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mattopolis
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martedì 27 dicembre 2016
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il migliore del 2016
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Per tutti gli amanti della musica, ma non solo...film divertente fresco con amvientazione simile a Billy Elliott e una colonna sonora davvero unica! I Brani scritti appositamente per il film sono davvero azzeccati e gli attori naturali e credibili...Consigliato sia a snob intellettuali sia a spettatori meno ricercati perché è un film di nicchia ma xhe scorre e commuove come solo poche commedie sanno fare!
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pier delmonte
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mercoledì 14 dicembre 2016
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una meravigliosa band
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Film adolescenziale ma non certo in stile Moccia, qua c’e’ poesia e il giusto dosaggio di romanticismo. I protagonisti sono splendidi, da cartolina, e quasi e giustamente non ti accorgi, in quanto la musica ti distrae amorevolmente, di certi temi trattati, vedi la cattolicissima Dublino, il bullismo, discordie coniugali. Questo film e’ un inno alla genuinita’ creativa. Alla faccia degli youtuber dei giorni nostri.
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domenico astuti
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venerdì 9 dicembre 2016
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anche negli anni ottanta si sognava
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La patria di Bono, di Bob Geldof e della O’Connor deve avere nella musica una via di fuga da una realtà in parte marginale, in parte claustrofobica, ma soprattutto fatta di grande povertà. Ce l’ha descritta con affetto e con stile naif il grande e un po’ sottovalutato Alan Parker col bel film The Commitments: forse ricordate la famosa frase nel film, Gli Irlandesi sono i più negri d’Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: Sono un negro e me ne vanto ! Il regista Carney ( Once, Tutto può cambiare ) fa un film sulla falsa riga, con la stessa immediatezza e semplicità, ma senza però alcun reale spaccato della società irlandese degli Anni Ottanta, e senza avere l’abilità registica di un Parker, tuttavia ci regala un’altra sua buona commedia di ambientazione musicale; si vede che il suo passato di bassista del gruppo musicale The Frames, agli inizi degli Anni Novanta, non è stato solo un momento.
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La patria di Bono, di Bob Geldof e della O’Connor deve avere nella musica una via di fuga da una realtà in parte marginale, in parte claustrofobica, ma soprattutto fatta di grande povertà. Ce l’ha descritta con affetto e con stile naif il grande e un po’ sottovalutato Alan Parker col bel film The Commitments: forse ricordate la famosa frase nel film, Gli Irlandesi sono i più negri d’Europa, i Dublinesi sono i più negri di Irlanda e noi di periferia siamo i più negri di Dublino, quindi ripetete con me ad alta voce: Sono un negro e me ne vanto ! Il regista Carney ( Once, Tutto può cambiare ) fa un film sulla falsa riga, con la stessa immediatezza e semplicità, ma senza però alcun reale spaccato della società irlandese degli Anni Ottanta, e senza avere l’abilità registica di un Parker, tuttavia ci regala un’altra sua buona commedia di ambientazione musicale; si vede che il suo passato di bassista del gruppo musicale The Frames, agli inizi degli Anni Novanta, non è stato solo un momento. Oggi realizza questo piccolo film per adulti e ragazzi, delicato, minimalista e quasi divertente, nonostante la storia in fondo racconti la drammatica vita di un quindicenne proletario irlandese costretto a frequentare una delle scuole più disgregate di Dublino, con due genitori che si stanno per separare e un fratello maggiore in gamba ma che non ha il coraggio di iniziare una sua vita restando schiacciato in un ambiente asfittico. Una storia di un’educazione sentimentale difficoltosa in un’Irlanda in piena crisi economica, ma realizzata senza scene drammatiche e raccontata con un tono leggero, quasi adolescenziale; in cui il sogno, anche un po’ scombiccherato e ingenuo, per la musica e per una bella ragazza di un anno più grande di lui, permette a Conor di prendere il volo e rincorrere i suoi desideri chissà se poi realizzabili. Ma ciò che rende questa pellicola un piccolo prezioso film è l’ambientazione fedele di quegli Anni Ottanta, quasi un full immersion in quegli anni e una colonna sonora efficace che passa dai Duran Duran agli A-Ha, dai Cure agli Spandau Ballet.
