carloalberto
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giovedì 7 dicembre 2017
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piccolo capolavoro dei coen.
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Non so quanto conti la regia di Clooney in un film la cui sceneggiatura porta la firma dei fratelli Coen, e si vede. Le atmosfere ed i colori pastello ricordano un film del 2002, “Lontano dal paradiso”, ambientato sempre nell’America degli anni 50, asfittica, perbenista, conformista e razzista, con protagonista Julianne Moore. In questo film ancora la Moore, questa volta interprete di due gemelle, è protagonista doppia, affiancata da Matt Damon, nel ritrarre metaforicamente la doppiezza di una società tristemente appiattita e omologata nel sogno americano della schiera di villette col giardino sul retro, tutte uguali come le stie di un grande allevamento di galline. In una catarsi di sangue e violenza gratuita originata dal dio danaro, che muove le marionette farsesche della filmografia dei fratelli Coen da “Il grande Lebowski” a “Non è un paese per vecchi”, i bambini salvano il mondo e danno un senso alla vita o perlomeno alla storia che si vuol narrare, col baseball vanno oltre le staccionate del giardino sul retro rompendo lo schema delle linee geometricamente perfette di Suburbicon, ignorando che altre staccionate come muri cresceranno a livello globale incanalando frustrazioni e rabbia verso il vicino “diverso” di turno affinchè la “produzione” continui indisturbata.
[+] l’america di suburbicon non è un paese per bambini
(di antoniomontefalcone)
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udiego
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sabato 9 dicembre 2017
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benvenuti a suburbicon
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Suburbicon è una ridente e felice cittadina americana degli anni 60. La sua apparente tranquillità viene messa in crisi quando una famiglia di colore, i Meyers, si trasferisce proprio al centro della città. L'intera comunità si agita e si adopera con ogni mezzo per cacciare questi nuovi individui poco graditi, ma nel frattempo proprio a fianco alla villetta dei Meyers, nella casa dei Lodge si consuma un tanto inquietante quanto insolito delitto.
George Clooney, alla sua sesta opera dietro la macchina da presa, porta al cinema la trasposizione cinematografica di una sceneggiatura dei fratelli Coen.
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Suburbicon è una ridente e felice cittadina americana degli anni 60. La sua apparente tranquillità viene messa in crisi quando una famiglia di colore, i Meyers, si trasferisce proprio al centro della città. L'intera comunità si agita e si adopera con ogni mezzo per cacciare questi nuovi individui poco graditi, ma nel frattempo proprio a fianco alla villetta dei Meyers, nella casa dei Lodge si consuma un tanto inquietante quanto insolito delitto.
George Clooney, alla sua sesta opera dietro la macchina da presa, porta al cinema la trasposizione cinematografica di una sceneggiatura dei fratelli Coen. Sullo sfondo la storia di un'America istericamente impaurita dell'arrivo di un nemico che viene da fuori e non pronta al cambiamento ed all’integrazione. In primo piano le vicende di una normale famiglia americana, capace di qualsiasi cosa pur di arrivare al denaro ed alla ricchezza. Il connubio Clooney-fratelli Coen, possiamo dirlo, è ben riuscito. La sceneggiatura e la rappresentazione della vicenda sono ben integrate, ed il film prende una strada ed ha una sua coerenza per tutta la durata. L'opera è intrisa di noir, con tutte le caratteristiche che si richiedono in un film del genere. I personaggi son ben strutturati, ed ognuno di loro ha un certo fascino nella sua drammatica comicità. Il regista non perde mai di vista il messaggio che il film vuole trasmettere e riesce a rappresentarlo grazie ad un lavoro di stile corale efficace e ben costruito. La fotografia è forse il punto di forza dell'opera, mentre nel ritmo narrativo possiamo trovare qualche difetto. I Coen ci propongono uno script tagliante come loro sanno fare, e Clooney ha la capacità di raccoglierlo, farlo suo e svilupparne le caratteristiche. Suburbicon, per concludere, è un’opera gradevole, a tratti divertente ed in grado di trasmettere un messaggio, sì semplice, ma che non deve essere sottovalutato.
Voto: 3,5/5
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flyanto
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venerdì 15 dicembre 2017
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una famiglia apparentemente perfetta
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Suburbicon è il quartiere elegante, lindo ed ordinato che dà il titolo all'ultimo film dell'attore/regista George Clooney. La storia si svolge negli anni '50 e si concentra su una delle famiglie residenti nel suddetto quartiere all'apparenza perfetta ed in armonia. Tale famiglia è composta da un padre (Matt Damon), una madre sulla sedia a rotelle in seguito ad un incidente automobilistico (Julianne Moore) ed un ragazzino adolescente molto timido ed un poco chiuso di carattere. Vi è anche la presenza della sorella gemella di lei che fa compagnia ai componenti di questo nucleo familiare.
