Almodóvar ritrova la sua dimensione femminile liberandosi dei residui di 'almodovarismo' che ne fiaccavano le recenti trasformazioni. Al cinema.
di Roy Menarini
Di solito si usa a sproposito la metafora dei buchi neri, come se fossero esclusivamente luoghi di tenebra e di negatività, per esemplificare mancanze ed errori di qualche film o testo narrativo. E invece dovrebbe affascinarci e intrigarci il suo contrario, la forza attrattiva gravitazionale immensa che il buco nero sprigiona per attirare a sé tutto quanto, ingoiando la materia che gli circola intorno.
Julieta è un formidabile buco nero, un trionfo della narrazione per la narrazione, un atto di fede potente e talvolta cieco per la forza gravitazionale del racconto e dei suoi personaggi, un attrattore in cui chi guarda si perde senza possibilità di frenare la caduta dentro il vortice poetico.
Sebbene l'intero film di Almodóvar sia attraversato dalla corrente della cinefilia - e al solito si sono sprecati paragoni con il melodramma di Sirk e il thriller di Hitchcock (anche se a ben vedere questa volta il referente sembra più che altro Max Ophuls) - Julieta vuole dimostrare di non aver bisogno di niente e di nessuno, solo della sua energia affabulatoria e del suo vigore drammaturgico.
Utilizzando a suo piacimento e ricombinando con fantasia tre racconti di Alice Munro (ma inserendo nei dialoghi il nome di Patricia Highsmith, con cui la sceneggiatura è evidentemente interpolata), il regista spagnolo sembra essersi d'un colpo liberato dei residui dell' "almodovarismo" che ne fiaccavano le recenti trasformazioni, relegando gli ultimi film al limbo dei progetti geniali ma interlocutori - in particolare La pelle che abito e Gli abbracci spezzati.
Ora, senza più bisogno di trovare un equilibrio tra nuove idee e timore di perdere il suo pubblico tradizionale, con Julieta Almodóvar sembra ritrovare tutta la dimensione femminile che gli è propria e al tempo stesso scaraventare giù dalla finestra i fardelli del timbro visionario, isterico, surreale che ne corredano il brand autoriale.
Certo non si può dire che questa volta Almodóvar ci sia andato leggero con le svolte da feuilleton: tra gravidanze inattese, mogli in coma, lutti improvvisi, fughe misteriose e molto altro, siamo vicini come al solito alla soap concentrata in due ore. Ma se altre volte la dimensione patetica e melodrammatica era infine mascherata dentro congegni da women movie, che nobilitavano e occultavano questi aspetti agli occhi del pubblico più raffinato, questa volta il regista spagnolo ha deciso di non doversi giustificare in alcun modo. Il suo racconto d'appendice è dunque letterale, non una rilettura, una decostruzione o una parodia. Tutto va preso incredibilmente sul serio in Julieta. Le cose succedono e basta. Non è nel contesto di una postmodernità ironica che va collocato questa volta il suo lavoro.