carloalberto
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venerdì 22 giugno 2018
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thelma l’oltredonna oltre lucy e rosemary’s baby
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La scrittura polisemica con molti temi trattati ma un solo messaggio nascosto, i dialoghi scarni, come frammenti di un intero da ricomporre e le sequenze lente si offrono per una visione meditativa, mentre l’attenzione è catturata dagli sprazzi improvvisi di colori accesi che irrompono sulla scena, il rosso del sangue che macchia il candore niveo del latte, coordinati con potenti effetti sonori, che fanno da contrappunto agli spazi simmetrici intonati alle diverse sfumature del grigio e vuoti, come gli scaffali della libreria della stanzetta dello studentato o la piscina dell’università, ai silenzi dei piazzali o di un lago ghiacciato che nasconde l’orrore che incombe.
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La scrittura polisemica con molti temi trattati ma un solo messaggio nascosto, i dialoghi scarni, come frammenti di un intero da ricomporre e le sequenze lente si offrono per una visione meditativa, mentre l’attenzione è catturata dagli sprazzi improvvisi di colori accesi che irrompono sulla scena, il rosso del sangue che macchia il candore niveo del latte, coordinati con potenti effetti sonori, che fanno da contrappunto agli spazi simmetrici intonati alle diverse sfumature del grigio e vuoti, come gli scaffali della libreria della stanzetta dello studentato o la piscina dell’università, ai silenzi dei piazzali o di un lago ghiacciato che nasconde l’orrore che incombe. Sembra un film di Polanski sulla normalità del male, ma è altro. La protagonista ha poteri straordinari come la Lucy di Besson, ma è oltre. In un’ordinata piccola cittadina universitaria norvegese il male si annida nelle stanzette linde e ordinate dello studentato e nei suoi vialetti ben curati, assume le sembianze di un serpente e si insinua nel letto di una giovane studentessa di biologia, interpretata da Heili Harboe, che ricorda, per una impressionante rassomiglianza fisica, la Mia Farrow di Rosemary’s Baby. Ma è un incubo. E’ un sogno condizionato dall’immaginario collettivo e da un’educazione bigotta ricevuta dal padre che le fa identificare il serpente con il demonio. Partendo da un’inquadratura panoramica dall’alto, il regista, Joachim Trier, come uno scienziato al microscopio, ingrandisce progressivamente, tra gli anonimi passanti, l’elemento selezionato, per analizzarne la storia. La scelta del soggetto appare casuale, a significare che ogni storia individuale, vista da vicino, nasconde la presenza del male o meglio disvela la doppiezza della realtà, come essa si rivela a livello particellare e non a caso citata, nel film, in una lezione di meccanica quantistica. Il mattonato rosso della facciata della clinica psichiatrica dove è ricoverata la nonna richiama le facciate dei palazzoni di New York dove vive Rosemary. Fin qui Polanski. Solo qui, nella somiglianza dell’attrice con la Farrow e nella coincidenza di uno dei temi trattati. Ma il film si presta ad una lettura più complessa, per la quale l’eroina rappresenta l’oltreuomo nicciano che domina la psiche dei suoi simili, per affermare la sua volontà al di là del bene e del male, categorie superate, in cui si dibattono i primitivi genitori, che sono fanatici cristiani. Thelma domina anche gli elementi naturali, ma non grazie alla tecnologia, di cui sono succubi ignari i suoi giovani amici scettici, ma in forza di un’empatia con l’essenza stessa della natura che a noi appare misteriosa e sovrannaturale come l’entanglement quantistico. La visione del mondo religiosa, incarnata dai genitori, viene distrutta dalla moderna civiltà tecnologica e non a caso il serpente nella mitologia norrena era il dio della tecnica e padrone del fuoco e della fiamma, che arderà vivo in un apparente fenomeno di autocombustione il padre della protagonista. Ma il serpente, simbolo della tecnologia, è ormai anch’esso superato, soggiogato da una forma di volontà superiore in una visione pacificata dal totale dominio della volontà di autoaffermazione. Così Rosemary, vittima predestinata dei condizionamenti sociali, ci appare come un primordiale ominide al cospetto della sovratecnologizzata Lucy di Besson, in cui l’umanità soccombe nella mortale fusione tra neuroni cerebrali e circuiti del computer, e Lucy, a sua volta, un lontano ricordo dell’imminente futuro nella prospettiva di un immaginario avvento dell’oltredonna.