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Suburbicon è il quartiere elegante, lindo ed ordinato che dà il titolo all'ultimo film dell'attore/regista George Clooney. La storia si svolge negli anni '50 e si concentra su una delle famiglie residenti nel suddetto quartiere all'apparenza perfetta ed in armonia. Tale famiglia è composta da un padre (Matt Damon), una madre sulla sedia a rotelle in seguito ad un incidente automobilistico (Julianne Moore) ed un ragazzino adolescente molto timido ed un poco chiuso di carattere. Vi è anche la presenza della sorella gemella di lei che fa compagnia ai componenti di questo nucleo familiare. Quando, in seguito ad una rapina perpetuata una sera nella casa da due balordi, la moglie muore, si insedia nella famiglia in maniera stabile la gemella e da qui si verificheranno una serie di avvenimenti sempre più incalzanti e violenti....
George Clooney, dirige una pellicola che è stata sceneggiata dai fratelli Coen (e si vede), e che ha tutte le carte in regola per essere definita come una black comedy. Infatti, nel suo complesso, l'opera è ironica e pungente e all'inizio la storia si svolge presentando un ambiente sereno e positivo ma, man mano che la vicenda si sviluppa, la commedia assume connotazioni sempre più scure, violente (seppure, a volte, al limite del ridicolo), insomma grottesche. L'ambiente che Clooney presenta, con le villette ed i loro giardini verdi, fioriti e ben curati dove risiedono famiglie di individui sereni, rispettosi ed amorevoli gli uni con gli altri, è un mondo che all'apparenza appare felice, armonico e perfettamente funzionante, ma che in realtà cova delle tensioni interne che, una volta venute allo scoperto, si trasformano in azioni di una violenza e crudeltà inaudita. Sul piano sociale ciò è dimostrato dalla rivolta degli abitanti di Suburbicon contro la famiglia di colore di nuovi inquilini ivi stabilitasi, sul piano più privato e domestico con le nefandezze crescenti dei componenti del nucleo familiare protagonista. Insomma, il ritratto di un'America perfetta esteriormente e come specchio di quel "sogno americano" tanto agognato ed inseguito dai suoi connazionali che, come Clooney in maniera quanto mai egregia ha rappresentato, è e fu impossibile realizzare proprio per la natura in sè cattiva dell'uomo: infido, egoista e xenofobo.
Molto ben diretto ed interpretato, nonchè ben ricostruito nell'epoca e negli ambienti, "Suburbicon" risulta del tutto consigliabile.
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no_data
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martedì 12 dicembre 2017
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chi ha occhi per vedere....
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SUBURBICON Il film si apre con le foto che vengono fuori da un album trasformandosi in scene di vita quotidiana : le villette a schiera con il curassimo prato da cui escono padri felici che accompagnano i figli a scuola baciando sulla porta di casa la moglie sorridente, la scuola in cui vengono amorevolmente accolti i bambini, i servizi offerti dalla cittadina che comprendono una bella chiesa la cui sola visione infonde serenità, un gruppo sorridente dei vigili del fuoco e delle infermiere dell’ospedale angeli tutelari del paese; le immagini delle abitazioni, le auto parcheggiate, la descrizione minuziosa e perfetta degli oggetti e dei luoghi caratterizzata dai movimenti della camera portano la firma dei fratelli Coeh.
