valerio stig
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giovedì 7 febbraio 2019
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le cicatrici dell'anima
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Noi siamo le cicatrici che nascondiamo. Non c'è nessuno al mondo che non porti i segni, sul corpo o nell'anima, di un errore o di un dolore. La vita va avanti ma le cicatrici rimangono; servono da monito, da avvertimento. Nascoste tra le pieghe del trauma che le ha generate, alcune cicatrici continuano a crescere indisturbate, come metastasi. Il protagonista di questa storia, Bruno, non ha mai affrontato i demoni che lo tormentano, che gli corrodono il fisico, talvolta gli impediscono di respirare. Fino a quando il destino, sempre che esista, gli offre l'occasione di riscatto. La necessità di scaricare il proprio male su qualcuno o qualcosa che sia lontana da sé, il famoso capro espiatorio, è un tema universale che tuttavia, specialmente in questo film, innesca un meccanismo vizioso che non permette una definitiva catarsi.
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Noi siamo le cicatrici che nascondiamo. Non c'è nessuno al mondo che non porti i segni, sul corpo o nell'anima, di un errore o di un dolore. La vita va avanti ma le cicatrici rimangono; servono da monito, da avvertimento. Nascoste tra le pieghe del trauma che le ha generate, alcune cicatrici continuano a crescere indisturbate, come metastasi. Il protagonista di questa storia, Bruno, non ha mai affrontato i demoni che lo tormentano, che gli corrodono il fisico, talvolta gli impediscono di respirare. Fino a quando il destino, sempre che esista, gli offre l'occasione di riscatto. La necessità di scaricare il proprio male su qualcuno o qualcosa che sia lontana da sé, il famoso capro espiatorio, è un tema universale che tuttavia, specialmente in questo film, innesca un meccanismo vizioso che non permette una definitiva catarsi. Il male chiama Bruno verso di sé, continua a bruciare sotto la sua pelle sfigurata dalle ustioni, come le fiamme dell'incredibile fornace in cui l'ha incontrato la prima volta. Una volta appiccato, è molto difficile domare il fuoco, che tende a diffondersi velocemente, bruciando tutto quello che incontra, senza distinzioni. Assolutamente interessante e ricca di pathos l'idea che il regista Gianclaudio Cappai sviluppa in questo suo lungometraggio (mi sembra un'opera prima), che seppur lasciando irrisolto qualche piccolo passaggio narrativo, risulta alla fine molto convincente. La regia si muove sicura e avviluppante tra i diversi piani narrativi, sfruttando visivamente il fascino nascosto di un nord Italia rurale che di rado è stato mostrato in questo modo e con queste tonalità (brullose, decadenti, sfocate). Ottima l'interpretazione del quartetto principale, con un Riondino che gioca di sottrazione ma è capace di inaspettati scatti di violenza. Rimane un film duro e molto particolare, con un messaggio piuttosto chiaro:il male ha una forza attrattiva molto particolare, ma non è possibile danzare con le ombre... senza lasciare traccia.
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siria bergamaschi
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giovedì 3 gennaio 2019
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tensioni brucianti di un film autentico
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Approfittando di un viaggio di lavoro della compagna, Bruno (Un ottimo Michele Riondino) cerca forse per la prima volta di affrontare i presunti responsabili del male che lo sta logorando dentro e fuori; riuscirà a guarire come credeva? Recuperato in Dvd, il film di Cappai si è rivelato per me molto interessante sia per la tematica che per l'immaginario visivo trasposto in scena. Una spettrale pianura e gli antri oscuri e polverosi di una vecchia fornace fanno da sfondo a questo noir bruciante, dove in una claustrofobica atmosfera di tensione tre personaggi si respingono e si attraggono mossi più da un esasperato istinto di "sopravvivenza" che da un consapevole risvolto psicologico.