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tmpsvita
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venerdì 11 maggio 2018
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una profonda ricerca della propria identità
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Direttamente dal nord arriva un dramma con elementi fantasy che si inserisce prepotentemente nella lunga lista dei grandi film che hanno reso lo scorso 2017 un anno davvero notevole per quanto riguarda la qualità dei film.
Probabilmente questo è anche uno dei più curiosi ed interessanti perché pieno di grande immaginazione perlopiù visiva che rompe lo schermo con immagini penetranti e fortemente incisive che spesso fanno uso di elementi simbolici e immaginari in buona parte religiosi per attraversare metaforicamente temi quali appunto la religione, in particolare quella cattolica, la ricerca interiore della propria identità e l'accettazione di essa, soprattutto dei suoi apparenti difetti che se compresi e gestiti possono rivelarsi punti di forza.
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Direttamente dal nord arriva un dramma con elementi fantasy che si inserisce prepotentemente nella lunga lista dei grandi film che hanno reso lo scorso 2017 un anno davvero notevole per quanto riguarda la qualità dei film.
Probabilmente questo è anche uno dei più curiosi ed interessanti perché pieno di grande immaginazione perlopiù visiva che rompe lo schermo con immagini penetranti e fortemente incisive che spesso fanno uso di elementi simbolici e immaginari in buona parte religiosi per attraversare metaforicamente temi quali appunto la religione, in particolare quella cattolica, la ricerca interiore della propria identità e l'accettazione di essa, soprattutto dei suoi apparenti difetti che se compresi e gestiti possono rivelarsi punti di forza.
Un labirinto di immagini che entrano nella testa dello spettatore che ne rimane totalmente affascinato e dunque coinvolto, grazie soprattutto ad una regia matura, seria ed elegante che riesce perfettamente ad amalgamare la componente fantastica con quella reale così da rende tutto il film estremamente credibile.
Un film puro che si inserisce nella mente del pubblico, il quale, nei giorni successivi alla visione, continuerà a pensare ad esso volendolo vedere una seconda volta ancora.
Insomma un grande film che soffre forse di una certa freddezza in svariati momenti che va in contrasto con altri momenti che risultano invece molto emozionanti perché veri e umani. Questo contrasto infierisce leggermente sulla visione complessiva senza però certo comprometterla.
Menzione speciale per la splendida fotografia, caratteristica piuttosto come nei film nordici, con dei colori rigidi e molto atmosferici.
Voto: 8/10
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peergynt
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mercoledì 18 aprile 2018
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mente pericolosa in cerca d'amore
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Horror parapsicologico raffinato e disteso che, con tempi lenti da film nordico, narra la presa di coscienza di una ragazza della propria diversità, sia sessuale che psicofisica. Come la più famosa Carrie di Stephen King/Brian De Palma, questa Thelma è stata compressa da una famiglia iper-religiosa. Ovviamente, non potrà che esplodere, finendo per accettare senza problemi la propria diversità, pur caratterizzata da una tendenza inconsapevolmente omicida. Il regista sa essere grande nel montaggio alternato di hitchcockiana sospensione e nelle atmosfere inquietanti estratte da innocui paesaggi quotidiani: un lago ghiacciato oppure un parco pubblico in notturna, fino ad arrivare alla piscina, icona horror che rimanda idealmente ad archetipi lewtoniani (ovviamente "Cat people").
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Horror parapsicologico raffinato e disteso che, con tempi lenti da film nordico, narra la presa di coscienza di una ragazza della propria diversità, sia sessuale che psicofisica. Come la più famosa Carrie di Stephen King/Brian De Palma, questa Thelma è stata compressa da una famiglia iper-religiosa. Ovviamente, non potrà che esplodere, finendo per accettare senza problemi la propria diversità, pur caratterizzata da una tendenza inconsapevolmente omicida. Il regista sa essere grande nel montaggio alternato di hitchcockiana sospensione e nelle atmosfere inquietanti estratte da innocui paesaggi quotidiani: un lago ghiacciato oppure un parco pubblico in notturna, fino ad arrivare alla piscina, icona horror che rimanda idealmente ad archetipi lewtoniani (ovviamente "Cat people"). Ottimo lavoro, la cui lentezza di stile sa essere non un difetto, ma uno stilema narrativo che completa e arrotonda il personaggio.