Siamo nella periferia di Dublino nella metà degli Anni Ottanta, Conor ( il bravo diciassettenne Ferdia Walsh-Peelo, già musicista ) è un quindicenne che vive con i genitori sempre pronti a litigare e sul punto di separarsi, ha un fratello maggiore dalla buona cultura musicale ma che ha abbandonato ben presto la sua passione per la chitarra e una sorella succube dell’ambiente familiare che cerca di studiare e diventare forse un’architetta. Per ristrettezze economiche familiari, Conor è costretto a cambiare scuola e finisce in periferia a scontrarsi con bulletti malinconici e con un preside prete ancora più bullo. Unico suo sfogo, a una vita misera, è scrivere testi di canzoni ma non ha reali speranze o ambizioni. Trova una via di fuga da quella periferia del mondo quando conosce Raphina ( la statunitense Lucy Boynton ), una bellissima ragazza orfana che vive in una specie di casa famiglia e col sogno di andare a fare la modella a Londra. Per conoscerla Conor si inventa che è il front-man di un gruppo musicale e che deve preparare un video. Lei accetta di parteciparvi e allora Conor deve in tutta fretta formare un gruppo musicale, contatta dei ragazzini che solo all’apparenza sono del tutto improbabili e senza alcun carisma, e per fortuna tra loro c’è Eamon, che sa suonare vari strumenti e che ne possiede alcuni che appartengono al padre, un musicista di matrimoni che adesso si sta disintossicando dall’alcol. A una vita mesta Conor trova nella musica un naturale sfogo creativo ed esistenziale, rafforzato dall’affetto e lo sprone del fratello maggiore e dall’amore che prova per Raphina, che nel frattempo è scaricata dal ragazzo che le prometteva di portarla a Londra. Conor trova il coraggio che non sapeva di possedere, prende la barchetta del nonno abbandonata al porto, fa salire la ragazza e parte con lei verso l’Inghilterra e verso un sogno fatto di musica, amore e voglia di vivere.
Anche il regista John Carney è di Dublino, anche lui suonava la chitarra acustica così come simile era la sua passione per la musica. Quindi tutto ciò che è raccontato non nasce dalla fantasia e dalla creatività ma da un suo vissuto, per questo il racconto ha un equilibrio, una leggerezza, una profondità che non si trova spesso nel panorama contemporaneo del cinema. Rielaborando il proprio back ground degli Anni Ottanta e rifacendosi alla tradizione anglosassone del romanzo di formazione collegata alla musica, Carney riesce a realizzare un piccolo film divertente e lieve, ricco di trovate musicali e narrative che rendono credibile una band di ragazzini scalcagnati come ce ne devono essere state tante all’epoca.
Un cast di attori non professionisti ma tutti credibili per naturalezza e lievita, una regia semplice e sicura, una colonna sonora da premio, sta tutta qui la storia. Il film è passato al Sundance Film Festival e al Festival di Roma.
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falcobo
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mercoledì 30 novembre 2016
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riappacificarsi con la musica (uscire più leggeri)
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Eccomi qui, a metà vita (ed oltre) , ad ascoltare musica jazz con un occhio malevolo verso i vecchi amanti delle musica anni 80, quelli che vanno a vedere antiquate band che si ripresentano al pubblico proponendo vecchi testi e consumate canzoni.
E dir che anch’io ho attraversato i Deep Purple, i Led Zeppelin, i Police, i primi video clip.
Poi vado a vedere “Sing Street” e mi par di aver sprecato la vita, di non aver capito il profondo messaggio.
Musica, intesa come espressione del proprio sentire, di denuncia, con un tocco di ironia, piena di stupende immagini.
Musica che canta l’amore, la vita. Che avvicina. Che pacifica..
Un piccolo (grande) film, per ritrovare la musica, quella vera e autentica o, come diceva Edoardo Bennato, che riempie di “sensazioni dolci fatte di parole, baci, fatte di suoni”
Ma non solo.
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Eccomi qui, a metà vita (ed oltre) , ad ascoltare musica jazz con un occhio malevolo verso i vecchi amanti delle musica anni 80, quelli che vanno a vedere antiquate band che si ripresentano al pubblico proponendo vecchi testi e consumate canzoni.
E dir che anch’io ho attraversato i Deep Purple, i Led Zeppelin, i Police, i primi video clip.
Poi vado a vedere “Sing Street” e mi par di aver sprecato la vita, di non aver capito il profondo messaggio.
