'incontro decisivo è quello con Donald Rumsfeld, altro importante uomo della politica repubblicana americana. Sarà proprio Rumsfeld a introdurre Cheney negli ambienti che contano, permettendogli di scalare la vetta della politica e facendolo arrivare fino ai piani più alti di quest'ultima. Cheney, infatti, diventerà dapprima Capo di gabinetto della Casa Bianca sotto la presidenza Ford, poi un membro della Camera in modo costante per quasi 10 anni e infine, dagli anni '90 in poi, riuscirà a ritagliarsi ruoli importanti sia durante la presidenza di Bush Senior (diventando Segretario della Difesa), sia durante quella di Bush figlio (assumendo la carica di vicepresidente).
Sarà proprio durante la presidenza di George W. Bush che Cheney assumerà un ruolo centrale nella gestione degli Stati Uniti in tanti aspetti fondamentali: economia, politica, relazioni internazionali. Questo lo mise nella posizione di "controllare il mondo" senza però mai dare visibilità di se stesso e rimanendo sempre nell'ombra.
Per quanto riguarda il film in sè, devo essere sincero nel dire che mi sarei aspettato qualcosa di più dalla pellicola di Adam McKay. Il regista è qui anche sceneggiatore del film e tutto ciò mi aveva già preparato ad aspettarmi un determinato tipo di pellicola, sulla scorta di ciò che avevo già visto con "La grande scommessa".
La narrazione di "Vice", infatti, è molto rapida, a tratti frenetica, si avvale anche della rottura della quarta parete e di una voce fuori campo che in determinati momenti descrive ciò che sta accadendo o ciò che si è appena visto.
I personaggi ci vengono presentati senza grandi fronzoli, partendo dallo stesso Cheney, passando per la moglie Lynne e arrivando poi a Rumsfeld e George W. Bush.
Voglio innanzitutto analizzare i punti positivi di questo che non reputo una brutta pellicola, tutt'altro, ma neanche quel gran film che in molti stanno descrivendo in questi primi giorni di proiezione.
Tra gli aspetti positivi abbiamo innanzitutto una bravissima Amy Adams. La Adams continua a confermarsi su altissimi livelli da ormai diversi anni a questa parte. L'avevo adorata in "Arrival", l'ho apprezzata ancora prima in "Big eyes" e poi anche in "Animali notturni" (per rimanere ai suoi film più recenti). Anche in "Vice" dimostra nuovamente la sua bravura e il fatto di essere una delle migliori attrici della sua generazione. A mio modesto parere, facendo le dovute proporzioni tra i personaggi, è anche superiore a Bale e al suo Cheney.
Un altro aspetto che mi ha convinto è il montaggio. Come anche ne "La grande scommessa", McKay si avvale della collaborazione con Hank Corwin e la scelta si rivela secondo me azzeccata. Il film scorre veloce, non annoia, grazie anche ad alcuni pregi della sceneggiatura (soprattutto i dialoghi, che sono ben costruiti, a tratti frizzanti e anche divertenti).
Ho anche apprezzato alcune scelte registiche (a metà film ce n'è una clamorosa che mi ha fatto sobbalzare sulla poltrona, in sala), così come anche l'utilizzo di alcune immagini dal sapore metaforico che hanno evitato così inutili e noiosi spiegoni.
Un altro punto forte è la colonna sonora, volutamente sopra le righe e in grado di accompagnare in modo potente le scene narrate.
Passiamo ora ai punti negativi.
Iniziamo con quello che ho trovato più eclatante e che probabilmente risalterà maggiormente in questa recensione, dato che non l'ho citato tra gli aspetti positivi: Christian Bale.
Non voglio essere frainteso, personalmente reputo Bale uno dei migliori attori al mondo in questo momento, lo adoro in ogni suo film e sono convinto che riesca sempre a dimostrare la propria bravura. In parte riesce a farlo anche qui in "Vice", ma è proprio questa sensazione di incompletezza che mi ha lasciato perplesso. E' innegabile come sia stato bravo nel portare avanti una trasformazione fisica eccezionale (e non è la prima volta) e con un buon lavoro di make up la somiglianza con Cheney è risultata molto buona. Solo che io, da uno come Bale, mi sarei aspettato molto di più. Non credo sia stato in grado di calarsi totalmente nei panni di Cheney, a tratti ho avuto quasi la sensazione che si stesse lasciando andare ad una versione quasi caricaturale del politico americano. Più il film andava avanti e più sentivo che il suo Cheney non stava convincendomi, non riuscivo a trovarlo realistico (e approfondirò il discorso parlando della sceneggiatura). A tratti, come ha detto qualcuno, mi sembrava di vedere semplicemente un Christian Bale ingrassato, imbolsito, non il personaggio di Dick Cheney. Il problema importante è che, in un film biografico, la sensazione di "non vedere" il personaggio mostrato per me è un difetto non irrilevante. Quindi, con grande dispiacere, devo purtroppo far rientrare Bale tra gli aspetti meno convincenti della pellicola.
