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Cosa dirà la gente, il cinema che si interroga sulle contraddizioni della nuova Europa

Il film di Iram Haq è molto più che l'ennesimo racconto di difficile integrazione o di scioccante consapevolezza di quanto accade in paesi remoti. Ora al cinema.
di Roy Menarini

Cosa dirà la gente

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Maria Mozhdah . Interpreta Nisha nel film di Iram Haq Cosa dirà la gente.
sabato 5 maggio 2018 - Focus

È ormai un genere, il cinema della diaspora. Interroga dal profondo le vicissitudini umane di chi è parte delle gigantesche migrazioni che stanno segnando la storia contemporanea. Questi movimenti di persone e popoli, anche lontanissimi tra di loro (in questo caso pakistani in Norvegia: apparentemente nulla in comune), hanno dunque un impatto decisivo sul cinema, e sul cinema europeo in particolare. In fondo, tra i dati positivi che l'Europa porta in dote c'è anche l'attenzione al cinema d'autore e ai suoi contenuti civili. E se è vero che molte volte il tutto si risolve in opere scolastiche girate con generici sentimenti democratici, è altrettanto indiscutibile che grazie a questa produzione si faccia strada una letteratura per immagini alla situazione odierna, e si dia letteralmente voce a conflitti sociali e personali che vengono vissuti silenziosamente da milioni di persone.

Ecco perché la critica, anche quando ha valutato Cosa dirà la gente non più che un buon film, ha sottolineato l'elemento autobiografico messo in campo dalla regista Iram Haq, che non solo ha vissuto sulla sua pelle gran parte di quello che è stato raccontato ma in questo modo garantisce uno sguardo severo e dall'interno sulle contraddizioni della sua civiltà.
Roy Menarini

E se già il titolo fa comprendere come la rispettabilità delle prime generazioni di migranti si giochi soprattutto nel solco delle comunità diasporiche, più che nei precetti religiosi (la vergogna è il sentimento più temuto), si guarda in verità alle seconde generazioni e alla liberazione dei costumi che esse rivendicano. Il tema è sentito e attraversa trasversalmente diverse comunità e molti film in questi anni, con protagonisti turchi, libanesi, palestinesi, in Germania, Svezia, Israele e dovunque le fragili democrazie occidentali abbiano cercato (o meno) di integrare i migranti.


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In foto una scena del film Cosa dirà la gente.
In foto una scena del film Cosa dirà la gente.
In foto una scena del film Cosa dirà la gente.

Nella sequenza in cui i genitori organizzano un incontro via Skype tra la ribelle Nisha e il futuro marito del matrimonio combinato, in un assoluto paradosso tra modernità e tradizione, l'inflessibile mamma ricorda come per la ragazza sia già un privilegio poter vedere in viso il promesso sposo. A lei nemmeno questo era stato concesso. Eppure, l'incontro è possibile solamente grazie alle tecnologie occidentali e ai media digitali, che entrano nelle vite dei migranti come strumenti di connessione e di riduzione della lontananza. Queste forme di resistenza strenua alla modernizzazione, pur usando i mezzi della contemporaneità, sono in verità tipiche del tempo presente ed è ormai da molti anni superata l'illusione di un capitalismo dei servizi in grado di risolvere da solo le arretratezze culturali (o semplicemente le scelte personali e tradizionali alternative) di gran parte del mondo.

Certo, per fortuna non tutti i conservatorismi sfociano nella violenza - sebbene Nisha tema di essere uccisa dai suoi stessi cari in almeno due momenti del film - ma la radicalizzazione nasce sempre e comunque dalla chiusura, a dispetto di quanto si possano comunque utilizzare i canali comunicativi del "nemico", magari illudendosi di renderli neutri o di non esserne modificati.
Roy Menarini

Cosa dirà la gente dunque non è solo l'ennesimo racconto di difficile integrazione o di scioccante consapevolezza di quanto accade in paesi remoti ma anche un'occasione per ripensare il ruolo del cinema nelle contraddizioni del presente. Sarebbe quanto meno ingenuo credere che quel che accade a Nisha (o quanto accaduto alla regista) appartenga solo a quella comunità, e che l'Europa non ne sia toccata che di striscio.


RECENSIONE

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