Musica, intesa come espressione del proprio sentire, di denuncia, con un tocco di ironia, piena di stupende immagini.
Musica che canta l’amore, la vita. Che avvicina. Che pacifica..
Un piccolo (grande) film, per ritrovare la musica, quella vera e autentica o, come diceva Edoardo Bennato, che riempie di “sensazioni dolci fatte di parole, baci, fatte di suoni”
Ma non solo.
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maurizio meres
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domenica 27 novembre 2016
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bello,bello,bello
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Questo film per i spettatori in avanzato stato di età ,ma non troppo,è un ritorno alle origini,tra sogni e amori di quello che sicuramente sono stati gli anni ottanta influenzati moltissimo dai favolosi anni settanta.
Ambientato nella bellissima Dublino,peccato che si vede poco,dove giovani sognatori trasformano in realtà un loro ideale,creare un gruppo musicale,in un ambiente scolastico dove un bullismo pesante e anche violento,ma mai come lo è ora,penalizzando ogni forma di creatività,con la complicità di una gestione scolastica totalmente passiva,nei confronti delle problematiche di una gioventù sbandata.
Conor il leader del gruppo,cantautore nato,dotato nel scrivere i testi e con una voce adolescenziale bellissima,crea tutto questo per l'amore che prova per una ragazza incontrata per caso,Raphina,bella e dolce anch'essa attratta da l'idea di sognare e di evadere,la situazione famigliare di tutti i ragazzi è disastrosa,la musica diventa l'unica alternativa ,dall'esperienza di queste situazioni si diventa grandi prima del tempo e avere un ideale di vita diventa importantissimo,qualunque esso sia.
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Questo film per i spettatori in avanzato stato di età ,ma non troppo,è un ritorno alle origini,tra sogni e amori di quello che sicuramente sono stati gli anni ottanta influenzati moltissimo dai favolosi anni settanta.
Ambientato nella bellissima Dublino,peccato che si vede poco,dove giovani sognatori trasformano in realtà un loro ideale,creare un gruppo musicale,in un ambiente scolastico dove un bullismo pesante e anche violento,ma mai come lo è ora,penalizzando ogni forma di creatività,con la complicità di una gestione scolastica totalmente passiva,nei confronti delle problematiche di una gioventù sbandata.
Conor il leader del gruppo,cantautore nato,dotato nel scrivere i testi e con una voce adolescenziale bellissima,crea tutto questo per l'amore che prova per una ragazza incontrata per caso,Raphina,bella e dolce anch'essa attratta da l'idea di sognare e di evadere,la situazione famigliare di tutti i ragazzi è disastrosa,la musica diventa l'unica alternativa ,dall'esperienza di queste situazioni si diventa grandi prima del tempo e avere un ideale di vita diventa importantissimo,qualunque esso sia.
Il regista con pochissimi film all'attivo ma alcuni già significativi,riesce in questo film nell'intento secondo me ,di far entrare tutti noi spettatori di qualsiasi età in un sogno,che sicuramente nella nostra adolescenza abbiamo vissuto.
Attori tutti bravissimi entrati perfettamente nella parte,in particolare ritengo bellissima la figura del fratello di Conor,nostalgico del decennio precedente,preparato musicalmente,con una filosofia di vita tutta sua,da consigli diventa entusiasta del fratello per ciò che fa e lui che gli dà un impronta musicale,entra nei pensieri del fratello,spronandolo e aiutandolo nelle scelte.
Musiche bellissime,coinvolgenti per lo spettatore.
Finale bellissimo diventa un trionfo di amore e libertà.
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maumauroma
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sabato 26 novembre 2016
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sing street
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Sing Street e' un bel film, pieno di ideali e di speranze, pervaso da puri sentimenti giovanili, poetico ed emotivamente molto coinvolgente. Nella cattolicissima e puritana Dublino degli anni 80 ecco la storia del timido e sensibile quindicenne Conor,il quale, alle prese con una famiglia in frantumi, con un fratellone maggiore sempre chiuso in casa, ma sempre assiduo dispensatore di consigli di vita, pur vessato in continuazione da compagni bulletti di un college gestito da religiosi maneschi, riesce comunque in maniera quasi miracolosa a dare un senso alla propria esistenza, creando con alcuni compagni di scuola una band,e componendo belle canzoni con testi magnifici, ispirati soprattutto dall'amore che prova verso Raphina, una giovane aspirante modella piu' grande di lui, un po' svitata ma simpatica, irresistibile e inconsciamente ispiratrice di idee.