Tra gli aspetti negativi, probabilmente devo citare paradossalmente la stessa sceneggiatura che avevo in parte preso in esame tra gli aspetti positivi.
Mi spiego.
I dialoghi sono ben costruiti, la narrazione è scorrevole e non noiosa, ma ci sono alcuni aspetti che poco mi hanno convinto. Innanzitutto, l'utilizzo di una voce fuori campo. Non ho mai amato questo espediente narrativo e credo che in un film che vuole raccontare una storia reale (o comunque realistica) la voce fuori campo debba essere utilizzata con molta cautela e in maniera tale da non rompere quell'incanto di cui ho già parlato: se da spettatore inizio a capire che davanti a me ho degli attori che stanno semplicemente interpretando alcune parti di un film, la situazione è destinata a degenerare. Anche l'utilizzo della rottura della quarta parete rientra in questo stesso discorso e per lo stesso identico motivo. Nel complesso, credo che espedienti come questi siano molto più funzionali per altri tipologie di film: gli action, le commedie brillanti per esempio. E comunque, devono essere utilizzati sempre in modo accurato, contestualizzandoli adeguatamente. Ciò, secondo me, non avviene in questa pellicola.
Un altro punto debole del film è rappresentato dagli altri co-protagonisti: mi aspettavo una conferma da parte di Sam Rockwell e di Steve Carell, ma purtroppo non l'ho trovata da nessuno dei due. Per Carell attendo, nel momento in cui sto scrivendo, il film "Benvenuti a Marwen", che potrebbe essere quello in grado di garantirgli una decisiva svolta nella carriera. Entrambi, purtroppo, mi hanno dato la sensazione di aver calcato troppo la mano sulla costruzione dei propri personaggi, portando ad un risultato molto caricaturale e inverosimile (che poi è il problema principale che ho riscontrato in tutto il film).
Un ultimo, e forse più importante, aspetto negativo di cui voglio parlare è la totale assenza della libertà di interpretazione di ciò che sta accadendo e di ciò che viene narrato. Sono il primo a dire che un film biografico non debba essere un documentario (tanto che ho risposto in tal modo a chi ha mosso critiche, secondo me ingiuste, al film "Bohemian Rhapsody"), quindi che ci siano degli aspetti romanzati o che si preferisca tenere una specifica linea di pensiero ritengo sia una cosa corretta. Ma in "Vice" sembra quasi di assistere ad un lungo, enorme spot anti-repubblicano facendo passare Cheney per qualcuno di molto vicino a Satana. Non voglio rivelare nulla su ciò che viene narrato, anche se siamo davanti a fatti storici e quindi esenti dal rischio spoiler, ma quello che ho visto è una descrizione a senso unico del personaggio di Cheney e di tutto ciò che ha orbitato attorno a lui durante la sua vita (soprattutto politica).
Anche il finale e i titoli di coda, da questo punto di vista, mi hanno lasciato perplesso. Io sono un grandissimo amante dei film biografici e tendenzialmente riesco a cogliere aspetti positivi anche lì dove quelli negativi predominano. Però con "Vice" mi sono trovato in netta difficoltà, perchè alla fine della proiezione ho avuto la percezione di aver assistito ad una commedia nera, ad un action satirico, ma non ad un film biografico.
Probabilmente è anche questo che ha sminuito, in larga parte, la prova di Bale. Il suo personaggio lo si poteva e doveva costruire in maniera nettamente migliore. Tutto il film poteva essere concepito in modo diverso e con ogni probabilità ne avrebbe giovato la storia (molto interessante), Christian Bale (che mi è quasi sembrato come una splendida aquila, costretta però a volare dentro una piccola gabbia) e soprattutto ne avrebbe giovato lo spettatore.