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Approfittando di un viaggio di lavoro della compagna, Bruno (Un ottimo Michele Riondino) cerca forse per la prima volta di affrontare i presunti responsabili del male che lo sta logorando dentro e fuori; riuscirà a guarire come credeva? Recuperato in Dvd, il film di Cappai si è rivelato per me molto interessante sia per la tematica che per l'immaginario visivo trasposto in scena. Una spettrale pianura e gli antri oscuri e polverosi di una vecchia fornace fanno da sfondo a questo noir bruciante, dove in una claustrofobica atmosfera di tensione tre personaggi si respingono e si attraggono mossi più da un esasperato istinto di "sopravvivenza" che da un consapevole risvolto psicologico. Tra di loro, ambiguo e implacabile, c'è un intruso che porterà a galla il retroscena del loro apparentemente casuale incontro. Come accenanvo prima, l'immaginario di questa pellicola si forgia amalgamando un livello realistico molto forte, talvolta aspro, ad un altro invece più psicologico e destabilizzante che apre derive insolite in un genere codificato quale può essere il revenge movie. Il merito maggiore di questo film rimane probabilmente la sua estraneità rispetto ad un panorama cinematografico che richiede invece di incasellare qualsiasi storia, qualsiasi personaggio. Ogni tanto si ha bisogno di universi ed emozioni meno rassicuranti, e "Senza lasciare traccia" regala con forza questo tipo di esperienza visiva.
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andreadamiani
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giovedì 1 novembre 2018
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ruvido e lento
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Più che un lungometraggio,il film di Gianclaudio Cappai sembra essere un cortometraggio allungato. La trama, molto scarna, passa in secondo piano rispetto alla volontà del regista di ricreare atmosfere ruvide, colori sgranati e personaggi segnati dalla fisicità. Il messaggio è interessante: l'idea della vendetta è più forte della vendetta stessa e può diventare una malattia che corrode l'anima e il corpo. Ben riuscito anche il contrasto fra i personaggi e gli stessi attori, molto bravi e ben guidati. Purtroppo è totalmente assente qualsiasi elemento, anche minimo, di ironia, che avrebbe arricchito il film di tensione drammatica, rendendolo un po' meno pesante.
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tristana
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mercoledì 22 marzo 2017
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tracce inconfessabili
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Un film oscuro e intenso come quando le emozioni determinano non solo il nostro andare ma anche il corpo che ci contiene. E' stato coinvolgente come svegliarsi da un sogno così verosimile da superare il reale. Certi momenti toccano l'intoccabile col coraggio e la trasperenza di un'anima complessa che non vuole fare rumore.
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artuma
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mercoledì 5 ottobre 2016
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film incandescente sulla rabbia mal repressa
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Dopo un delicato intervento chirurgico, Bruno (Michele Riondino) sta ancora combattendo con il suo male. Convalescente, decide di accompagnare la moglie Elena (Valentina Cervi), restauratrice, convocata in un borgo lontano per il recupero di un quadro antico. Lei non sa che proprio in quel luogo Bruno trascorse l'infanzia e che là accadde un evento traumatico cui lui attribuisce l'insorgenza della malattia. Non è dunque un caso se Bruno, mentre la moglie è al lavoro, si reca in una fornace ormai in disuso, rifugio estremo di un padre (Vitaliano Trevisan) e della figlia Vera (Elena Radonicich), da lui ben conosciuti nel passato.
Grazie al ricorso alla metafora – l'intruso, la traccia, il fuoco –, personaggi e situazioni sono delineati con esemplare economia di mezzi, così da far solo intuire (e non spiegare) allo spettatore il rovello interiore di Bruno, il senso di colpa di Vera, le decisioni irrisolte di Elena.
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Dopo un delicato intervento chirurgico, Bruno (Michele Riondino) sta ancora combattendo con il suo male. Convalescente, decide di accompagnare la moglie Elena (Valentina Cervi), restauratrice, convocata in un borgo lontano per il recupero di un quadro antico. Lei non sa che proprio in quel luogo Bruno trascorse l'infanzia e che là accadde un evento traumatico cui lui attribuisce l'insorgenza della malattia. Non è dunque un caso se Bruno, mentre la moglie è al lavoro, si reca in una fornace ormai in disuso, rifugio estremo di un padre (Vitaliano Trevisan) e della figlia Vera (Elena Radonicich), da lui ben conosciuti nel passato.