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Sing Street e' un bel film, pieno di ideali e di speranze, pervaso da puri sentimenti giovanili, poetico ed emotivamente molto coinvolgente. Nella cattolicissima e puritana Dublino degli anni 80 ecco la storia del timido e sensibile quindicenne Conor,il quale, alle prese con una famiglia in frantumi, con un fratellone maggiore sempre chiuso in casa, ma sempre assiduo dispensatore di consigli di vita, pur vessato in continuazione da compagni bulletti di un college gestito da religiosi maneschi, riesce comunque in maniera quasi miracolosa a dare un senso alla propria esistenza, creando con alcuni compagni di scuola una band,e componendo belle canzoni con testi magnifici, ispirati soprattutto dall'amore che prova verso Raphina, una giovane aspirante modella piu' grande di lui, un po' svitata ma simpatica, irresistibile e inconsciamente ispiratrice di idee. Opera, quella di john Carney, evidentemente prodotta con mezzi modesti, utilizzando quasi tutti attori non professionisti, eppure intrigante come poche viste negli ultimi tempi, con una regia semplice ma sempre appassionata. Molto bello il finale del film con i volti di Conor e Raphina, che, racchiusi nella loro piccola barchetta che dovrebbe portarli a Londra, bagnati dagli spruzzi delle onde del mare, rappresentano bene il loro anelito verso una nuova vita e una nuova liberta'
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riccardo tavani
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venerdì 25 novembre 2016
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quel ragazzo in noi con mare e musica in faccia
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Che ci fa un adolescente dublinese di metà anni ’80 sugli schermi cinematografici di un nuovo millennio, il quale si presenta con paesaggi e scenari completamente diversi da quelli dell’epoca narrata? Per quanto assurdo possa sembrare ci sta parlando proprio del nostro presente, se non addirittura del nostro futuro. E ne sta parlando a tutti: ragazzini, adolescenti, giovani, adulti e anziani. Ossia a quel ragazzino che crescendo continuiamo a portarci dentro e addosso.
Si chiama Conor ma il fratello maggiore Brendan lo chiama Cosmo. Il Cosmo è illimitato, infinito. È uno spazio-tempo sempre incommensurabilmente aperto davanti a noi.
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Che ci fa un adolescente dublinese di metà anni ’80 sugli schermi cinematografici di un nuovo millennio, il quale si presenta con paesaggi e scenari completamente diversi da quelli dell’epoca narrata? Per quanto assurdo possa sembrare ci sta parlando proprio del nostro presente, se non addirittura del nostro futuro. E ne sta parlando a tutti: ragazzini, adolescenti, giovani, adulti e anziani. Ossia a quel ragazzino che crescendo continuiamo a portarci dentro e addosso.
Si chiama Conor ma il fratello maggiore Brendan lo chiama Cosmo. Il Cosmo è illimitato, infinito. È uno spazio-tempo sempre incommensurabilmente aperto davanti a noi. Noi siamo sempre inesorabilmente fuori misura per difetto rispetto a esso. Più noi procediamo nel mondo, nel cosmo, più esso ci si apre davanti, ponendoci nuove situazioni, problemi, drammi, angosce, dilemmi. L’incertezza, l’instabilità domina così la nostra esistenza.
È quello che accade a Conor. Una mattina si sveglia e tutto cambia per lui. La madre e il padre, convocano attorno al tavolo della cucina lui, sua sorella Ann e il fratello Brendan. Non solo sono in procinto di separarsi, ma il padre è disoccupato e senza ormai più reddito e risparmi. La casa deve essere messa in vendita, i figli spartiti tra i genitori e Conor lasciare il suo liceo, perché troppo costoso. Per lui è già stata decisa l’iscrizione a quello dei Fratelli Cristiani, in Singe Street, nel quale più che i libri dominano i cazzotti: di studenti e prof. Cosmo come Caos, nel quale Conor capitombola all’improvviso.
