raffele
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mercoledì 8 marzo 2017
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insomma, papà
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un padre ed una figlia quarantenne che la vita ha inesorabilmente allontanato. questa figlia vive immersa in un ruolo professionale cinico e pervasivo, questo padre, scherzomane impenitente, irrompe nelle giornate di lei, a prima vista come un cialtrone, con le sue "ragazzate" grossolane, la sconcerta, la irrita, alla fine le tocca delicatamente un involucro dimenticato, rinsecchito, di affetti, forse di ricordi, le strappa null'altro che una rincorsa e un' abbraccio (come da piccola?). il riapparire dell'espressione fredda sul viso di lei, quando si scrolla di dosso il senso del buffo provocato dal papà eterno ragazzone, chiude la storia, e la restituisce al calcolo delle sue giornate di manager.
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un padre ed una figlia quarantenne che la vita ha inesorabilmente allontanato. questa figlia vive immersa in un ruolo professionale cinico e pervasivo, questo padre, scherzomane impenitente, irrompe nelle giornate di lei, a prima vista come un cialtrone, con le sue "ragazzate" grossolane, la sconcerta, la irrita, alla fine le tocca delicatamente un involucro dimenticato, rinsecchito, di affetti, forse di ricordi, le strappa null'altro che una rincorsa e un' abbraccio (come da piccola?). il riapparire dell'espressione fredda sul viso di lei, quando si scrolla di dosso il senso del buffo provocato dal papà eterno ragazzone, chiude la storia, e la restituisce al calcolo delle sue giornate di manager. come quella pietra dura di realismo irriducibile dentro di noi vuole, dopo una sbandata. chi ha una figlia di 10 anni assapori avidamente la sua ingenuità, perché nell'attimo in cui lei sgambetta e canta non te ne accorgi, ma quando sarai stanco, pesante, quei trent'anni passati da allora e quel viso maturo di chi è altrove ti sembreranno un sortilegio.
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[+] una commedia riflessiva
(di tom87)
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(di jackbeauregard)
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no_data
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martedì 23 maggio 2017
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il pacco tedesco è "servito"
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a mio modesto modo di vedere l'idea del film era buona ma nonostante questo è stata sviluppata in maniera superficiale e mediocre. La regista ha puntato tutto sugli espedienti delle scene sessuali totalmente fuori luogo e senza nessuna "indagine sull'animo umano", se non il puro intento scandalistico e di shock, per svegliare il pubblico dal torpore. Quale indagine c'è nel rapporto padre figlia, se non una carrellata di clichè tutti puntati sul "logorio della vita moderna". La scoperta dell'acqua calda, affrontata come farebbe un elefante in una stanza di cristalli, dovrebbe essere considerata un capolavoro? E' la cifra stilistica che manca.
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a mio modesto modo di vedere l'idea del film era buona ma nonostante questo è stata sviluppata in maniera superficiale e mediocre. La regista ha puntato tutto sugli espedienti delle scene sessuali totalmente fuori luogo e senza nessuna "indagine sull'animo umano", se non il puro intento scandalistico e di shock, per svegliare il pubblico dal torpore. Quale indagine c'è nel rapporto padre figlia, se non una carrellata di clichè tutti puntati sul "logorio della vita moderna". La scoperta dell'acqua calda, affrontata come farebbe un elefante in una stanza di cristalli, dovrebbe essere considerata un capolavoro? E' la cifra stilistica che manca. Manca anche magari una sana e onesta indagine da parte di una regista palesemente aderente a clichè animalisti e femministi, che, come dimostrano i premi, piacciono tanto ai dominions europei. Pessimo e sconsigliato.
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cesare
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mercoledì 6 dicembre 2017
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capolavoro da minima moralia
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Un padre e una figlia lontani non solo per chilometri o nazioni, ma perché appartenenti a mondi diversi.
Terreno, umano, scherzoso, fantasioso, comprensivo, duttile, professore di musica (unico stereotipo) il primo; algida, mediata dal profitto, schematica, scontrosa la seconda, ragazza di successo da business school d’obbligo e consulting firm di aspirazione.
“Sei un essere umano?” chiede il padre alla figlia, lui che l’ha allevata, “Sei una bestia!” le dice il collega, lui che la conosce.
