carloalberto
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mercoledì 10 novembre 2021
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bellissimo film rovinato dal doppiaggio
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Una storia vera di razzismo girata dal regista australiano Warwick Thornton in stile Western. Il titolo è ironicamente stridente con la realtà dei fatti narrati. Gli aborigeni in Australia agli inizi del novecento, come i neri d’America, sono emarginati e ridotti in una condizione di schiavitù ipocritamente mascherata da finti rapporti di lavoro. Dovrebbero essere bovari alle dipendenze di piccoli rancheros bianchi, in realtà sono trattati come servi, spesso da ignobili padroni.
Suggestive inquadrature di una terra ancora selvaggia, con tramonti che evocano il mondo ai primordi, quando quel paese era abitato soltanto da uomini liberi, si contrappongono alla volgarità dei coloni e alla loro feroce ignoranza.
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Una storia vera di razzismo girata dal regista australiano Warwick Thornton in stile Western. Il titolo è ironicamente stridente con la realtà dei fatti narrati. Gli aborigeni in Australia agli inizi del novecento, come i neri d’America, sono emarginati e ridotti in una condizione di schiavitù ipocritamente mascherata da finti rapporti di lavoro. Dovrebbero essere bovari alle dipendenze di piccoli rancheros bianchi, in realtà sono trattati come servi, spesso da ignobili padroni.
Suggestive inquadrature di una terra ancora selvaggia, con tramonti che evocano il mondo ai primordi, quando quel paese era abitato soltanto da uomini liberi, si contrappongono alla volgarità dei coloni e alla loro feroce ignoranza.
Brevi flashforward rompono la linearità della narrazione sintetizzando lo sviluppo dell’azione in poche immagini.
L’orgoglio di essere diversi dall’uomo bianco ed il rifiuto di quella civiltà che appare senza tradizioni è simbolicamente rappresentato dall’orologio sottratto al suo padrone e poi gettato nello stagno dal ragazzo.
Un doppiaggio assurdo brutalizza un bellissimo film. Da vedere o rivedere, se possibile, in lingua originale.
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fabiofeli
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sabato 16 maggio 2020
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il melting pot in ebollizione dell'australia
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All’apertura del film una pentola con un liquido nero che bolle è una metafora dell’Australia dopo la prima guerra mondiale all’inizio degli anni ‘20, una immensa terra poco popolata con molte aree a pascolo, alcune città nel sudest e poche terre coltivate. Gli aborigeni svolgono lavori umili alle dipendenze di australiani “bianchi” di etnie europee. Fred (S. Neill) nella sua fattoria ha come dipendenti Sam (H. Morris), un aborigeno robusto di una certa età, e Lizzie (N. Furber). I duei aborigeni non hanno figli e con loro vive una nipote non ancora ventenne. Fred non discrimina i suoi dipendenti e si meraviglia, quando Harry (E.
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All’apertura del film una pentola con un liquido nero che bolle è una metafora dell’Australia dopo la prima guerra mondiale all’inizio degli anni ‘20, una immensa terra poco popolata con molte aree a pascolo, alcune città nel sudest e poche terre coltivate. Gli aborigeni svolgono lavori umili alle dipendenze di australiani “bianchi” di etnie europee. Fred (S. Neill) nella sua fattoria ha come dipendenti Sam (H. Morris), un aborigeno robusto di una certa età, e Lizzie (N. Furber). I duei aborigeni non hanno figli e con loro vive una nipote non ancora ventenne. Fred non discrimina i suoi dipendenti e si meraviglia, quando Harry (E. Leslie), reduce di guerra sul fronte occidentale, chiama “merce nera” Sam e Lizzie. Fred deve partire ed Harry si fa “prestare” i tre dipendenti per una spedizione nel bush australiano; di notte violenta Lizzie, che subisce per risparmiare il trauma alla nipote, ma non svela il fatto a Sam. Harry si comporta in modo arrogante anche con gli aborigeni dipendenti di Kennedy (T. Wright), Archie (J. Gibson)e il giovane Philomac (T. Doolan), mettendo addirittura una catena ai polsi del ragazzo. Harry si ubriaca e vuole sparare a Sam, ma l’aborigeno è più rapido con il fucile. Philomac vede tutta la scena ma non denuncia Sam al Sergente Fletcher, una specie di sceriffo del posto che vive in un albergo-locanda, identico a quelli nell’ovest americano. Della successiva caccia, la rincorsa in territori sconosciuti, l’incontro-scontro con aborigeni di tribù sconosciute, l’attraversamento di un lago salato, non racconteremo, se non il fatto che Sam si costituisce per l’ omicidio e viene portato in tribunale davanti a un giudice. Il film ha vinto un premio a Venezia 2017 : l’autore è un aborigeno australiano, Warwick Thornton, che narra una storia, accaduta chissà quante volte, di soprusi perpetrati ai danni degli abitanti del continente australiano. E’ un vero western con buoni e cattivi; ma anche quelli problematici, suddivisi tra “bianchi” e “neri”. I primi piani indagano le espressioni quando non si risponde ad una domanda del giudice perché la risposta è dolorosa; i paesaggi bellissimi della tradizione western sono un fugace arcobaleno tra nuvoloni neri e il candore del sale di un lago prosciugato. La recitazione è puntuale, altro punto di merito al regista. Spiccano i 4 aborigeni principali. Del cinema australiano o ambientato in Australia conosciamo troppo poco per poter fare raffronti: non bastano il misterioso Picnic ad Hanging Rock di Peter Weir (1975) che parla di collegiali “bianche” in un luogo sacro agli aborigeni e L’ultima onda (1977) sempre di Weir. Dove sognano le formiche verdi (1984) di Herzog non dice molto di più del ruolo ricoperto dai “bianchi” come espropriatori di territori sacri agli aborigeni per costruire supermercati; in Fino alla fine del mondo (1991) di Wenders primeggiano i paesaggi australiani in una trama fantascientifica confursa. Data la nostra scarsa conoscenza salutiamo come novità questo ottimo film. Da non mancare. Valutazione **** FabioFeli
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