Nel complesso, quindi, "Vice" appare ai miei occhi sì come un buon film, ma principalmente come una grandissima occasione persa e che poteva essere sfruttata in modo migliore.
p.s. Non sono solito fare paragoni tra film o tra prove attoriali, ma per poter rendere meglio la mia idea voglio citare un film e una prova attoriale dell'anno scorso: "L'ora più buia" e Gary Oldman. Ribadisco che, ovviamente, "Vice" è un film totalmente diverso (perlomeno per come è stato concepito), ma a mio parere avrebbe potuto rendere molto di più se fosse stato scritto e diretto con uno stile più simile a quello del film di Joe Wright. In questo modo, forse anche lo stesso Bale avrebbe avuto a disposizione uno script più adeguato alle sue capacità attoriali e avrebbe potuto costruire una prova recitativa diversa, più incisiva e convincente. Se l'anno scorso guardando Gary Oldman io avevo la netta sensazione di aver davanti il vero Churchill, quest'anno invece questa percezione non l'ho avuta. E non dico che i film debbano essere copia e incolla l'uno dell'altro, ma mi dispiace che non sia accaduto perchè penso che Christian Bale avrebbe avuto (e abbia) tutte le possibilità per sfornare una prova analoga a quella data da Oldman con il suo Churchill. Se non addirittura superiore.
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giuseppe
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lunedì 21 gennaio 2019
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andreotti e cheney, due protagonisti del potere
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Ho recentemente visto due film: Il divo di Paolo Sorrentino e Vice Un uomo nell’ombra di Adam McKay.
Sono entrambe due biografie di famosi uomini politici. Il primo Giulio Andreotti ed il secondo Dick Cheney, molto diversi nelle biografie ufficiali, ma entrambi molto cinici ed “attaccati” al potere e pressoché incuranti delle conseguenze che la loro azione politica sui cittadini, sulle nazioni e persino sulla perdita delle vite umana, determinava.
Mettiamoli brevemente a confronto pur essendo consapevoli del rischio che un tale confronto possa apparire troppo arbitrario per chi legge, ma è solo per semplicità di trattazione. Soffermiamoci quindi sui punti in comune tra i due nella loro azione politica, tralasciando i particolari inevitabili sulle differenze caratteriali e sui differenti paesi sui quali hanno governato.
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Ho recentemente visto due film: Il divo di Paolo Sorrentino e Vice Un uomo nell’ombra di Adam McKay.
Sono entrambe due biografie di famosi uomini politici. Il primo Giulio Andreotti ed il secondo Dick Cheney, molto diversi nelle biografie ufficiali, ma entrambi molto cinici ed “attaccati” al potere e pressoché incuranti delle conseguenze che la loro azione politica sui cittadini, sulle nazioni e persino sulla perdita delle vite umana, determinava.
Mettiamoli brevemente a confronto pur essendo consapevoli del rischio che un tale confronto possa apparire troppo arbitrario per chi legge, ma è solo per semplicità di trattazione. Soffermiamoci quindi sui punti in comune tra i due nella loro azione politica, tralasciando i particolari inevitabili sulle differenze caratteriali e sui differenti paesi sui quali hanno governato.
Entrambe hanno usato il potere politico a fini personali, piuttosto che per il bene della comunità di cui facevano parte. Andreotti ha costituito assieme a Craxi e Forlani una vera e propria cordata del potere. Si chiamava CAF il loro poco anonimo “sodalizio” politico. Essi si alternarono alla guida del paese negli anni 70 e 80 fino alla loro completa defenestrazione e scomparsa a seguito delle vicende di Tangentopoli. In verità Andreotti è uscito dalla politica dopo, per il processo di associazione mafiosa che si concluse in appello con una formula dubitativa e tutta italiana “perché il fatto non sussiste”. Andreotti è stato comunque un protagonista assoluto della prima repubblica e un uomo del potere della democrazia consociativa prima con il partito comunista e con la benedizione del Vaticano, e poi con il partito socialista di Craxi, e per molte legislature.
Dick Cheney un uomo assolutamente grigio e pilotato dalla moglie ha invece percorso la sua carriera, appoggiandosi prima a Donald Rumsfeld e poi, dopo avere risalito tutti i gradini della scalata al potere degli Stati Uniti, come vice presidente di George W. Bush, forse il peggiore presidente americano. Dick Cheney agì con un potere quasi assoluto da presidente dal giorno del crollo delle torri gemelle, ma sin da prima aveva preparato la sua ascesa avendo ottenuto una interpretazione a suo favore della costituzione americana, ovvero la unicità del potere esecutivo nelle mani del presidente e quasi tutti i poteri delegati o delegabili al suo vice. Già favorevole alla guerra nel Vietnam, il crollo delle torri gemelle del 2001 costituì il pretesto per una rappresaglia militare contro l’Iraq di Saddam Hussein e contro l’Afganistan, ritenuta la base del terrorismo di matrice islamica, di Al Quaeda e di Osama Bin Laden. Centinaia di migliaia di morti civili in quei paesi, decine di migliaia di militari americani e degli alleati, milioni di danni alle istallazioni petrolifere, furono il bilancio di quella folle “vendetta”. Halli Burton un importantissimo contractor petrolifero americano di cui Dick Cheney era amministratore delegato, acquisì molti contratti per la ricostruzione, guarda caso dopo i bombardamenti americani sull’Iraq.