Grazie al ricorso alla metafora – l'intruso, la traccia, il fuoco –, personaggi e situazioni sono delineati con esemplare economia di mezzi, così da far solo intuire (e non spiegare) allo spettatore il rovello interiore di Bruno, il senso di colpa di Vera, le decisioni irrisolte di Elena. Anche l'utilizzo del flashback come tessera di mosaico lo trasforma di fatto in flashforward, fornendo cioè poco a poco la giustificazione finale di quanto sta accadendo al presente. Di notevole efficacia inoltre la funzione emblematica della fornace, insieme punto di memoria e spazio concentrazionario, vero fulcro atmosferico del film. Ci si può magari rammaricare che qualche snodo resti irrisolto, ovvero che non sia più esplicito il sapido parallelismo allegorico fra il dipinto da svelare togliendovi le incrostazioni del tempo e il processo di palingenesi che il protagonista persegue. Tuttavia, la prevalenza della banda visiva colma eventuali sconnessioni del testo, incidendo a fondo sulla percezione. Quanto agli attori, si dividono la scena con equilibrio e sobrietà, il fine essendo di comunicare uno stato collettivo di ansia e rancore prima, poi di angoscia e rabbia. A dispetto del titolo, di “Senza lasciare traccia” resterà un forte ricordo, duraturo come le ustioni cicatrizzate di Bruno.
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francesca serragnoli
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giovedì 12 maggio 2016
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trovate il tempo per vedere questo film
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Il film rimane, lascia traccia. Rimane l'inquadratura su due vite che ti passano accanto, come un treno in corsa dove la luce accesa di qualche finestrino lascia l'espressione umana che raccoglie gioia e dolore in un unico punto. E' il tempo che mi ha colpito. Il tempo breve della vita che è tutto dentro un'azione. Cerco di spiegarmi. Ho visto il tempo come qualcosa dalla parte dell'uomo. Non come un idolo da inseguire perché fugace. Lì c'era tutto il tempo di andare in fondo alla vita, senza preoccuparsi se la coppia funziona, se occorre dirsi tutto. Per questo forse non ci potrà essere il tempo. Ma per ognuno c'è invece un giorno che raccoglie tutto. C'è il luogo dove il dolore è uno solo e brucia come una sola crocifissione e la vita è appesa come corpo martoriato.
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Il film rimane, lascia traccia. Rimane l'inquadratura su due vite che ti passano accanto, come un treno in corsa dove la luce accesa di qualche finestrino lascia l'espressione umana che raccoglie gioia e dolore in un unico punto. E' il tempo che mi ha colpito. Il tempo breve della vita che è tutto dentro un'azione. Cerco di spiegarmi. Ho visto il tempo come qualcosa dalla parte dell'uomo. Non come un idolo da inseguire perché fugace. Lì c'era tutto il tempo di andare in fondo alla vita, senza preoccuparsi se la coppia funziona, se occorre dirsi tutto. Per questo forse non ci potrà essere il tempo. Ma per ognuno c'è invece un giorno che raccoglie tutto. C'è il luogo dove il dolore è uno solo e brucia come una sola crocifissione e la vita è appesa come corpo martoriato. Fra la vita e la morte ci potrebbe essere un giorno solo, un conteggio solo, radicale. A quell'uomo del film si vede che la compagnia lieve della moglie non gli salva la vita, è dolce nel viaggio. Il fuoco purificatore mi ha fatto venire in mente l'inferno di Dante (che è un viaggio terreno). Anche la vendetta è da purificare, non bisogna far finta che non ci sia. Mi è piaciuta tanto questa realtà, che altri avrebbero censurato, riducendo la coscienza a una gastrite. Il bel mistero dantesco di guardare in faccia il prisma. E la libertà del protagonista si muove attorno a qualcosa di grosso, dentro e fuori.