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SUBURBICON Il film si apre con le foto che vengono fuori da un album trasformandosi in scene di vita quotidiana : le villette a schiera con il curassimo prato da cui escono padri felici che accompagnano i figli a scuola baciando sulla porta di casa la moglie sorridente, la scuola in cui vengono amorevolmente accolti i bambini, i servizi offerti dalla cittadina che comprendono una bella chiesa la cui sola visione infonde serenità, un gruppo sorridente dei vigili del fuoco e delle infermiere dell’ospedale angeli tutelari del paese; le immagini delle abitazioni, le auto parcheggiate, la descrizione minuziosa e perfetta degli oggetti e dei luoghi caratterizzata dai movimenti della camera portano la firma dei fratelli Coeh. La città descritta come la più pacifica e tranquilla città americana è Suburbicon in essa l’armonia regna sovrana gli abitanti vivono in uno stato di grazia totale. Ma la contrapposizione tra la patina di perbenismo che ammanta i cittadini e il profondo disagio esistenziale è il terreno perfetto dove i fratelli Choen giocano la loro sceneggiatura; la loro inconfondibile impronta stilistica si manifesterà proprio nelle scene costantemente in bilico tra il tragico e il comico tra il paradossale e il reale. Nella città avviene un fatto di sangue: alcuni balordi irrompono di notte in una casa dove vive Gardner Lodge con la moglie Rose, rimasta paralizzata in seguito ad un incidente e il figlio Nicky, nella stessa casa vive anche Margaret sorella gemella di Rose. Nel succedersi dei fatti rimane uccisa Rose. L’intera comunità è sconvolta dal fatto ed inizia la caccia all’assassino. I primi indagati accusati e perseguitati in un crescendo di minacce e violenze saranno gli ultimi arrivati nella città che hanno la disgrazia di avere la pelle scura . Da qui si dipana un crescendo di scene paradossali e tragicomiche che mostrano criminali fasulli e pasticcioni, tentativi di omicidi con veleni fatti in casa artigianalmente, scene in cui il protagonista si tira dietro in mezzo alla strada il cadavere di un uomo perché non riesce ad estrarre l’arpione che gli ha conficcato nel petto. Offerta con arguzia e con umorismo la denunzia di Clooney è evidente : l’America conformista e razzista trova più comodo dirottare la paura e la rabbia sul diverso per colore razza o religione perché non vede o non vuole vedere il male e la violenza che nascono all’interno delle mura domestiche alimentate da gelosie avidità ipocrisie tradimenti. Elena
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giajr
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mercoledì 13 dicembre 2017
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un thriller che al contempo fotografa un'epoca
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Un film piacevole, che sicuramente tratteggia il perbenismo degli anni 50, quelli americani del boom economico.
Un innegabile quanto palese omaggio all'inimitabile Hitchcock ed al contempo un forzato richiamo alla causa dell'integrazione "nera" che tra gli anni 50 e 60 in America è stata foriera di violenti scontri e disgrazie enormi... per certi versi ed in alcuni stati USA una integrazione ancora ostica al giorno d'oggi (assurdo a dirsi , ma è così!).
Un film ricco di colpi di scena in un buon tratteggio scenografico. Un testo, quello dei fratelli Cohen, che certamente è ottimamente incastrato in dinamiche semplici, grottesche quanto insensibili.
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Un film piacevole, che sicuramente tratteggia il perbenismo degli anni 50, quelli americani del boom economico.
Un innegabile quanto palese omaggio all'inimitabile Hitchcock ed al contempo un forzato richiamo alla causa dell'integrazione "nera" che tra gli anni 50 e 60 in America è stata foriera di violenti scontri e disgrazie enormi... per certi versi ed in alcuni stati USA una integrazione ancora ostica al giorno d'oggi (assurdo a dirsi , ma è così!).
Un film ricco di colpi di scena in un buon tratteggio scenografico. Un testo, quello dei fratelli Cohen, che certamente è ottimamente incastrato in dinamiche semplici, grottesche quanto insensibili.
Dialoghi scarni ma giusti per questo film.
Un incrocio tra un film di Doris Day, la lunga strada verso casa di Richard Pearce e Marnie di Hitchcock.
Bravi gli attori e buona la regia di Clooney.
Consigliato.
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giajr
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giovedì 14 dicembre 2017
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un film niente male che richiama vaghi ricordi....
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Un film piacevole, che sicuramente tratteggia il perbenismo degli anni 50, quelli americani del boom economico.
Un innegabile quanto palese omaggio all'inimitabile Hitchcock ed al contempo un forzato richiamo alla causa dell'integrazione "nera" che tra gli anni 50 e 60 in America è stata foriera di violenti scontri e disgrazie enormi.
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Un film piacevole, che sicuramente tratteggia il perbenismo degli anni 50, quelli americani del boom economico.
Un innegabile quanto palese omaggio all'inimitabile Hitchcock ed al contempo un forzato richiamo alla causa dell'integrazione "nera" che tra gli anni 50 e 60 in America è stata foriera di violenti scontri e disgrazie enormi... per certi versi ed in alcuni stati USA una integrazione ancora ostica al giorno d'oggi (assurdo a dirsi , ma è così per davvero!).
Un film ricco di colpi di scena in un buon tratteggio scenografico. Un testo, quello dei fratelli Cohen che certamente è ottimamente incastrato in dinamiche semplici, grottesche quanto insensibili.
Un incrocio tra un film di Doris Day, la lunga strada verso casa di Richard Pearce, Marnie di Hitchcock e disperate housewives.
Bravi gli attori, poveri i dialoghi ma adatti per questo tipo di film basato sul falso perbenismo iconografico.