Insomma Andreotti e Cheney, due figure controverse e diverse, certamente, ma unite dalla stessa ambizione di potere sulle quali la Storia non si è ancora pronunciata ma si è interrogata, restituite molto bene dalla fiction cinematografica.
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tmpsvita
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mercoledì 23 gennaio 2019
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un film che non si dimentica
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Adam McKay ha la peculiarità di rendere argomenti quali l'economia ("The Big Short") o la politica, come in questo "Vice", fruibili come se fossero un elemento di semplice intrattenimento, un gioco godibile e divertente. Questo rende i suoi film estremamente particolari, direi unici e dal taglio narrativo assolutamente originale.
"Vice" è un film frenetico, instancabile, una biografia che fa della satira e dell'ironia i suoi punti di forza senza badare all'imparzialità e al punto di vista oggettivo; si tratta infatti di un vero e proprio sfogo rancoroso di McKay verso la politica americana degli ultimi trent'anni e il suo spirito conservativo e, dal suo punto di vista, tanto furbo quanto cinico.
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Adam McKay ha la peculiarità di rendere argomenti quali l'economia ("The Big Short") o la politica, come in questo "Vice", fruibili come se fossero un elemento di semplice intrattenimento, un gioco godibile e divertente. Questo rende i suoi film estremamente particolari, direi unici e dal taglio narrativo assolutamente originale.
"Vice" è un film frenetico, instancabile, una biografia che fa della satira e dell'ironia i suoi punti di forza senza badare all'imparzialità e al punto di vista oggettivo; si tratta infatti di un vero e proprio sfogo rancoroso di McKay verso la politica americana degli ultimi trent'anni e il suo spirito conservativo e, dal suo punto di vista, tanto furbo quanto cinico.
Tutto ciò porta ad un prodotto divertito e divertente, capace di prendere in giro e prendersi in giro, facile da amare ma anche facile da odiare. Il suo approccio sarcastico, sfacciato e bizzarro può essere visto,a seconda della persona, come un pregio o come un difetto, personalmente amo questo tipo di cinema perciò ho gradito praticamente l'intera pellicola, riconosco però i suoi limiti nel rappresentare il tutto attraverso una mentalità liberale che difficilmente incorpora altre linee di pensiero di cui critica praticamente ogni aspetto, inoltre il suo ritmo insaziabile e il montaggio sfrenato rende estremamente difficile incorporare l'enorme quantità di informazioni che vengono scaraventate allo spettatore che in alcuni momenti si trova un po' spaesato e confuso. Nonostante ciò il film è semplicemente uno spasso, un ritratto talvolta brutale, spasmodico e brillante di un personaggio poco conosciuto che ha cambiato il corso della storia, un personaggio per il quale si provano svariate sensazioni durante il film, spesso contrastanti.
Grazie alla regia geniale di McKay che lo ammira, lo rispetta, talvolta lo ama eppure non può che odiarlo, provarne astio, rancore e irritazione; tutte queste sfumature vengono magistralmente espresse da Christian Bale, in una delle sue migliori performance, che perfettamente immedesimato nel ruolo, ne ripropone un ritratto fulminante, preciso nei dettagli e nei movimenti a rendere, grazie anche allo straordinario trucco, irriconoscibile la sua identità.
Un film che più volte ricorda allo spettatore la sua ignoranza e stupidità, lo critica e lo disprezza eppure esso non può che annuire e sottomettersi a queste spregevoli verità ma è anche un film che spinge a volerne sapere sempre di più, apre lo stomaco e alimenta una fame per l'informazione ed è qui che raggiunge il suo vero scopo dare informazione in modo coinvolgente, addirittura divertente e in maniera credibile.