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giajr
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martedì 10 maggio 2016
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senza lasciare traccia, il sacro fuoco dell'arte
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Si tratta di un noire lungamente studiato, il cui montaggio finale si commenta ottimamente da sé. Gli attori danno viva prova di spessore e la giovane regia ha saputo creare la giusta alchimia.
Il film è ricco di simbologia:
- le ferite del protagonista (le ustioni della fornace, le cicatrici dell'intervento e quelle psicologiche)
- il quadro del '400, velato dal tempo, da restaurare (senza dimenticare il contenuto dell'opera, da guardare con grande attenzione)
- e in fine il fuoco della fornace...
Il sottotitolo perfetto per questo film dovrebbe essere: Senza lasciare traccia, IL SACRO FUOCO DELL'ARTE.
Certamente questo film consente allo spettatore di scegliersi il proprio epilogo: ci sarà chi vorrà un protagonista "ASSOLUTORE" e chi (come è accaduto a me) pensa subito ad un finale in cui il protagonista assume il ruolo di "CARNEFICE".
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Si tratta di un noire lungamente studiato, il cui montaggio finale si commenta ottimamente da sé. Gli attori danno viva prova di spessore e la giovane regia ha saputo creare la giusta alchimia.
Il film è ricco di simbologia:
- le ferite del protagonista (le ustioni della fornace, le cicatrici dell'intervento e quelle psicologiche)
- il quadro del '400, velato dal tempo, da restaurare (senza dimenticare il contenuto dell'opera, da guardare con grande attenzione)
- e in fine il fuoco della fornace...
Il sottotitolo perfetto per questo film dovrebbe essere: Senza lasciare traccia, IL SACRO FUOCO DELL'ARTE.
Certamente questo film consente allo spettatore di scegliersi il proprio epilogo: ci sarà chi vorrà un protagonista "ASSOLUTORE" e chi (come è accaduto a me) pensa subito ad un finale in cui il protagonista assume il ruolo di "CARNEFICE".
A questa seconda opzione si è condotti per via del copioso sangue che si vede nella scena finale (quello dentro alla doccia) ed anche per via dello stesso titolo del film: una vendetta compiuta "senza lasciare traccia".
Il film merita sicuramente di un approfondimento, sotto molteplici aspetti, a partire da come è nato (ossia da un fatto reale), fino a non dimenticare che vengono trattati temi molto attuali e altrettanto sensibili: la malattia "il male oscuro", la pedofilia e la collegata omertà (fonte di un substrato culturale e ambientale tutto da analizzare).
Dimenticavo: le musiche sono molto delicate ma significative, segnale di una scelta curata e non certamente occasionale.
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marcella natale
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domenica 8 maggio 2016
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da non perdere
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Lui ha una malattia grave, lei è una restauratrice che sta partendo per un nuovo lavoro. Scoperto il luogo dove la moglie deve andare, il marito decide di accompagnarla per fare i conti con il proprio passato.
Gioca sul non visto e sul non detto, tutto è suggerito e grande spazio è dato alla scelta dello spettatore.
La scena in macchina è un piccolo miracolo cinematografico: richiama il cinema d'autore, ricordando Truffaut e Bergman insieme. Finalmente siamo certi di non aver sbagliato sala.
Chi nel cinema italiano non vede altro che Alba Rohrwacher, aprirà finalmente gli occhi: Valentina Cervi, superba.
Cappai al suo primo lungometraggio, conferma un indubbio talento.
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Lui ha una malattia grave, lei è una restauratrice che sta partendo per un nuovo lavoro. Scoperto il luogo dove la moglie deve andare, il marito decide di accompagnarla per fare i conti con il proprio passato.
Gioca sul non visto e sul non detto, tutto è suggerito e grande spazio è dato alla scelta dello spettatore.
La scena in macchina è un piccolo miracolo cinematografico: richiama il cinema d'autore, ricordando Truffaut e Bergman insieme. Finalmente siamo certi di non aver sbagliato sala.