Promosso il regista Clooney che forse ha volutamente ecceduto perdendo di vista alcune accortezze per gli spettatori più attenti.
Nel complesso un film buono che merita di essere consigliato.
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flaw54
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domenica 10 dicembre 2017
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clooney alla cohen
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Film grottesco secondo lo stile dei fratelli Cohen, ma attraente nella sua assurdità, con una seconda parte nera e violenta, ma talvolta trascinante nella sua drammatica comicità. È il messaggio (im)morale che ci viene spiattellato sul perbenismo e l'ipocrisia di un mondo borghese in cui da sempre le apparenze contano di più dei pensieri effettivi. Il film può piacere e non piacere per la particolarità dello script, ma mantiene una forte carica di originalità e nel complesso mi sembra molto meglo riuscito delle ulrime prove dei Cohen. Film citazionista: The Truman show all'inizio, il sangue e la violenza volutamente eccessiva da essere non credibile di Tarantino, la grande fuga nel finale con la fiduciosa immagine dei due bambini che giocano a baseball in un mondo dilaniato dalla violenza.
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Film grottesco secondo lo stile dei fratelli Cohen, ma attraente nella sua assurdità, con una seconda parte nera e violenta, ma talvolta trascinante nella sua drammatica comicità. È il messaggio (im)morale che ci viene spiattellato sul perbenismo e l'ipocrisia di un mondo borghese in cui da sempre le apparenze contano di più dei pensieri effettivi. Il film può piacere e non piacere per la particolarità dello script, ma mantiene una forte carica di originalità e nel complesso mi sembra molto meglo riuscito delle ulrime prove dei Cohen. Film citazionista: The Truman show all'inizio, il sangue e la violenza volutamente eccessiva da essere non credibile di Tarantino, la grande fuga nel finale con la fiduciosa immagine dei due bambini che giocano a baseball in un mondo dilaniato dalla violenza. Un'unica osservaziine: mi è sembrato non ben inserito e piuttosto disomogeneo l'episodio legato al razzismo.
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eugenio
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sabato 2 dicembre 2017
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l'anima nera della middle-class americana
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Le premesse c’erano e tutte di qualità: una sceneggiatura dei fratelli Cohen dallo spirito sardonico e acuto nel delineare la crisi e l’ipocrisia della middle-class americana, la presenza di attori capaci protagonisti di altre famose pellicole oramai di culto (Burn after reading o la trilogia di Jason Bourne), Matt Damon, Julianne Moore (Cake) e la regia di un attore impegnato nel sociale, George Clooney; eppure, nonostante le promettenti intenzioni, Suburbicon non decolla.
Siamo nel 1959 in un distretto di provincia americana dove tutto scorre placido e senza apparenti anomalie. Saldamente avvinta è la bandiera a stelle e strisce, sorridenti sono le mogliettine in trepidante attesa dei mariti al ritorno dal lavoro.
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Le premesse c’erano e tutte di qualità: una sceneggiatura dei fratelli Cohen dallo spirito sardonico e acuto nel delineare la crisi e l’ipocrisia della middle-class americana, la presenza di attori capaci protagonisti di altre famose pellicole oramai di culto (Burn after reading o la trilogia di Jason Bourne), Matt Damon, Julianne Moore (Cake) e la regia di un attore impegnato nel sociale, George Clooney; eppure, nonostante le promettenti intenzioni, Suburbicon non decolla.
Siamo nel 1959 in un distretto di provincia americana dove tutto scorre placido e senza apparenti anomalie. Saldamente avvinta è la bandiera a stelle e strisce, sorridenti sono le mogliettine in trepidante attesa dei mariti al ritorno dal lavoro.
La quiete dura poco: l’arrivo di una famiglia di colore scuote gli animi della borghese quanto marcia xenofoba comunità. Non solo: in sordina, mentre la popolazione è impegnata nell’ ”assedio” allo straniero, denotato dal colore diverso della pelle, due balordi, penetrano nottetempo in casa dei Lodge, stordiscono col cloroformio i membri della famiglia, il marito Gardner (Matt Damon), il figlio Nicky e la sorella gemella di Rose, Margaret (sempre Julianne Moore) e maldestramente uccidono la moglie di Gordon, Rose, paralizzata su una sedia a rotelle .
Sarà l’inizio di un massacro e di un’escalation di violenza in cui nulla è realmente ciò che sembra.