Esiste in biologia un termine – poi adottato anche da antropologia e filosofia – che indica questa congenita condizione umana. Il termine è neotenia, ossia il permanere in alcune specie animali di organi che non arrivano mai a una piena, completa evoluzione, maturazione. Rimangono per tutta la vita abbastanza simili alla condizione neonatale. L’uomo è una di queste specie neoteniche. Conserva organi, tratti e aspetti più vicini alla sua condizione di nascita rispetto ad altri animali. A differenza degli animali, che vivono in una loro nicchia ecologica chiusa e alla quale reagiscono sulla scorta di una precisa dotazione d’istinti, l’uomo si trova in una situazione di permanente infanzia, ossia di imperizia, inadeguatezza di fronte alla continua, imprevedibile apertura del mondo.
Conor può contare però su due discrete risorse le quali, se non gli risolvono tutti i problemi, certamente lo aiutano a non smarrirsi completamente nel magmatico Cosmo-Caos. Sono l’amara, disincantata saggezza di suo fratello Brendan e un drive tutto interiore che è il dare forma di parole, testi di canzoni, accordi di chitarra all’informe magma della giungla sociale, familiare, scolastica ed emotiva. Le cose poi si complicano con l’apparire di Raphina, una ragazza più grande, apparentemente più scafata di lui, in realtà solo più illusa nel suo sogno di prendere il largo verso Londra. Dublino, infatti, è il Cosmo-Caos nella versione Fossa delle Marianne della depressione.
La musica costituisce per Conor non solo una guida nel mare aperto, incerto del mondo ma un elemento di vera metamorfosi interiore ed esteriore. Una chitarra dietro la quale rifugiarsi. Una passione per non cedere e, anzi, per andare verso il mondo spalancato a viso altrettanto aperto, con vento, mare e musica in faccia. Una passione – potrebbe essere qualunque altra – per dare una propria forma, un proprio senso all’insensatezza, alla follia umana che ci circonda.
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catcarlo
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venerdì 18 novembre 2016
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sing street
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Essendo di poco più vecchio dei protagonisti, ho vissuto appena uscito dall’adolescenza la stagione difficile piazzata nel mezzo degli anni Ottanta; in compenso, ho sempre cordialmente detestato i Duran Duran, gli Spandau Ballet e tutto il sedicente movimento ‘new romantic’. Non si tratta di un attacco di protagonismo, bensì di precisazioni necessarie a chiarire che non ho guardato ‘Sing street’ con gli occhiali rosa della nostalgia: eppure, seppur musicalmente discutibile, il nuovo lavoro di John Carney si rivela un semi-musical ben girato che non si vergogna di usare i clichè, ma anzi ne sfrutta al meglio le potenzialità, e si vale di interpreti che, pur quasi tutti alle prime armi, danno vita a una prova senza pecche che genera immediata empatia.
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Essendo di poco più vecchio dei protagonisti, ho vissuto appena uscito dall’adolescenza la stagione difficile piazzata nel mezzo degli anni Ottanta; in compenso, ho sempre cordialmente detestato i Duran Duran, gli Spandau Ballet e tutto il sedicente movimento ‘new romantic’. Non si tratta di un attacco di protagonismo, bensì di precisazioni necessarie a chiarire che non ho guardato ‘Sing street’ con gli occhiali rosa della nostalgia: eppure, seppur musicalmente discutibile, il nuovo lavoro di John Carney si rivela un semi-musical ben girato che non si vergogna di usare i clichè, ma anzi ne sfrutta al meglio le potenzialità, e si vale di interpreti che, pur quasi tutti alle prime armi, danno vita a una prova senza pecche che genera immediata empatia. Come nel precedente ‘Tutto può succedere’, il regista firma un ‘feelgood movie’ in cui la musica è uno strumento per affrontare, o quantomeno rendere sopportabile, la quotidianità: la differenza sta nel fatto che qui non ci sono attori di nome e, soprattutto, nel ritorno a casa da parte dell’autore (sue sono pure la sceneggiatura e, in collaborazione con altri, le canzoni originali) che ambienta gli avvenimenti in un quartiere residenziale di Dublino. A causa dei problemi economici dovuti all’imminente separazione dei genitori (l’istituzione familiare nella cattolicissima Irlanda ne esce malissimo in qualsiasi classe sociale), il giovane Conor, a cui presta il viso da bravo ragazzo l’esordiente Ferdia Walsh-Peelo, finisce in una scuola privata di basso e bigotto livello situata nella quasi eponima Synge street. L’ambiente fa cascare le braccia, ma le circostanze gli regalano l’incontro con Raphina, un’incantevole Lucy Boyton di cui è impossibile non innamorarsi all’istante: per avvicinarla, il giovanotto si inventa di essere in una band e perciò gli tocca metterla insieme in qualche modo. Il gruppetto è raccogliticcio, ma s’impegna e i brani che Conor scrive assieme a Eamon - Mark McKenna pare un Elvis Costello in età scolare - riescono a farsi conoscere forse perché scritti dopo i compulsivi ascolti dei dischi prestati da