Chi nel cinema italiano non vede altro che Alba Rohrwacher, aprirà finalmente gli occhi: Valentina Cervi, superba.
Cappai al suo primo lungometraggio, conferma un indubbio talento.
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giajr
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giovedì 5 maggio 2016
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senza lasciare traccia, il sacro fuoco dell'arte
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Si tratta di un noir lungamente studiato, il cui montaggio finale si commenta ottimamente da sé. Gli attori danno prova di spessore e la regia giovane ha saputo creare la giusta alchimia.
Il film è ricco di simbologia:
le ferite del protagonista (le vecchie ustioni della fornace, le cicatrici dell’intervento e quelle psicologiche),
il quadro da restaurare del '400, velato dal tempo (senza dimenticare la raffigurazione dell'opera stessa: da guardare con attenzione)
ed in fine il fuoco della fornace.
Il sottotitolo perfetto per questo film dovrebbe essere: Senza lasciare traccia, il sacro FUOCO dell'ARTE.
Certamente questo film consente allo spettatore di scegliere per sé il proprio epilogo: ci sarà chi vedrà un protagonista "assolutore" e chi (come é capitato a me) pensa subito ad un Bruno (questo è il nome del protagonista) "carnefice"; forse, perché tratto in inganno dal copioso sangue nella doccia (presente nella scena finale) ed anche per via del titolo stesso di questa pellicola (una vendetta compiuta “senza lasciare traccia”).
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Si tratta di un noir lungamente studiato, il cui montaggio finale si commenta ottimamente da sé. Gli attori danno prova di spessore e la regia giovane ha saputo creare la giusta alchimia.
Il film è ricco di simbologia:
le ferite del protagonista (le vecchie ustioni della fornace, le cicatrici dell’intervento e quelle psicologiche),
il quadro da restaurare del '400, velato dal tempo (senza dimenticare la raffigurazione dell'opera stessa: da guardare con attenzione)
ed in fine il fuoco della fornace.
Il sottotitolo perfetto per questo film dovrebbe essere: Senza lasciare traccia, il sacro FUOCO dell'ARTE.
Certamente questo film consente allo spettatore di scegliere per sé il proprio epilogo: ci sarà chi vedrà un protagonista "assolutore" e chi (come é capitato a me) pensa subito ad un Bruno (questo è il nome del protagonista) "carnefice"; forse, perché tratto in inganno dal copioso sangue nella doccia (presente nella scena finale) ed anche per via del titolo stesso di questa pellicola (una vendetta compiuta “senza lasciare traccia”).
Il film meriterebbe sicuramente un approfondimento, sotto molteplici aspetti, a partire dalla sua nascita ed evoluzione, essendo scaturito da una storia vera, fino a non dimenticare che vengono trattati temi molto attuali ed altrettanto sensibili: la malattia “male oscuro” (il tumore), la pedofilia e collegata a questa l'omertà di un substrato culturale e ambientale tutto da analizzare.
Dimenticavo: la musica è discreta ma significativa e di rilievo, segnale di una scelta curata e non occasionale.
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andrea para
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giovedì 5 maggio 2016
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un'avventura nella tensione che non lascia traccia
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Allo spettatore non sono dati punti di riferimento sin dalle prime inquadrature. Si richiede uno spettatore attento, dall’occhio concentrato, dall’animo vispo. E’ come essere su un’altalena: un attimo siamo lanciati nel presente e l’attimo dopo veniamo spinti nel passato. Un flashback ombroso accompagna come un leitmotiv tutto il film. Ciò che vediamo è la storia di una coppia in cui sussiste un lieve equilibrio, non c’è amore-passione né tenerezza; traspare solo un gran desiderio di accompagnarsi per mano lungo due strade parallele e distanti. Bruno compie una sorta di viaggio d’espiazione, Elena un viaggio alla ricerca di una nuova scossa.