Nel mondo della figlia tutto è strumento per altro, persone comprese: “più ne licenzia lui, meno ne licenzio io”.
Per lei un uomo non è altro che l’aggiunta a un pasticcino in una scena di sesso che non ha bisogno del corpo per esserlo e ciò nonostante rivoltante.
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Un padre e una figlia lontani non solo per chilometri o nazioni, ma perché appartenenti a mondi diversi.
Terreno, umano, scherzoso, fantasioso, comprensivo, duttile, professore di musica (unico stereotipo) il primo; algida, mediata dal profitto, schematica, scontrosa la seconda, ragazza di successo da business school d’obbligo e consulting firm di aspirazione.
“Sei un essere umano?” chiede il padre alla figlia, lui che l’ha allevata, “Sei una bestia!” le dice il collega, lui che la conosce.
Nel mondo della figlia tutto è strumento per altro, persone comprese: “più ne licenzia lui, meno ne licenzio io”.
Per lei un uomo non è altro che l’aggiunta a un pasticcino in una scena di sesso che non ha bisogno del corpo per esserlo e ciò nonostante rivoltante. Scientemente rivoltante non perché conturbante o volgare: stomachevole perché toglie la persona a un individuo, riduce un uomo a meno di un corpo, il piacere a noia. Un piacere che gratifica per l’odio dell’altro. Perverso. Chiarificatore quando la figlia tra il suo essere bestia morale e il provare piacere corporale sceglie il primo: irrinunciabile, una non-scelta.
Maren Ade costruisce alla perfezione – le riunioni d’affari sono realistiche così come lo è la disumana umanità varia – e rappresenta abilmente il mondo della figlia, la certezza che eccellere coincida con il superare l’inumanità altrui.
Disumana da trascinare il padre nella bassezza del mondo degli affari pur di essere compresa, una timida ricerca di affetto. Basso non perché “business”, basso per ben altro, perché una vita onesta non è più possibile, perché viviamo in una società inumana. Il padre le offre un’occasione, la accompagna – “accompagna” non a caso – nel cantare una canzone davanti a gente semplice: rimarrà una canzone, diverrà subito una fuga, lei è ormai incapace di sopportare la sincerità, il calore, il darsi, le piccole cose, la disponibilità, la comprensione, la semplicità. Quello che fa di un essere un essere umano.
La figlia è il miglior personaggio di Adorno, è la graziosa portatrice di inumanità.
L’elemento perturbante è il padre (Peter Simonischeck è semplicemente fantastico nell’interpretazione): con i suoi travestimenti, la capacità di mettersi in gioco e lasciarsi trascinare in situazioni tragicomiche pur di redimere la figlia, farle vedere un’altra prospettiva, recuperare l’idea di una possibilità diversa, un diverso agire quotidiano.
È il confronto tra una figlia abituata a “smontare” la realtà e un padre che la costruisce, anche nella fantasia, tra una generazione che ha costruito e un’altra che sfrutta l’esistente indifferente alle conseguenze.
Chi attraverserà la porta della imprevista festa “in nudo”, metafora di “chi sarà disposto a mettersi a nudo”? Chi vorrà essere solo se stesso? Non l’amica, non il partner, non chiunque potrebbe, non chiunque ci si aspetterebbe.
Le due ore e mezza di durata – forse riducibili – non si sentono, la narrazione scorre fluida tra abili escamotage, colpi di scena e andirivieni tra drammatico e comico.
Interpretazione perfetta per i ruoli, trasparente, non artefatta. Regia semplice, nessun piano sequenza, controcampo o altre complicazioni. La macchina da presa osserva, tutto qui, in un romanzo senza antefatti, pensieri, in terza persona dove narratore e spettatore conoscono solo ciò che viene rappresentato.
Da rivedere per comprendere come sono le attuali generazioni, per capire dove ci stanno portando.
Prima fermata Bucarest, seconda Singapore, capolinea chissà.