Brendan (Jack Reynor assai più efficace che nei panni di Malcolm in ‘Macbeth’), il fratello maggiore del protagonista che gli fa (o si atteggia) da maestro di vita e ha la migliore battuta del film: ‘nessuna ragazza può amare davvero uno che ascolta Phil Collins’. Tra alti e bassi, l’umore rimane dolceamaro – ovvero felicetriste, come da traduzione letterale, abbastanza indovinata, di happysad – ma, nello spirito della storia, lo svolgimento rotola verso l’inevitabile lieto fine con un’impennata sopra le righe tanto improbabile quanto in sintonia col tono vagamente fiabesco che pervade la vicenda. Si tratta di un percorso che implica rischi notevoli, ma Carney li evita tenendo sotto controllo un ritmo che non mostra mai momenti di stanca e utilizzando con cura gli elementi di contorno: i dosati movimenti della macchina da presa (la fotografia è di Yaron Orbach) allargano il campo dai primi piani fino a comprendere gli elementi periferici che servono a limitare i voli pindarici, come nella scena della madre di Eamon nella stanza da letto mentre i ragazzi provano oppure il ragazzo che vomita togliendo epicità alla fuga di Conor e Raphina. Sulla stessa linea, si situano i passaggi umoristici o anche solo sorridenti, come nell’estrema volubilità dei gusti musicali di Conor che si riflettono nel suo modo di vestire e atteggiarsi o nel sogno a occhi aperti di star suonando a un ballo di fine anno negli Stati Uniti, magari negli anni Cinquanta, come testimonia l’abbigliamento di Brendan nell’occasione: senza contare che non si capisce mai bene quanto Conor tenga davvero al gruppo e quanto sia solo un mezzo per giungere alla ragazza dei suoi sogni.
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flyanto
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mercoledì 16 novembre 2016
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l'importante è seguire i propri sogni
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Torna nelle sale cinematografiche, e fortunatamente di nuovo in forma smagliante dopo il mieloso flop americano di "Tutto può Cambiare", John Carney con il suo ultimo film intitolato "Sing Street". Ritornato, pertanto, per ciò che concerne la vicenda sul proprio suolo natio, l'Irlanda e, più precisamente, nella città di Dublino, il regista racconta una storia ambientata negli anni '80 in cui protagonista è un adolescente di circa 16 anni che, dal momento che i suoi genitori si stanno separando ed economicamente non navigano più in buone acque, è costretto a cambiare scuola, passando così dall'esclusiva scuola privata a quella pubblica di origine, ovviamente, profondamente cattolica. In essa sin dal primo giorno il giovane non riesce ad ambientarsi pienamente in quanto a contatto con ragazzi un poco violenti, maleducati e molto più indietro per ciò che concerne la preparazione scolastica rispetto a lui.
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Torna nelle sale cinematografiche, e fortunatamente di nuovo in forma smagliante dopo il mieloso flop americano di "Tutto può Cambiare", John Carney con il suo ultimo film intitolato "Sing Street". Ritornato, pertanto, per ciò che concerne la vicenda sul proprio suolo natio, l'Irlanda e, più precisamente, nella città di Dublino, il regista racconta una storia ambientata negli anni '80 in cui protagonista è un adolescente di circa 16 anni che, dal momento che i suoi genitori si stanno separando ed economicamente non navigano più in buone acque, è costretto a cambiare scuola, passando così dall'esclusiva scuola privata a quella pubblica di origine, ovviamente, profondamente cattolica. In essa sin dal primo giorno il giovane non riesce ad ambientarsi pienamente in quanto a contatto con ragazzi un poco violenti, maleducati e molto più indietro per ciò che concerne la preparazione scolastica rispetto a lui. Fervore ammiratore e seguace del mondo della musica e dei successi delle band contemporanee, il ragazzo decide di ribellarsi e di uscire dalla routine quotidiana formando una band musicale da strada con alcuni suoi coetanei che condividono come lui la passione per la musica. Imitando, all'inizio, un poco, sia musicalmente che nel look, le band musicali di successo del momento, dai Duran Duran agli Spandau Ballet, ai Cure, ecc..., essi piano piano iniziano, su consiglio anche del fratello maggiore del protagonista, a comporre della musica e dei testi per canzoni del tutto personali. La fonte diretta dell' ispirazione del giovane è però una ragazza un poco più grande di lui, molto bella e con l'aspirazione di trasferirsi a Londra al fine di divenire una fotomodella, di cui egli si è profondamente invaghito. Così trascorrono piano piano le giornate del gruppo che sempre di più diventa affiatato attraverso le piccole esibizioni ed i video che essi filmano (con la giovane bella, ovviamente, sempre come protagonista) per strada o nel corso dei sporadici eventi scolastici, finchè il ragazzo, sempre più determinato, non deciderà di lasciare la propria città natia e di trasferirsi a Londra insieme alla sua amata e tentare di intraprendere seriamente la carriera musicale.