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Allo spettatore non sono dati punti di riferimento sin dalle prime inquadrature. Si richiede uno spettatore attento, dall’occhio concentrato, dall’animo vispo. E’ come essere su un’altalena: un attimo siamo lanciati nel presente e l’attimo dopo veniamo spinti nel passato. Un flashback ombroso accompagna come un leitmotiv tutto il film. Ciò che vediamo è la storia di una coppia in cui sussiste un lieve equilibrio, non c’è amore-passione né tenerezza; traspare solo un gran desiderio di accompagnarsi per mano lungo due strade parallele e distanti. Bruno compie una sorta di viaggio d’espiazione, Elena un viaggio alla ricerca di una nuova scossa.
Eccoci, dunque, proiettati nell’avventura, ma qualcosa di tenebroso si nasconde all’orizzonte. Due nuove figure entrano in gioco: Vera e suo padre Giulio, gestori di un maneggio e di una fornace ormai caduta in disuso.
Siamo trasportati in un luogo senza meta, lo spettatore conosce solo l’ambientazione: la campagna isolata dalla frenesia della quotidianità. Il tempo sembra rallentare e tutto, grazie anche ai campi lunghi registici, sembra dilatarsi e assottigliarsi con la linea dell’orizzonte.
I presupposti per un noir ci sono tutti, sennonché aleggia qualcosa di indefinito che non può racchiudere questo prodotto all’interno di un genere codificato. E allora cos’è? E’ appunto uno spaccato di vita dal sapore estremamente vero, come se fosse un fatto di cronaca di oggigiorno.
Come accennato in precedenza, si tratta di un viaggio di espiazione, della storia di quattro uomini che si intrecciano in un gomitolo, ciascuno inserendo un filo di colore diverso. Gli attori non impersonificano semplici maschere stereotipate, ma celano mille sfaccettature che contribuiscono ad alimentare l’aura di mistero che riveste, come un velo delicato, tutto il film.
Cosa dunque vuole trasmettere il regista? Qual è il messaggio? Forse prima di porsi queste domande, bisognerebbe chiedersi se c’è un messaggio che si vuole comunicare e, soprattutto, chiedersi quale tipo di trasmissione vuole attuare il regista. Non è tanto il cosa, ma è il come che rende questo film un qualcosa di nuovo nel panorama cinematografico italiano. Impallamenti, campi lunghi contrastati da primi/primissimi piani, inquadrature sporche, tagli di montaggio netti e violenti, asincronismo tra corpo e voce sono tutte tecniche che non appartengono al classico linguaggio filmico, bensì ad un cinema sperimentale, indipendente appunto. Un cinema alla ricerca di un modo nuovo di comunicare: non più la banale e facile empatizzazaione tra pubblico e protagonista, ma uno spettatore che non sa con chi schierarsi perché è scisso, diviso, così come sono i personaggi. Bruno è scisso tra la rabbia che prova nei confronti di un destino nefasto a causa di una malattia e la rabbia che nasce dall’odio radicato in lui da un torto(!) subito in tenera età. Elena è incapace di scegliere tra l’amore per Bruno e l’amore per il suo lavoro di restauratrice. Vera sembra riflettere l’immobilità di colei che nutre un forte attaccamento per il luogo in cui è cresciuta, ma che appare emotivamente distacca dal padre con cui convive. Giulio che pare un essere plastico che si muove con sicurezza per il maneggio, un essere rude, interessato solo ai propri interessi, ma che cela, sotto un’armatura di apparente apatia, un grande cuore.
I personaggi sembrano galleggiare nell’aria, sospesi sopra un sottilissimo filo su cui stanno in precario equilibrio. E’ un filo di tensione: nessuno sa quale sarà il prossimo step dell’altro, sa solo che dovrà essere pronto ad agire, anzi a reagire, ma con accortezza e leggiadria, pena la caduta nel vuoto. Ogni personaggio si muove in un limbo senza tempo, in una bolla pronta ad esplodere da un momento all’altro. Una bolla, che così come si è creata, svanirà… senza lasciare traccia.
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