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zoomecontrozoom
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martedì 7 marzo 2017
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non sarai certo tu o la tua grattugia
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Vi presento Toni Erdmann Regia di Maren Ade con Peter Simonischek, Sandra Hüller, Michael Wittenborn, Thomas Loibl, Trystan Pütter Germania, Austria, 2016
Se l’irritazione è quello che si prova iniziando a vedere questo film, siamo sulla buona strada per apprezzarlo, per coglierne i molteplici aspetti che rifiutiamo perché è facile supporre che decidiamo che non ci appartengono. Winfried, il protagonista, è il parente che non si vorrebbe avere, troppo fuori dagli schemi, troppo invadente, troppo candore in ogni suo intervento, per non essere giudicato uno stupido fastidioso ottuso ingombrante personaggio. Tutto intorno a lui, corrisponde a una normalità accettata e stabilita per un benessere e una felicità che non corrispondono ai suoi canoni, e questo lo si intende dalle prime inquadrature dove si ha la netta percezione della sua umanità, dei suoi valori, della sua capacità di accettarsi e di proporsi agli altri senza nulla pretendere, nemmeno che apprezzino i suoi scherzi che lui stesso peraltro, minimizza nelle finalità.
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Vi presento Toni Erdmann Regia di Maren Ade con Peter Simonischek, Sandra Hüller, Michael Wittenborn, Thomas Loibl, Trystan Pütter Germania, Austria, 2016
Se l’irritazione è quello che si prova iniziando a vedere questo film, siamo sulla buona strada per apprezzarlo, per coglierne i molteplici aspetti che rifiutiamo perché è facile supporre che decidiamo che non ci appartengono. Winfried, il protagonista, è il parente che non si vorrebbe avere, troppo fuori dagli schemi, troppo invadente, troppo candore in ogni suo intervento, per non essere giudicato uno stupido fastidioso ottuso ingombrante personaggio. Tutto intorno a lui, corrisponde a una normalità accettata e stabilita per un benessere e una felicità che non corrispondono ai suoi canoni, e questo lo si intende dalle prime inquadrature dove si ha la netta percezione della sua umanità, dei suoi valori, della sua capacità di accettarsi e di proporsi agli altri senza nulla pretendere, nemmeno che apprezzino i suoi scherzi che lui stesso peraltro, minimizza nelle finalità. La sua stessa fisicità è ingombrante e tanto più lui lo è, tanto più la figlia è esile, algida, rigida nella sua posizione sociale che faticosamente sta conquistandosi. Appena inquadrati i due personaggi e la pragmatica delle situazioni dichiaratamente ottimali per la felicità degli individui, è necessario scegliere se identificarsi nel contesto e arrabbiarsi per quello che succede con quest’uomo ingombrante tra i piedi oppure giudicare il film per la destrezza con la quale il regista riesce a trattare il tema dell’alienazione personale che è il nocciolo del problema, in un modo così semplice perché è reale anche se indigesto nella sua realtà. Si può puntualizzare che il senso del film sta nella scelta di come si può vivere la vita - soffrendola spersonalizzandosi adattarsi a situazioni o compiacendo le proprie necessità emotive con due destini completamente diversi; due paralleli, padre e figlia, che si confrontano – questo tema perno si comprende dalla mancanza iniziale delle motivazioni per cui tra padre e figlia c’è un rapporto staccato e contrastante, e nel finale che è aperto, e permette a ognuno di trarre le proprie conclusioni. A mio avviso non è una commedia, anche se è presentato come tale e alcune scene del film sono esilaranti, ma non lo sono per comicità, ma perché si coglie l’imbarazzo nell’imprevisto, l’incapacità di affrontare ciò che non rientra nei canoni conosciuti pur innocui, mentre quelli conosciuti, pur scabrosi – scena di sesso tra i due amanti - sono accettati e vissuti con nonchalance. Questo film che travalica la difficoltà di essere genitori e di accettare le scelte dei figli, un film che nella scelta di non estremizzare le situazioni, dà uno spaccato di una società che non è capace o quantomeno è poco capace, di rinunciare a spazi sociali prestigiosi per raggiungere qualche cosa che pare felicità, anche se non convincente. Una terribile frase per tutte lo definisce : “..se decido di uccidermi, non sarai certo tu o la tua grattugia a fermarmi..” pare un non senso, ma c’è tutta l’incapacità di dare ai valori più intimi il posto che a questi spetta. Bravissimi gli attori; buono il ritmo che permette di superare la lunghezza del film. Belli i personaggi di contorno che definiscono le situazioni con il realismo necessario. Se ci si chiede se tutto questo potrebbe succedere, la risposta è sì. Con un po’ di coraggio.