Già con il suo primo e pluripremiato e toccante "Once" John Carney aveva ampiamente dimostrato le proprie qualità di regista, il suo amore sconfinato per la musica e per la sua terra (a cui però riconosce a malincuore che poco ha da offrire come futuro ai suoi connazionali costringendoli così ad emigrare nella vicina Inghilterra) ed a trattare in maniera molto delicata e sensibile i sentimenti personali attraverso l'ideazione di storie incantevoli e toccanti. Così anche in "Sing Street" si ritrovano i suddetti temi e soprattutto l'aura particolare di cui le sue pellicole sono intrise: del resto, ciò fa parte dell'anima propria di questo regista irlandese, molto dolce e malinconico allo stesso tempo, anima che, purtroppo, come ripeto, è stata notevolmente soppressa, probabilmente per esigenze della produzione statunitense, nel suo troppo edulcorato "Tutto può cambiare".
Insomma, una storia delicata, ben interpretata da giovani attori, chi più chi meno conosciuti da noi, e soprattutto ben musicata con brani scelti dell'epoca (i favolosi anni '80) e brani del tutto nuovi e molto suggestivi composti appositamente per il film.
Un vero gioiello altamente consigliabile.
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lbavassano
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domenica 13 novembre 2016
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una commedia sentimentale, non stupida però
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Una commedia sentimentale di teenagers, ma non solamente una commedia sentimentale, e, soprattutto, non una stupida commedia sentimentale. La collocazione in un luogo ed un tempo precisi, l'Irlanda degli anni ottanta, con le difficoltà economiche che drammaticamente riducono gli standard di vita, esasperano le crisi all'interno del nucleo famigliare, la disoccupazione, la necessità di emigrare, non sono il tema principale del film, ma non sono neppure uno sfondo neutro, al pari dell'oscurantismo clericale, nella scuola e nell'impossibilità legale di divorziare. E poi c'é la musica, soprattutto c'é la musica, come momento di socializzazione e protesta, di speranza, fosse pure solo quella di far colpo su una ragazza, la musica come luogo ove cercare un senso per la propria vita, per cercare di darle un senso.
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Una commedia sentimentale di teenagers, ma non solamente una commedia sentimentale, e, soprattutto, non una stupida commedia sentimentale. La collocazione in un luogo ed un tempo precisi, l'Irlanda degli anni ottanta, con le difficoltà economiche che drammaticamente riducono gli standard di vita, esasperano le crisi all'interno del nucleo famigliare, la disoccupazione, la necessità di emigrare, non sono il tema principale del film, ma non sono neppure uno sfondo neutro, al pari dell'oscurantismo clericale, nella scuola e nell'impossibilità legale di divorziare. E poi c'é la musica, soprattutto c'é la musica, come momento di socializzazione e protesta, di speranza, fosse pure solo quella di far colpo su una ragazza, la musica come luogo ove cercare un senso per la propria vita, per cercare di darle un senso. Non so se sia ancora così, per i teenagers di oggi, lo spero. E poi c'é il rapporto fra i fratelli, cui il film è giustamente dedicato, ove credo l'aspetto autobiografico emerga in primo piano.
Ben girato, nonostante un budget che non credo illimitato, tutti bravi gli interpreti. Mi ha un po' ricordato, nei momenti migliori, sia pure addolcito, lo straordinario "Billy Elliot" di Stephen Daldry, e non è poco.
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