L'ora più buia

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Fuori dall'oscurità di un incombente disfatta. Valutazione 3 stelle su cinque

di Great Steven


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lunedì 29 aprile 2019

L'ORA Più BUIA (UK, 2017) diretto da JOE WRIGHT. Interpretato da GARY OLDMAN, KRISTIN SCOTT THOMAS, LILY JAMES, STEPHEN DILLANE, BEN MENDELSOHN, RONALD PICKUP, NICHOLAS JONES, RICHARD LUMSDEN, JEREMY CHILD, SAMUEL WEST
Gran Bretagna, 1940. È una stagione cupa quella che si annuncia in Europa, a causa delle mire espansionistiche e folli di Adolf Hitler e dell’avanzata militare a dir poco brutale della Germania nazionalsocialista. Il Belgio è caduto, la Francia è stremata e l’esercito inglese è intrappolato sulla spiaggia di Dunkerque. Dopo l’invasione della Norvegia e l’evidente disprezzo della Germania nei confronti dei patti sottoscritti con le nazioni europee, la Camera chiede a gran voce le dimissioni del pavido Primo Ministro Neville Chamberlain, incapace di gestire l’emergenza e di guidare un governo di larghe intese. A rimpiazzarlo giunge Winston Churchill, con buona pace del Re Giorgio VI e del Partito Conservatore che lo designa per soddisfare i Laburisti. Ignorando con determinazione gli stolti vicini e deciso a resistere al nemico lontano, Churchill prende il comando del Paese e lo guida a suon di parole fuori dall’"ora più buia" e verso la vittoria che sa costruire poco a poco per il bene dei cittadini che governa e ama. Necessitavamo di un altro film su Winston Churchill? Probabilmente no, ma davanti alla stupefacente performance di G. Oldman The Darkest Hour è il benvenuto. L’Homburg di feltro, lo spropositato sigaro, il panciotto, la voce grassa, il corpo goffo, l’immancabile whisky alla mano e il "mumbling" permanente lo rendono una sfida irresistibile per qualunque interprete. Per non parlare del trucco, poi, premiato con l’Oscar insieme all’interpretazione al miglior attore protagonista, che permette ad Oldman di assomigliare al politicante britannico, futuro Premio Nobel per la Letteratura, con strabiliante aderenza! Dimostrano un accento veridico, anche in funzione di elevare (non enfatizzare) la voce britannica, i discorsi del suo personaggio in merito alla situazione che il Regno Unito stava allora attraversando: la minaccia dell’invasione tedesca, lo spostamento di 300.000 da Calais a Dunkerque, il dissenso pressoché univoco (ma non imperituro) del Parlamento a screditare ogni singola mossa governativa di Winston, la diffidenza iniziale di Re Giorgio poiché nemmeno lui riusciva a inquadrarlo sotto una buona luce, il rifiuto ostinato di piegarsi ai negoziati di pace con Italia e Germania perché ciò avrebbe significato un ammorbidimento imperdonabile delle condizioni cui sarebbe seguita una sottomissione terrificante, alla quale il capo del governo seppe preferire una strenua lotta con tutto il dispiegamento delle forze a disposizione finché ogni singolo soldato non si fosse ritrovato a giacere al suolo soffocato nel suo medesimo sangue. L’attore inglese dipinge efficacemente Churchill come un uomo dotato di qualità eccezionali non in virtù di una personalità fuori dal comune o di un particolare genio, ma grazie al senso pratico sviluppatissimo, alla capacità di dialogare col popolo (memorabile la sequenza in cui, vestito da uomo borghese qualunque, sale sulla metropolitana e parla coi cittadini di Londra) soddisfacendone i bisogni soprattutto nei periodi critici e alla dignità del combattente che imperversa nella battaglia senza arrendersi se non quando ha già fornito il meglio di sé. La sceneggiatura di Anthony McCarthy non perde un colpo nell’eliminare la retorica dal messaggio educativo che il film trasmette con ottima trasparenza e al tempo stesso lancia un severissimo monito tanto ai nazionalismi cocciuti e insensati quanto alle facili politiche di negoziazione che contrattano la pace pagando prezzi vergognosi. Ingegnoso anche il mondo con cui viene rappresentato il gabinetto di guerra: un coacervo di riunioni sotterranee in un bunker super-attrezzato dove occorre, per accedervi, uno speciale lasciapassare, i cui raduni hanno come scopo decisioni di vitale importanza sull’organizzazione delle truppe e il contrasto agli avversari bellici che sembrano avanzare di ora in ora, forti di un esercito che appare imbattibile, ma in realtà affrontabile non solo con aerei, navi e carri armati, ma pure mediante l’uso di coerenza, compartecipazione, unione determinante, avvedutezza e resistenza a oltranza. Accanto allo strepitoso protagonista che s’è ampiamente meritato il suo altissimo riconoscimento, si muovono Thomas nei panni della moglie paziente che lo vede cambiare e ritrova il Winston di quando s’erano conosciuti da giovani (lo vede passare da un comportamento scorbutico e irritato alla gentilezza risoluta), James nel ruolo della signorina Layton, dattilografa che vince la propria ritrosia nel trasformarsi in insostituibile alleata del Primo Ministro quando batte a macchina i suoi prodigiosi discorsi, Dillane nelle vesti dell’antipatico visconte Halifax, designato inizialmente dalla Camera dei Lords come possibile alternativa a Churchill nella guida della nazione e che vede Churchill con costante disprezzo, e Mendelsohn che fa Giorgio VI (padre della futura regina Elisabetta II) sottolineandone il piglio un po’ aggressivo, ma anche la concretezza della sua lungimiranza da regnante. Con un’atmosfera perennemente in penombra grigiastra e bianchiccia e caratterizzato dalle gloriose musiche di Dario Marianelli, il film si conferma un’esperienza storica oltremodo gustosa e un prodotto che sa insegnare parecchio non tanto a livello accademico, quanto principalmente sul piano del bisogno di uscire lottando dalle condizioni più disagevoli. Sia che debba uscirne un individuo o uno Stato.

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