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lunedì 13 marzo 2017
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la candida follia contro la triste follia di chi non sa vivere
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Per tutto il tempo del film ho pensato come sarebbe stato perfetto Dario Fo nei panni del protagonista, al posto di un impacciato Peter Simonischek. Perché la cifra di questo film è quella che il nostro Fo esprimeva al suo meglio con straordinaria leggerezza (nel senso calviniano della parola): il valore liberatorio di una tenera follia di fronte all’alienazione, alla disumanità, all’incapacità di vivere e godere che gli uomini riescono ad infliggersi con grande successo. Nel caso del film i due poli opposti sono espressi da Ines, una figlia carrierista rampante nei meccanismi tritura-persone dell’economia globale e da un padre tutt’altro che ambizioso maestro di musica. Lei è una giovane donna di successo in servizio 24 ore su 24, attaccata allo smartphone, al problem solving, alla caccia perenne dell’obiettivo a denti stretti, sadica con i deboli e masochista con i potenti, senza vita privata e indifferente al suo prossimo, in definitiva super-stressata e profondamente infelice; lui vive all’opposto una vita tranquilla, senza storia ma non senza emozioni e affetti , con una particolarità che fa anche di lui una persona un po’ particolare: una corda pazza e clownesca che esplode in frequenti scherzi, travestimenti, battute, la forza della fantasia allegra contro la negatività.
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Per tutto il tempo del film ho pensato come sarebbe stato perfetto Dario Fo nei panni del protagonista, al posto di un impacciato Peter Simonischek. Perché la cifra di questo film è quella che il nostro Fo esprimeva al suo meglio con straordinaria leggerezza (nel senso calviniano della parola): il valore liberatorio di una tenera follia di fronte all’alienazione, alla disumanità, all’incapacità di vivere e godere che gli uomini riescono ad infliggersi con grande successo. Nel caso del film i due poli opposti sono espressi da Ines, una figlia carrierista rampante nei meccanismi tritura-persone dell’economia globale e da un padre tutt’altro che ambizioso maestro di musica. Lei è una giovane donna di successo in servizio 24 ore su 24, attaccata allo smartphone, al problem solving, alla caccia perenne dell’obiettivo a denti stretti, sadica con i deboli e masochista con i potenti, senza vita privata e indifferente al suo prossimo, in definitiva super-stressata e profondamente infelice; lui vive all’opposto una vita tranquilla, senza storia ma non senza emozioni e affetti , con una particolarità che fa anche di lui una persona un po’ particolare: una corda pazza e clownesca che esplode in frequenti scherzi, travestimenti, battute, la forza della fantasia allegra contro la negatività. Uno dei suoi dispiaceri è non vedere mai la figlia lontana e sempre occupata. Sospettando che non tutto vada così bene come sembra, la raggiunge in Bulgaria dove lei lavora. Qui si rende conto appieno della vita assurda e dell’infelicità di Ines e decide, di fronte alla totale impossibilità di stabilire un dialogo, di provare se anche con lei potrà funzionare la corda pazza, questa volta come pietra di paragone della follia che lei stessa sta inconsapevolmente vivendo. Ci riuscirà? Sì, no; forse sì, ma non del tutto. L’idea è buona e genera tensione narrativa; la recitazione di Sandra Hueller è ottima; si apprezza la capacità della regista di mescolare serio e comico, inserendo felicemente il detonatore della vitalità fanciullesca e disordinata del clown nel mondo iperattivo, ma freddo e tagliente in cui Ines vive; è gestito molto bene il rapporto psicologico padre-figlia, non così manicheo come si potrebbe pensare, ma ricco, nonostante la trama paradossale, di umanissime ambiguità e sfumature. E c’è verità nei cenni rapidi, ma non banali, all’impatto del neocapitalismo globale sulla realtà economica dei paesi al margine della UE. Ma il film non è privo di difetti. Intanto è eccessivamente lungo. Come conseguenza diretta, l’ “elogio della follia” perde alla lunga l’effetto sorpresa e leggerezza e diventa trama arzigogolata e implausibile anche sul piano puramente inventivo. Di alcuni episodi, ad es. la visita in casa di una tizia qualsiasi incontrata in un ricevimento, con annessa canzoncina moralistica a voce spiegata, si farebbe a meno senza rimpianti. Infine non condivido affatto gli entusiasmi per la recitazione dell’attore protagonista.
