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Mélanie Thierry: «si può combattere amando appassionatamente»

Incontro con l'attrice francese, interprete vibrante di Marguerite Duras nell'omonimo adattamento del romanzo 'La douleur'. Dal 17 gennaio al cinema.
di Marzia Gandolfi

La douleur

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Mélanie Thierry (42 anni) 17 luglio 1981, Saint-Germain-en-Laye (Francia) - Cancro. Interpreta Marguerite Duras nel film di Emmanuel Finkiel La douleur.
lunedì 14 gennaio 2019 - Incontri

Nel nuovo film di Emmanuel Finkiel, La douleur (guarda la video recensione), Mélanie Thierry è Marguerite Duras. Leggera e solida. Peso piuma e combattente energica. Senza caricature riesce a cogliere sullo schermo la 'musica' durassiana come solo Emmanuelle Riva prima di lei. Pubblicato nel 1985, "La douleur" è il libro più bello (e più letterario) di Marguerite Duras e si svolge nella Parigi occupata dai nazisti.

Robert Antelme, scrittore e faro della Resistenza, viene arrestato e deportato. La sua giovane sposa, Marguerite, scrittrice e resistente, lo attende e attende sue notizie. In mezzo due uomini, due relazioni e la 'recita' di un'autobiografia pura. Attrice delicata e densa come un diamante, Mélanie Thierry trova la voce intima del suo personaggio e recita lunghi monologhi interiori che accentuano la dimensione incantatoria e ipnotica dell'adattamento di Emmanuel Finkiel. I primi piani intensi sul volto nudo e spogliato dell'attrice, confermano che il dolore del titolo si è preso tutto lo spazio.

La voce off di Mélanie Thierry accompagna le immagini, le precede qualche volta ma non le calca mai. Tra Benjamin Biolay, amico-amante amorevolmente protettivo, e Benoît Magimel, agente-nemico sconvolgente nella sua vile seduzione, Mélanie Thierry è voce (e corpo) che misura le vie di Parigi, è un'ombra dolente che rasenta i muri, è l'ambiguità incarnata di una giovane donna piena di vita in un mondo di lutto e rovina, di una moglie che non ama più il suo uomo ma non osa confessarselo.

Mélanie Thierry rende leggibile la simultaneità dell'aspirazione alla libertà che allontana Marguerite Duras da Antelme e insieme la sua fedeltà feroce al coniuge deportato. E nell'oscillazione tra la speranza indistruttibile e la certezza che è necessario smettere di credere che un giorno il suo uomo tornerà, qualcosa passa nello sguardo dell'attrice, una malinconia improvvisa, fugace, intensa, violenta che evoca quella di Romy Schneider. Sotto i tratti lievi e l'allure naturale, dietro le labbra rosse e i larghi occhi chiari, Mélanie Thierry cattura un'epoca e la restituisce coi sensi.

Come ha approcciato il 'personaggio' Marguerite Duras? Come ha reso visibile la sua prosa? 
Per prima cosa ho cercato di non farne una caricatura. Mi sono protetta dal mito Duras mettendo in atto diverse strategie, rimanendo ad esempio incollata al libro. "La douleur" non è un biopic, non racconta tutta la vita di Marguerite Duras, è un romanzo e Marguerite è l'eroina della (sua) storia. Questo mi ha permesso di approcciarla in 'secondo grado', in maniera indiretta. All'epoca in cui è ambientato il romanzo poi, Marguerite Duras come la conosciamo oggi non esisteva ancora, non era ancora celebre, aveva scritto un solo libro ed era praticamente sconosciuta al grande pubblico.

Mi sono concentrata sulla donna, una donna che attende il ritorno di suo marito. I film ambientati durante la Seconda Guerra Mondiale si sono occupati spesso di eserciti, soldati, nazisti e partigiani, lasciando fuori campo le donne e l'inquietudine dell'attesa, sovente lunga ed estenuante.
Mélanie Thierry

La liberazione di Parigi è stata certamente un momento incredibile ed esaltante, la gente scendeva in strada gioiosa e la vita riprendeva il suo corso ma le cose non furono così semplici, per molte persone l'attesa si prolungò anche dopo la liberazione. Questo è stato il punto di partenza di Emmanuel Finkiel e a quell'idea il mio personaggio ha aderito. Ho deciso di interpretare una donna che scrive e aspetta, di aggiungere al suo carattere ostinato la mia sensibilità fino a trovare una sorta di evocazione della Duras, attraverso la voce, lei aveva una maniera melodiosa di esprimersi, una musicalità singolare, volava sulle parole. Ho riletto molti brani dei suoi libri, ho visto così tanti documentari su di lei che a un certo punto mi è parso quasi di conoscerla.


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In foto una scena del film La douleur.
In foto una scena del film La douleur.
In foto una scena del film La douleur.

E a proposito della melodia durassiana, avete fatto un lavoro incredibile sulla voce. Come l'avete trovata? Avete studiato le altre interpretazioni di Marguerite Dura, penso soprattutto a quella di Jeanne Moreau, di Emmanuelle Riva e di Delphine Seyrig...
Io amo tutte le muse di Marguerite Duras, particolarmente quella incarnata da Jeanne Moreau, per lei nutro una passione travolgente, ma apprezzo anche la versione di Delphine Seyrig, attrice francese che ha fatto soprattutto teatro e che è probabilmente la musa più pura di Marguerite Duras. Ma l'attrice che ha influenzato di più la mia performance è stata senza dubbio Emmanuelle Riva. Nel film di Alain Resnais (Hiroshima mon amour) c'era già la voce off e noi l'abbiamo impiegata allo stesso modo. Non ho riguardato invece Cet amour-là, il film di Josée Dayan, dove Jeanne Moreau interpreta Marguerite Duras, perché quello che cercavo era un'impressione, era il soffio di Marguerite.