Voto: 8+/10
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carlosantoni
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venerdì 4 gennaio 2019
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cheney e gli altri del colpo di stato
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Interessante e coraggiosa rivisitazione del colpo di stato attuato in Usa nel 2000 dalla Corte Suprema, su input di poteri fortissimi e reazionari, con conseguente ascesa a presidente degli Usa di un poco meno che mentecatto, sostenuto da una corte dei miracoli davvero niente male in quanto a capacità eversive. Roba da bassissimo impero: e infatti gli Usa, che progettavano “il nuovo secolo americano” di dominio universale e che proprio allora si autoreputavano incontrastati dominatori dell’universo, in realtà iniziavano proprio allora una parabola di declino che oggi appare conclamata. E in questo contesto di euforia e di errore di prospettive (l’opportunità dell’11 settembre: tale appare al nostro farabutto l’attacco alle Torri Gemelle), il regista tesse la biografia politica di Cheney, così come dei suoi colleghi, tra i quali in cinismo e spietatezza sicuramente primeggia Rumsfeld.
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Interessante e coraggiosa rivisitazione del colpo di stato attuato in Usa nel 2000 dalla Corte Suprema, su input di poteri fortissimi e reazionari, con conseguente ascesa a presidente degli Usa di un poco meno che mentecatto, sostenuto da una corte dei miracoli davvero niente male in quanto a capacità eversive. Roba da bassissimo impero: e infatti gli Usa, che progettavano “il nuovo secolo americano” di dominio universale e che proprio allora si autoreputavano incontrastati dominatori dell’universo, in realtà iniziavano proprio allora una parabola di declino che oggi appare conclamata. E in questo contesto di euforia e di errore di prospettive (l’opportunità dell’11 settembre: tale appare al nostro farabutto l’attacco alle Torri Gemelle), il regista tesse la biografia politica di Cheney, così come dei suoi colleghi, tra i quali in cinismo e spietatezza sicuramente primeggia Rumsfeld. Film riuscito sotto vari aspetti, in primis la regia, così spigliata e briosa, a cominciare da quel “cazzo” che commenta l’incipit, per seguire coi titoli di coda finti a metà film, coi veri titoli di coda a base di esche non più metaforiche per pesci che abboccano (il popolino sporkoyankee, esattamente come George W. Bush), e ancora con le scene ultimative che… seguono i titoli di coda! E bella la fotografia, e i movimenti della mdp a braccio, e i primi e primissimi piani! E poi, come si sa, la superlativa interpretazione di C. Bale, incredibilmente trasformato fisicamente, e al tempo stesso così padrone di se stesso, così freddamente apollineo nel dare fisionomia a un personaggio oscuro, imperscrutabile, sfuggente, e tuttavia così esiziale per la vita (meglio dire: la morte) di milioni di esseri umani innocenti: poiché soltanto in Iraq i civili morti per colpa di Cheney, Rumsfeld, l’idiota di Bush, la Rice, Powell, e soprattutto delle multinazionali del genocidio quali la Hollyburton, e la corresponsabilità di centinaia di milioni di amerikani, non sono 600.000 come recita il film in chiusura, ma diversi milioni. Film pregevolissimo nell’assunto e nell’esecuzione registica, per non parlare del montaggio: divertenti le didascalie, deliziose le interpunzioni metaforiche di anonime scene di pesca, con l’abile tentativo di Cheney di far abboccare Bush il Tonto alle sue ferree proposte di condominio del potere mondiale. Corretta la chiamata in causa di Hillary Clinton, così come di Tony Blair, soltanto apparentemente su sponde politiche diverse dai repubblicani: in realtà tutte e tutti quanti belve sanguinarie. E pregnante la finale chiamata in causa, da parte di Cheney-Bale in persona che guarda direttamente nella macchina da presa, del popolo americano: siete voi che mi avete eletto, per fare ciò che ho fatto, cioè questa “guerra infinita” a popoli lontani, di cui non sapete niente, questi sfregi alla legislazione pur di poter torturare, imprigionare, uccidere poveri cristi, dei quali non ve ne frega niente; l’ho fatto “per voi”, cari concittadini ed è stato un onore. Insomma, dietro la solita retorica stellestrisce assai indigesta, esce fuori la totale corresponsabilità del conformismo amerikano ai crimini di guerra del loro esecutivo. Unico limite del film, il non aver minimamente messo in dubbio la genesi dell’11 settembre, della quale oramai da anni dubitano in moltissimi: sarà stata davvero solo farina di un gruppo di beduini, o non piuttosto di corposissimi e convergenti interessi casarecci? Su questo punto McKay si limita a dire che Cheney fu l’unico a capire che quella dell’11 settembre non era una tragedia, ma una opportunità. Accontentiamoci…
Un po’ prolisso, ma interessante e godibile.
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