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fabiofeli
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domenica 12 marzo 2017
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"la prima volta che sei andata in bicicletta ..."
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Winfried (Peter Simonishek) è un insegnante tedesco di musica che sta per perdere l’ultimo discepolo. “Adesso posso anche vendere il pianoforte.” dice al ragazzo. Anche il suo vecchio cane sta per lasciarlo e lui resterà solo nella modesta casa in Germania, perché è divorziato e sua figlia Ines (Sandra Hűller ) lavora in Romania per una compagnia petrolifera. Ama gli scherzi e i travestimenti. Al postino che gli recapita un pacco dice che il plico lo ha spedito il fratello che vive con lui e che si diletta di spedire pacchi-bomba. Si allontana e torna in accappatoio con una parrucca in testa fingendo di essere il fratello.
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Winfried (Peter Simonishek) è un insegnante tedesco di musica che sta per perdere l’ultimo discepolo. “Adesso posso anche vendere il pianoforte.” dice al ragazzo. Anche il suo vecchio cane sta per lasciarlo e lui resterà solo nella modesta casa in Germania, perché è divorziato e sua figlia Ines (Sandra Hűller ) lavora in Romania per una compagnia petrolifera. Ama gli scherzi e i travestimenti. Al postino che gli recapita un pacco dice che il plico lo ha spedito il fratello che vive con lui e che si diletta di spedire pacchi-bomba. Si allontana e torna in accappatoio con una parrucca in testa fingendo di essere il fratello. La burla innocua svela subito il carattere del protagonista. Già progetta di piombare a casa di sua figlia con la quale ha un “debito”: non le ha fatto il regalo di compleanno, perché ha dimenticato la data. Ines è una bellezza algida, una donna in carriera impegnata nello spolpamento di una compagnia petrolifera rumena riducendo al lumicino i costi per acquisirla senza badare alla falcidia dei posti di lavoro. Il regalo di compleanno di Winfried - una grattugia per formaggio; oh, sì: un oggetto di design, ma pur sempre e solo una grattugia - è solo un pretesto; in effetti vuole entrare nella vita della figlia per conoscerla meglio e stabilire una comunicazione che si è interrotta. Winfried segue Ines nel suo ambiente di lavoro; utilizza la parrucca riccioluta e una dentiera posticcia che gli dà un’aria vagamente idiota, inventandosi un nome, Toni Erdmann, e un’ipotetica professione, quella di mental coach; si millanta amico di Ion Tiriac, a suo tempo mitico tennista rumeno, o ambasciatore tedesco a Bucarest. Ines resiste al gioco per diverso tempo con indifferenza e sufficienza, ma comincia a cedere al pressing di Winfried-Toni in una casa dove si festeggia un compleanno: accetta di cantare con inatteso trasporto un brano di Whitney Huston accompagnata dal padre alla tastiera. E’ chiaro che comincia a entrare in sintonia con l’invadente padre: certi momenti della vita sono importanti e vanno conservati gelosamente, perché l’esistenza ha valore solo perché è fatta di questi ricordi …
Due attori abili, diretti con uguale perizia, costruiscono una storia apparentemente strampalata e sconclusionata con molti momenti di malinconico e surreale divertimento; solo di sbieco si prendono di mira gli effetti mortiferi della globalizzazione e del saccheggio di risorse dei paesi “poveri” da parte delle ricche e sempre più indisturbate multinazionali. Attraverso lo spiazzamento dello scherzo e della finzione l’accento si sposta su tutto quello per cui vale la pena di vivere e amare: il possesso di status symbol, in fondo, non è altro che spazzatura di fronte a un ricordo significativo. E la prima volta di Ines su una bicicletta sotto lo sguardo amorevole del padre è come Rosebud, la slitta di Citizen Kane, il bambino diventato magnate ma pur sempre bambino nell’incantato ricordo infantile, impersonato dal genio cinematografico di Orson Welles in Quarto potere. Un film che fa riflettere è sempre da non mancare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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sergiolino63
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domenica 12 marzo 2017
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interessante, ma ritmo troppo blando
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E' la storia di un padre colto ma buontempone che cerca di far comprendere alla propria figlia 40 enne in carriera l'importanza di non prendersi troppo sul serio....e il tentativo riuscirà! Film interesante, a tratti surreale, a tratti di una comocità esilarante, talvolta toccante. Però il ritmo è esageratamente blando e la durata eccessivamente lunga.... altrimenti le stelle sarebbero state 4 e non 3!!!