Robert Antelme ha descritto l'esperienza concentrazionaria nel libro "L'Espèce humaine". Secondo voi "La douleur" di Marguerite Duras è una sorta di controcampo?
Esattamente. Come sostiene Emmanuel Finkiel, ci sono molti film che assumono il punto di vista di Robert Antelme e pochi che filmano il suo controcampo, quello che "La douleur" rappresenta così bene. Finkiel lo ha assunto secondo me magnificamente. Questo non toglie che trovo il libro di Antelme rilevante e imprescindibile.

È la seconda volta che lavorate con Emmanuel Finkiel (Non sono un bastardo), che cosa vi affascina di lui e del suo cinema?
Emmanuel possiede qualcosa di raro, è un grande intellettuale, è un uomo che conosce molto bene il cinema e ha una passione smisurata per il cinema. Prima di girare fa un lavoro enorme, è scrupoloso e si prepara accuratamente. C'è qualcosa di estremamente celebrale nella sua maniera di lavorare, qualcosa che poi dimentica sul set dove assume un atteggiamento al contrario più viscerale, qualcosa che gli arriva dritto dal ventre. La sua maniera di girare è astratta e organica insieme, per questo gira così bene, io amo la sua visione, trovo magnifica la maniera in cui restituisce i tormenti che agitano il testo, la maniera che ha di ordinare in un'immagine il disordine del testo. Personalmente penso che adattare un libro sia difficile, soprattutto un libro importante come "La douleur". Trovo che Emmanuel sia stato molto leale con Marguerite Duras, che rilegga benissimo il suo libro, che il film offra allo spettatore immagini belle quanto quelle del testo. Per me il suo è un adattamento completamente riuscito.


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In foto una scena del film La douleur.
In foto una scena del film La douleur.
In foto una scena del film La douleur.

Nel film recitate con tre attori differenti (Benoît Magimel, Benjamin Biolay, Emmanuel Bourdieu) e vi confrontate con tre caratteri maschili differenti. È stato difficile cambiare tono, adattarsi a ciascuno di loro?
No, non direi che è stato difficile, anzi ero felice di mettermi alla prova con caratteri diversi. Soprattutto ero felice di lavorare con partner tanto gentili, generosi e galanti. È fantastico avere dei partner così. Avevo già lavorato con Benoît Magimel, avevamo fatto un film insieme e ci conoscevamo bene. Amo lavorare con lui perché unisce a un côté estremamente fragile qualcosa di pericoloso, misterioso, febbrile. Sullo schermo è riuscito a rendere tutta la complessità del suo personaggio, così dolce e così violento, portatore insieme di male e di speranza, c'è insomma in lui qualcosa di bizzarro. Per me Benoît è un attore fantastico da filmare, ha una fotogenia e una bellezza incredibili. E poi c'era Benjamin Biolay, cantautore molto popolare in Francia. Benjamin è anche un ottimo attore, lavora con grande umiltà. Recitare non è il suo mestiere principale, per questa ragione quando fa cinema preferisce mantenere un profilo basso.

La sua è una filmografia esigente. Lei è un'attrice esigente ed eclettica, solare in Au revoir là-haut o opaca in La douleur, come sceglie i suoi ruoli?
Non lo so, probabilmente seguo l'istinto o il desiderio di lavorare con questa o quella persona. Ad esempio il mio ruolo in Au revoir là-haut è piccolo ma volevo tanto lavorare con Albert Dupontel perché lo trovo così charmant e intelligente. Albert è un grande regista, amo il suo cinema e trovavo che il ruolo propostomi fosse carino da recitare e allora l'ho fatto senza farmi troppe domande. La cosa importante alla fine per me è il primo incontro, è importante capire se riuscirò a lavorare bene con un autore, se ha uno sguardo, un pensiero, un'opinione, un desiderio di cinema interessanti che mi facciano venire voglia di girare con lui. In questo momento non sto girando niente e francamente non so quando lavorerò la prossima volta, quello che so per certo è che non vedo l'ora di fare cose nuove, ci sono 'colori' che non ho mai recitato, non so se sarò capace di interpretare il blu, davvero non so se ne sarò capace ma non vedo l'ora di farlo.

Colette, Marguerite Duras o Simone de Beauvoir incarnano tre maniere straordinarie di impegno... cosa pensate di loro e di questo nuovo femminismo?
Erano differenti certo ma tutte ugualmente portatrici di una grande forma di libertà. Colette poi era un'avanguardista, una creatura assolutamente libera, amava anche le donne e non lo nascondeva in un'epoca in cui non era certo facile praticare l'amore saffico ma lei era onesta e politicamente corretta, davvero una donna affascinante. Poi c'erano Simone de Beauvoir, Marguerite Duras, Marguerite Yourcenar tutte scrittrici incredibili e tutte allineate. Condividevano una forma di fragilità e di sensibilità, avevano qualcosa di importante da dire e non si preoccupavano mai troppo dei giudizi degli altri o degli sguardi degli uomini, avevano tutte una maniera educata e garbata di porsi e di condurre le proprie battaglie. Erano tutte femministe e nessuna di loro odiava gli uomini. Quello che proprio non capisco dei nuovi movimenti femministi è quella maniera di lanciarsi contro gli uomini. Donne come Marguerite Duras o Simone de Beauvoir combattevano per i loro diritti senza che questo gli impedisse di amare appassionatamente gli uomini, i loro uomini a cui scrivevano lettere travolgenti. Trovo che i nuovi movimenti, soprattutto quelli americani, siano fortemente ipocriti e puritani, davvero fatico a comprenderli.


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