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gianleo67
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venerdì 29 dicembre 2017
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psicocinesi, doppio legame e...qed
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L'inizio dell'Università coincide per Thelma, con la scoperta della sua attrazione per lo stesso sesso e con le preoccupanti manifestazioni di violente crisi psicogene che si innescano durante situazioni di forte stress emotivo. Quando gli strani eventi che la vedono protagonista, portano alla scomparsa della ragazza cui è legata, emergono particolari della sua infanzia che aveva rimosso ed un segreto familiare che i suoi genitori sembrano custodire gelosamente. La vocazione al racconto di formazione segna per Joachim Trier l'esordio dietro la macchina da presa con un film (Reprise) dove gli elementi autobiografici si traducono nella sofferta ricerca di una propria identità artistica e nelle impegnative riflessioni sul rapporto tra la realtà e le sue molteplici mistificazioni.
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L'inizio dell'Università coincide per Thelma, con la scoperta della sua attrazione per lo stesso sesso e con le preoccupanti manifestazioni di violente crisi psicogene che si innescano durante situazioni di forte stress emotivo. Quando gli strani eventi che la vedono protagonista, portano alla scomparsa della ragazza cui è legata, emergono particolari della sua infanzia che aveva rimosso ed un segreto familiare che i suoi genitori sembrano custodire gelosamente. La vocazione al racconto di formazione segna per Joachim Trier l'esordio dietro la macchina da presa con un film (Reprise) dove gli elementi autobiografici si traducono nella sofferta ricerca di una propria identità artistica e nelle impegnative riflessioni sul rapporto tra la realtà e le sue molteplici mistificazioni. Come nella riproducibilità di un modello già variamente affrontato dal cinema più o meno di genere (Carrie, Fury, Firestarter, The Medusa Touch), ma con la chiara impronta di un realismo che cerca di indagare più il disagio umano di un inquietante caso clinico (Requiem) che il sensazionalismo delle sue manifestazioni psicosomatiche a metà tra superstizione e antropologia (The Exorcist), il giovane regista norvegese ci conduce per mano nel travagliato viaggio di una adolescente repressa alle prese con la straordinaria plasticità della psiche umana; un dipolo di esperienze contraddittorie e laceranti, scisso tra il doppio legame materno e le frustrazioni confessionali del complesso di Elettra. Come nel curioso parallelo tra un quadretto di famiglia scandinavo di padre barbuto e placido, madre in sedia a rotelle e figlia che cova dentro un segreto inconfessabile (When Animals Dream) ma più ancora nella sanguinaria tara familiare di una raccapricciante tradizione accademica (Grave), i segreti prima o poi vengono al pettine, sancendo il primato di una legge naturale che trova il suo compimento nell'affermazione dell'istinto e nei compromessi di un potere che reclama il controllo come unico deterrente all'autodistruzione. Come un fiume in piena trova il suo corso travolgendo tutto quello che gli si para davanti, i poteri psicocinetici di una Signora delle Mosche (Phenomena) che governa il volo degli uccelli e l'elettrodinamica quantistica, sono le drammatiche manifestazioni di una singolare personalità che cerca di affermare la propria autonomia di figlia e di donna a dispetto di un ostracismo familiare di rigidi precetti e di latente anaffettività, ricomponendo i frammenti di una personalità scissa nel parossismo di crisi psicogene in grado di distruggere il mondo piuttosto che di ricomporlo a proprio piacimento. I bellissimi piano-sequenza aerei che aprono e chiudono il film sulla piazza gremita del complesso universitario, sembrano inquadrare l'emergere di una realtà macroscopica e ordinata dall'universo caotico e probabilistico che lo sottende, chiosando il parallelo che l'autore porta avanti sul dualismo insito nella materia ("...puo darsi che sia una particella che un'onda, a seconda dello strumento di rilevazione che utilizziamo") come in quello altrettanto sottile che governa la nostra natura di esseri mortali, ma insospettabilmente vicini alla devastante potenza che ci avvicina agli dei. Un film di ossimorico realismo parapsicologico, nel quale la tensione è sapientemente alimentata dal materializzarsi dall'inquietante natura dei sogni della protagonista e sostenuta dall'uso ritmico delle musiche (la scena della 'scomparsa' dell'amica ricorda il diabolico assassinio di E.Giorgi in Inferno al suono intermittende del Nabucco di Verdi), raggiungendo l'acme nella claustrofobica scena della piscina e nella tragica ambivalenza di un finale illuminato da un piccolo saggio demiurgico che quantomeno contraddice il Terzo Principio della Termodinamica. Molto bene per la giovane Eili Harboe già vista nel catastrofico The Wave e funzionale la coppia Henrik Rafaelsen&Ellen Dorrit Petersen già coniugi in crisi nel conturbante Blind di Eskil Vogt, autore da sempre sodale di Trier e qui anche della sceneggiatura. Presentato al Toronto International Film Festival 2017 e colpevolmente escluso dalla short list dei migliori film in lingua straniera (Norvegia) agli Academy Awards 2018.