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zarar
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lunedì 13 marzo 2017
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candida follia per riscoprire il senso della vita
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Per tutto il tempo del film ho pensato come sarebbe stato perfetto Dario Fo nei panni del protagonista, al posto di un impacciato Peter Simonischek. Perché la cifra di questo film è quella che il nostro Fo esprimeva al suo meglio con straordinaria leggerezza (nel senso calviniano della parola): il valore liberatorio di una tenera follia di fronte all’alienazione, alla disumanità, all’incapacità di vivere e godere che gli uomini riescono ad infliggersi con grande successo. Nel caso del film i due poli opposti sono espressi da Ines, una figlia carrierista rampante nei meccanismi tritura-persone dell’economia globale e da un padre tutt’altro che ambizioso maestro di musica.
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Per tutto il tempo del film ho pensato come sarebbe stato perfetto Dario Fo nei panni del protagonista, al posto di un impacciato Peter Simonischek. Perché la cifra di questo film è quella che il nostro Fo esprimeva al suo meglio con straordinaria leggerezza (nel senso calviniano della parola): il valore liberatorio di una tenera follia di fronte all’alienazione, alla disumanità, all’incapacità di vivere e godere che gli uomini riescono ad infliggersi con grande successo. Nel caso del film i due poli opposti sono espressi da Ines, una figlia carrierista rampante nei meccanismi tritura-persone dell’economia globale e da un padre tutt’altro che ambizioso maestro di musica. Lei è una giovane donna di successo in servizio 24 ore su 24, attaccata allo smartphone, al problem solving, alla caccia perenne dell’obiettivo a denti stretti, sadica con i deboli e masochista con i potenti, senza vita privata e indifferente al suo prossimo, in definitiva super-stressata e profondamente infelice; lui vive all’opposto una vita tranquilla, senza storia ma non senza emozioni e affetti , con una particolarità che fa anche di lui una persona un po’ particolare: una corda pazza e clownesca che esplode in frequenti scherzi, travestimenti, battute, la forza della fantasia allegra contro la negatività. Uno dei suoi dispiaceri è non vedere mai la figlia lontana e sempre occupata. Sospettando che non tutto vada così bene come sembra, la raggiunge in Bulgaria dove lei lavora. Qui si rende conto appieno della vita assurda e dell’infelicità di Ines e decide, di fronte alla totale impossibilità di stabilire un dialogo, di provare se anche con lei potrà funzionare la corda pazza, questa volta come pietra di paragone della follia che lei stessa sta inconsapevolmente vivendo. Ci riuscirà? Sì, no; forse sì, ma non del tutto. L’idea è buona e genera tensione narrativa; la recitazione di Sandra Hueller è ottima; si apprezza la capacità della regista di mescolare serio e comico, inserendo felicemente il detonatore della vitalità fanciullesca e disordinata del clown nel mondo iperattivo, ma freddo e tagliente in cui Ines vive; è gestito molto bene il rapporto psicologico padre-figlia, non così manicheo come si potrebbe pensare, ma ricco, nonostante la trama paradossale, di umanissime ambiguità e sfumature. E c’è verità nei cenni rapidi, ma non banali, all’impatto del neocapitalismo globale sulla realtà economica dei paesi al margine della UE. Ma il film non è privo di difetti. Intanto è eccessivamente lungo. Come conseguenza diretta, l’ “elogio della follia” perde alla lunga l’effetto sorpresa e leggerezza e diventa trama arzigogolata e implausibile anche sul piano puramente inventivo. Di alcuni episodi, ad es. la visita in casa di una tizia qualsiasi incontrata in un ricevimento, con annessa canzoncina moralistica a voce spiegata, si farebbe a meno senza rimpianti. Infine non condivido affatto gli entusiasmi per la recitazione dell’attore protagonista.
