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Ghost in the Shell, il corpo di Scarlett cambia ancora

L'intera operazione può essere letta come un disegno divistico di (ri)collocazione della star americana, sempre più orientata verso un certo tipo di personaggio.
di Roy Menarini

Ghost in the Shell

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Scarlett Johansson (Scarlett Ingrid Johansson) (39 anni) 22 novembre 1984, New York City (New York - USA) - Scorpione. Interpreta Kusanagi nel film di Rupert Sanders Ghost in the Shell.
sabato 1 aprile 2017 - Focus

Le rivendicazioni sociali nel campo della cultura cinematografica sono davvero bizzarre. Vedendo Ghost in the Shell appare abbastanza evidente che Scarlett Johansson rappresenta una immersione divistica occidentale in un mondo completamente orientale quanto a immaginario, gusto, attori, sensibilità.

Il cosiddetto whitewashing (appropriazione "bianca" di storie e miti non occidentali) in questo caso non c'entra nulla, anzi dà vita a una sorta di ragionamento interno alla storia sulla impossibilità di incarnare manga e anime senza far emergere inevitabilmente il ricordo di quella tradizione.
Roy Menarini

Una Johansson particolarmente spaesata - e, diciamo la verità, proprio sulla consapevolezza di questa impotente ibridazione si giocano le discussioni tra chi ha amato il film e chi lo ha detestato per la sua debolezza figurativa - tanto che sembra lei stessa, in quanto attrice, invasa dai fantasmi della cultura giapponese e allucinata dai glitch di altre forme di recitazione. La stessa scomposizione del volto in sezioni mobili, la geografia del corpo (esaltato da Rupert Sanders nella sua piccolezza e compattezza), il tema della personalità nascosta nel cyborg ospitante (il ghost nello shell) potrebbero far parte tutti di un disegno divistico di collocazione della star americana, sempre più orientata verso un certo tipo di personaggio.


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In foto una scena del film Ghost in the Shell.
In foto una scena del film Ghost in the Shell.
In foto una scena del film Ghost in the Shell.

Alla fine di Lucy (film quant'altro mai incompreso, nel suo ribaltare stereotipi di gender in un film pur smaccatissimo), la protagonista si smaterializzava versando la sua conoscenza dentro una rete di computer e facendo sapere al mondo di trovarsi "ovunque". Quasi che Ghost in the Shell cominci da dove finisce il film di Besson, Scarlett Johansson - là ormai persa nei network - ritrova qui un corpo, il suo, costruito ad arte da una scienziata demiurga. Il passaggio dell'attrice da un cinema sostanzialmente autoriale alla fantascienza contemporanea (aliena in Under the Skin, personaggio degli Avengers nei film della Marvel, umana potenziata dai poteri soprannaturali nel già citato Lucy) testimonia di una trasformazione corporea sempre più curiosa.

Proprio le forme compresse del suo fisico, chiamato al combattimento e al continuo generarsi/scomporsi/riaggregarsi del corpo, sembrano il sostegno minuto ma ferreo di una volontà altrettanto indistruttibile, che fa rima con il carisma divistico e con l'affermazione di una indipendenza femminile spinta fino alle estreme conseguenze (tra cui il sacrificio, elemento sempre dietro l'angolo nei suoi personaggi, per quanto aspri e fieri).
Roy Menarini

Se insistiamo su Scarlett Johansson è anche perché sembra che su di lei sia stato costruito l'intero bilanciamento dell'operazione Ghost in the Shell, un tipo di racconto cyberpunk che appare molto datato quanto a suggestioni uomo/macchina (basti pensare a quanto si è spinta più avanti, filosoficamente e scientificamente, una serie come Westworld) e che non ci sorprenderemmo di scoprire prodotto principalmente per il pubblico non occidentale. Ed è spiazzante notare come le intuizioni del manga originale e dell'universo narrativo e mediale che ne è scaturito siano tutto sommato valide ancora oggi. Gli artisti degli anni Ottanta e Novanta avevano già intuito sviluppo e pericoli del web, perfettamente confermati oggi in epoca di cyberterrorismo e controllo governativo dei mezzi di comunicazione digitali.


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