E’ un “western”, quasi urbano Suburbicon, per ambienti e caratterizzazioni: un film che si sottrae ai canoni dominanti nel tratteggiare un percorso di crescita, quello del figlio Nicky, asettico e quasi atarassico eppure capace di grande tolleranza nonostante le “condizioni a contorno”. Suburbicon racconta di luoghi e personaggi aspri e politicamente scorretti, con una descrizione inquietante di una situazione sociale e politica assolutamente squallida e senza uscita.
Il razzismo come piaga è solo però il contorno, il pretesto utilizzato da Clooney per svelare una realtà che nasconde la propria anima nera (sic) dietro la nobile facciata di rispettabilità incravattata. Lo sguardo surreale e grottesco, a tratti grand-guignollesco dei fratelli Cohen di cui Clooney rielabora lo script , è il tramite mediante il quale la paura del diverso e la sete soprattutto di denaro che muove ogni ambizione umana, si palesano con un impatto tale da sacrificare le vite “più deboli”.
Nella “carrellata” di personaggi che il regista non indugia a ritrarre nelle loro grette mansioni, si delinea con ruvida e laconica intensità la storia di un paese incapace di riconoscere degnamente il suo mondo, che sente l'odore di cambiamenti ai quali non riesce mai ad adeguarsi, che trascina il peso dei suoi errori tenendo sempre la schiena dritta sacrificando ogni cosa che possa impedire il pieno soddisfacimento degli obiettivi, quelli meramente materiali.
Solo l’innocenza di un bambino, seppur emblema dell’anti-emozione per eccellenza, un bambino che ingloba odio e intolleranza guardando con occhi spenti la sua famiglia e la comunità che lo circonda, per converso apprende il significato della parola tolleranza, col semplice gioco a baseball col suo coetaneo “nero”.
Sembra quasi la pubblicità di un noto biscotto “bianco e nero” condito con una sottile propaganda elettorale, questo Suburbicon, un inno di repressione violenta per dire no alla xenofobia, un messaggio anti-trampista, condito da un po’ di sano humour nero dei Cohen da cui purtroppo la regia di Clooney rigididamente ancorata nei divertiti giochi lineari senza un personale valore aggiunto.
Compitino.
Nelle sale dal 6 dicembre.
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peergynt
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lunedì 4 settembre 2017
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un noir grottesco che infastidisce
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Cos'è il grottesco? Il Vocabolario Treccani ci chiarisce il concetto: è qualcosa di bizzarramente deforme, qualcosa che è goffo, paradossale, innaturale e che muove il riso pur senza rallegrare; e in letteratura è uno degli aspetti del comico, "che nasce da uno squilibrio, da una sproporzione voluta fra gli elementi rappresentativi". In questa definizione è ben tratteggiato tutto l'ultimo film dei fratelli Coen, di cui Clooney ha curato la regia (oltre ad essere co-sceneggiatore e co-produttore). La vicenda narrata è deforme e innaturale, i personaggi sono esagerati (nella crudeltà, nell'imbecillità) fino al fastidio, la location è il risultato di un esasperato squilibrio fra il luogo più bello e pacifico esistente (il paese di Suburbicon appunto) e i suoi abitanti, un covo di serpenti velenosi e distruttivi, vero minimondo di bianchi anglosassoni razzisti e ipocriti.
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Cos'è il grottesco? Il Vocabolario Treccani ci chiarisce il concetto: è qualcosa di bizzarramente deforme, qualcosa che è goffo, paradossale, innaturale e che muove il riso pur senza rallegrare; e in letteratura è uno degli aspetti del comico, "che nasce da uno squilibrio, da una sproporzione voluta fra gli elementi rappresentativi". In questa definizione è ben tratteggiato tutto l'ultimo film dei fratelli Coen, di cui Clooney ha curato la regia (oltre ad essere co-sceneggiatore e co-produttore). La vicenda narrata è deforme e innaturale, i personaggi sono esagerati (nella crudeltà, nell'imbecillità) fino al fastidio, la location è il risultato di un esasperato squilibrio fra il luogo più bello e pacifico esistente (il paese di Suburbicon appunto) e i suoi abitanti, un covo di serpenti velenosi e distruttivi, vero minimondo di bianchi anglosassoni razzisti e ipocriti. Parlare di duro affresco della società americana perbenista oppure di critica dissacrante all'istituzione familiare borghese mi sembra dare una patina di intellettualità ad un giochetto (nemmeno tanto riuscito) di parodizzazione del cinema e dei suoi generi (primo fra tutti il noir anni Quaranta, a seguire il melodramma di Douglas Sirk), che è da sempre una delle manie dei fratelli Coen, cinefili quant'altri mai. In fin dei conti, è un film che non diverte e non angoscia, malgrado i temi scottanti che tira in ballo: e riesce solo a infastidire!
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