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zoomecontrozoom
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martedì 7 marzo 2017
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non sarai certo tu o la tua grattugia a fermarmi
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Se l’irritazione è quello che si prova iniziando a vedere questo film, siamo sulla buona strada per apprezzarlo, per coglierne i molteplici aspetti che rifiutiamo perché è facile supporre che decidiamo che non ci appartengono.
Winfried, il protagonista, è il parente che non si vorrebbe avere, troppo fuori dagli schemi, troppo invadente, troppo candore in ogni suo intervento, per non essere giudicato uno stupido fastidioso ottuso ingombrante personaggio.
Tutto intorno a lui, corrisponde a una normalità accettata e stabilita per un benessere e una felicità che non corrispondono ai suoi canoni, e questo lo si intende dalle prime inquadrature dove si ha la netta percezione della sua umanità, dei suoi valori, della sua capacità di accettarsi e di proporsi agli altri senza nulla pretendere, nemmeno che apprezzino i suoi scherzi che lui stesso peraltro, minimizza nelle finalità.
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Se l’irritazione è quello che si prova iniziando a vedere questo film, siamo sulla buona strada per apprezzarlo, per coglierne i molteplici aspetti che rifiutiamo perché è facile supporre che decidiamo che non ci appartengono.
Winfried, il protagonista, è il parente che non si vorrebbe avere, troppo fuori dagli schemi, troppo invadente, troppo candore in ogni suo intervento, per non essere giudicato uno stupido fastidioso ottuso ingombrante personaggio.
Tutto intorno a lui, corrisponde a una normalità accettata e stabilita per un benessere e una felicità che non corrispondono ai suoi canoni, e questo lo si intende dalle prime inquadrature dove si ha la netta percezione della sua umanità, dei suoi valori, della sua capacità di accettarsi e di proporsi agli altri senza nulla pretendere, nemmeno che apprezzino i suoi scherzi che lui stesso peraltro, minimizza nelle finalità.
La sua stessa fisicità è ingombrante e tanto più lui lo è, tanto più la figlia è esile, algida, rigida nella sua posizione sociale che faticosamente sta conquistandosi.
Appena inquadrati i due personaggi e la pragmatica delle situazioni dichiaratamente ottimali per la felicità degli individui, è necessario scegliere se identificarsi nel contesto e arrabbiarsi per quello che succede con quest’uomo ingombrante tra i piedi oppure giudicare il film per la destrezza con la quale il regista riesce a trattare il tema dell’alienazione personale che è il nocciolo del problema, in un modo così semplice perché è reale anche se indigesto nella sua realtà.
Si può puntualizzare che il senso del film sta nella scelta di come si può vivere la vita - soffrendola spersonalizzandosi adattarsi a situazioni o compiacendo le proprie necessità emotive con due destini completamente diversi; due paralleli, padre e figlia, che si confrontano – questo tema perno si comprende dalla mancanza iniziale delle motivazioni per cui tra padre e figlia c’è un rapporto staccato e contrastante, e nel finale che è aperto, e permette a ognuno di trarre le proprie conclusioni.
A mio avviso non è una commedia, anche se è presentato come tale e alcune scene del film sono esilaranti, ma non lo sono per comicità, ma perché si coglie l’imbarazzo nell’imprevisto, l’incapacità di affrontare ciò che non rientra nei canoni conosciuti pur innocui, mentre quelli conosciuti, pur scabrosi – scena di sesso tra i due amanti - sono accettati e vissuti con nonchalance.
Questo film che travalica la difficoltà di essere genitori e di accettare le scelte dei figli, un film che nella scelta di non estremizzare le situazioni, dà uno spaccato di una società che non è capace o quantomeno è poco capace, di rinunciare a spazi sociali prestigiosi per raggiungere qualche cosa che pare felicità, anche se non convincente.
Una terribile frase per tutte lo definisce : “..se decido di uccidermi, non sarai certo tu o la tua grattugia a fermarmi..” pare un non senso, ma c’è tutta l’incapacità di dare ai valori più intimi il posto che a questi spetta. Bravissimi gli attori; buono il ritmo che permette di superare la lunghezza del film. Belli i personaggi di contorno che definiscono le situazioni con il realismo necessario. Se ci si chiede se tutto questo potrebbe succedere, la risposta è sì. Con un po’ di coraggio.