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mercoledì 20 dicembre 2017
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bello
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racchiude tutto il fascino scandinavo , i silenzi, l eleganza, il garbo, la natura , la concretezza, l'umanità,la società intimista e non chiassosa e tantomeno pacchiana. Lei è stupenda e interpreta fantasticamente un ruolo con sottigliezze interpretative da grande attrice. a parte qualche minimo evitabile passo falso, tipo il sangue dal naso che cade nel latte (trito e ritrito ) e pochissimi altri piccoli passaggi, colpisce la padronanza del regista e la aderenza alla scandinavia, per nulla fuorviata, mutata, deviata, rispetto a chi la conosce bene, e che nella ricerca del successo, dato anche il genere di film, avrebbe potuto essere abbandonato in ordine di un piu' facile approccio alla americana e i suoi stupidi clichè culturali e cinmeatografici.
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racchiude tutto il fascino scandinavo , i silenzi, l eleganza, il garbo, la natura , la concretezza, l'umanità,la società intimista e non chiassosa e tantomeno pacchiana. Lei è stupenda e interpreta fantasticamente un ruolo con sottigliezze interpretative da grande attrice. a parte qualche minimo evitabile passo falso, tipo il sangue dal naso che cade nel latte (trito e ritrito ) e pochissimi altri piccoli passaggi, colpisce la padronanza del regista e la aderenza alla scandinavia, per nulla fuorviata, mutata, deviata, rispetto a chi la conosce bene, e che nella ricerca del successo, dato anche il genere di film, avrebbe potuto essere abbandonato in ordine di un piu' facile approccio alla americana e i suoi stupidi clichè culturali e cinmeatografici. 1,000di questi film e di queste attrici.
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martedì 19 dicembre 2017
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filmone
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racchiude tutto il fascino scandinavo, quello vero, garbato, elegante, capace di comunicare con silenzi e sguardi, sensibile e umano, aderente alla realtà e concreto, bello e conscio dell'umanità del sapere stare al mondo.
al di là della storia in sè, che non è male ed è ben gestita, è la capacità di espriemere e trasmettere la bellezza della società e della persona scandinava ad emergere potente, a partire dalla bellezze composta ma dirompente di Eili Harboe, capace di spaccare lo schermo con un sorriso accennato e di interpretare perfettamente un ruolo difficile.
Una caratteristica scandinava emerge, ed è quella della introspezione e del silenzio, entrambi questi punti, noi in Italia, dovremmo imparare a riscoprirli.
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racchiude tutto il fascino scandinavo, quello vero, garbato, elegante, capace di comunicare con silenzi e sguardi, sensibile e umano, aderente alla realtà e concreto, bello e conscio dell'umanità del sapere stare al mondo.
al di là della storia in sè, che non è male ed è ben gestita, è la capacità di espriemere e trasmettere la bellezza della società e della persona scandinava ad emergere potente, a partire dalla bellezze composta ma dirompente di Eili Harboe, capace di spaccare lo schermo con un sorriso accennato e di interpretare perfettamente un ruolo difficile.
Una caratteristica scandinava emerge, ed è quella della introspezione e del silenzio, entrambi questi punti, noi in Italia, dovremmo imparare a riscoprirli.
film molto bello.
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