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angelo umana
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lunedì 6 marzo 2017
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fermare i momenti
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Sei un essere umano? Questa è la domanda più spiazzante che papà “Toni” (Peter Simonischeck) fa alla figlia Ines (Sandra Hueller). In tarda età gli è venuta voglia di starle vicino, di indagare su come realmente viva, e piomba nella sua vita all’estero, Bucarest, dove da tempo vive e lavora per una multinazionale tedesca. La sua venuta è molto inopportuna: una donna single e in carriera come Ines ha tanti obblighi sociali da rispettare, compiti che le derivano dal ruolo professionale. Questi papà!, che per solitudine o per affetto mettono il naso negli affari dei figli già grandi, sebbene con le migliori intenzioni: così avvenne nei due Stanno tutti bene, l’uno con Marcello Mastroianni nel ’90 e l’altro con Robert De Niro nel 2009.
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Sei un essere umano? Questa è la domanda più spiazzante che papà “Toni” (Peter Simonischeck) fa alla figlia Ines (Sandra Hueller). In tarda età gli è venuta voglia di starle vicino, di indagare su come realmente viva, e piomba nella sua vita all’estero, Bucarest, dove da tempo vive e lavora per una multinazionale tedesca. La sua venuta è molto inopportuna: una donna single e in carriera come Ines ha tanti obblighi sociali da rispettare, compiti che le derivano dal ruolo professionale. Questi papà!, che per solitudine o per affetto mettono il naso negli affari dei figli già grandi, sebbene con le migliori intenzioni: così avvenne nei due Stanno tutti bene, l’uno con Marcello Mastroianni nel ’90 e l’altro con Robert De Niro nel 2009.
Questo però è un film particolare, molto interessante, era il più papabile per l’Oscar 2017 al miglior film straniero, ma la scelta è caduta su Il Cliente di Farhadi per motivi extracinematografici. Rimanda, oltreché all’interessamento paterno per la vita della figlia, alla vacuità delle grandi strategie e riunioni aziendali e alla freddezza nei rapporti di lavoro delle progredite e profittevoli società del mondo “sviluppato”. Questa Ines non ha granché oltre quel lavoro, non una vita affettiva, sa forse gestirsi negli avanzamenti di carriera e nella “politica” delle relazioni professionali, ha pure del sesso ma è fatto di sola carne, è soprannominata “belva” nell’ambito lavorativo ma appare indifesa, triste e non pienamente appagata: lo sguardo che la riprende è manifestamente femminile, Maren Ade è la regista-produttrice-sceneggiatrice. Lo smartphone di Ines è ciò che la tiene perennemente in azienda, a volte davvero un rifugio per non comunicare con la gente intorno (come comunemente avviene nei nostri luoghi pubblici). Quando papà le chiede intimamente se si diverte, ella sembra non voler capire, vuole parlare di cose concrete.
Come nelle belle favole però questo anziano gigioneggia in quell’ambiente dove sembra caduto come un orso in città (e da orso si travestirà davvero), fa scherzi, prende in giro coloro che gli capitano a tiro, anche del lavoro della figlia ed infine la riconquista, e la protegge. Oltre a ciò, col suo fare mai serioso, provoca una”deregulation” nella figlia stessa, forse una riflessione su per cosa si viva. Spuntiamo una lista di cose da fare ma intanto la vita scorre via, le dice e lo dice a sé stesso, e Come fai a fermare un momento, le cose le capisci soltanto dopo. Ines canterà stupendamente una canzone di Whitney Houston in casa di rumeni dove sono stati invitati e papà suonerà alla pianola: forse quella irruzione nella vita della figlia li ha riportati ad anni indietro, a una passione che Ines non ha coltivato.
Due piccolissime pecche del film, altrimenti ottimo, potrebbero essere la lunga durata, solo 18’ sotto le tre ore, un po’ di minuti in meno avrebbero contenuto tutto, e la vaghezza nella descrizione delle questioni societarie, che comunque erano poco rilevanti.
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