roberteroica
|
martedì 18 aprile 2017
|
da qualche parte..
|
|
|
|
PersonalShopper è a suo modo un film d’amore. E una storia di fantasmi declinata attraverso la tecnologia. OliverAssayas è sempre stato un autore attratto dall’impalpabile, a cominciare dal finale enigmatico del suo capolavoro “L’acqua fredda” (1994) in cui Virginie Ledoyen svaniva nel nulla lasciando al suo giovane e spaesato compagno solo una pagina bianca di diario su cui scrivere la propria storia. Continuando per “qualcosa nell’aria” come venne intitolato il suo film sul dopo 68, quasi a voler catturare lo spirito dei tempi. E ora arriva nelle sale con un’opera difficile, enigmatica, senza soluzioni acquisite.
[+]
PersonalShopper è a suo modo un film d’amore. E una storia di fantasmi declinata attraverso la tecnologia. OliverAssayas è sempre stato un autore attratto dall’impalpabile, a cominciare dal finale enigmatico del suo capolavoro “L’acqua fredda” (1994) in cui Virginie Ledoyen svaniva nel nulla lasciando al suo giovane e spaesato compagno solo una pagina bianca di diario su cui scrivere la propria storia. Continuando per “qualcosa nell’aria” come venne intitolato il suo film sul dopo 68, quasi a voler catturare lo spirito dei tempi. E ora arriva nelle sale con un’opera difficile, enigmatica, senza soluzioni acquisite. Premiato con la regia a Cannes (dove venne anche fischiato sonoramente da parte della critica, ad essere onesti) Assayas prende di petto il paranormale e ci racconta la storia di due fratelli gemelli, affetti da una disfunzione cardiaca. Uno è morto e l’altro (una straordinaria Kristin Stewart) è in attesa di un segnale dall’aldilà. Nel mentre si occupa di comprare costosissimi capi di abbigliamento per una design di moda, tra Milano e Londra, passando per Parigi dove risiede. Tra case infestate, delitti (risolti ?), citazioni pittoriche e narrative dei classici, “Personal shopper” procede spedito come un treno, disseminando false piste, rallentando la suspense, giocando in controtempo con le attese dello spettatore. E in una Parigi che sembra disegnata a tinte fosche (ma raramente notturne, a parte una agghiacciante sequenza di “apparizioni”) dal miglior Polanski, la Stewart gioca di sponda coi fantasmi, con gli ectoplasmi di cui sente la mancanza in modo bruciante.
-
“E poi, quando ti darà un segno che farai ?”
-
“Penso che lo riconoscerò e poi dovrò continuare a vivere la mia vita”
Continuare, dopo, attaccandosi con tutte le forze ad un prima che non potrà tornare.
Ecco, se oggi c’è un regista capace ancora di fare un romanticismo spudorato e senza speranza, al di là degli stereotipi e delle usanze consolidate, è proprio Assayas.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a roberteroica »
[ - ] lascia un commento a roberteroica »
|
|
d'accordo? |
|
brizio
|
lunedì 1 maggio 2017
|
coinvolgente
|
|
|
|
“Ma almeno, sei in pace?”. E’ questa l’unica domanda che la Kristen Stewart, protagonista del film di Olivier Assayas “Personal Shopper”, vorrebbe rivolgere al fratello gemello morto alcuni mesi prima, e che infine riesce a fare, seppure con una modalità infantile e regressiva (“se ci sei batti un colpo”) in una delle ultime scene del film. E’ evidente che quel “sei in pace?” non è la domanda di una generica rassicurazione nei confronti del fratello ma è qualcosa di più profondo, di più intimo: è qualcosa che riguarda la stessa protagonista, la sua richiesta di uno svincolo dal fratello gemello perché lei possa trovare pace e iniziare a vivere e ad amare. Non è poi un caso che la Kristen riesca ad “entrare in contatto” e a parlare al fratello gemello morto solo quando si allontana da quella Parigi che una disfunzione cardiaca, identica in entrambi, li teneva uniti come dei fratelli siamesi, rendendoli ancora più gemelli.
[+]
“Ma almeno, sei in pace?”. E’ questa l’unica domanda che la Kristen Stewart, protagonista del film di Olivier Assayas “Personal Shopper”, vorrebbe rivolgere al fratello gemello morto alcuni mesi prima, e che infine riesce a fare, seppure con una modalità infantile e regressiva (“se ci sei batti un colpo”) in una delle ultime scene del film. E’ evidente che quel “sei in pace?” non è la domanda di una generica rassicurazione nei confronti del fratello ma è qualcosa di più profondo, di più intimo: è qualcosa che riguarda la stessa protagonista, la sua richiesta di uno svincolo dal fratello gemello perché lei possa trovare pace e iniziare a vivere e ad amare. Non è poi un caso che la Kristen riesca ad “entrare in contatto” e a parlare al fratello gemello morto solo quando si allontana da quella Parigi che una disfunzione cardiaca, identica in entrambi, li teneva uniti come dei fratelli siamesi, rendendoli ancora più gemelli. Ed ecco allora la necessità di lei di rompere questa “unione di cuori” e di partire per un’altra terra, in un altrove sconosciuto in cui potersi ritrovare ed essere trovata. Per questa ragione il film tratta del processo di creazione della propria identità seppur all’interno di uno spazio potenziale (il giocare a essere medium), spazio che si colloca tra immaginazione e realtà, tra il bisogno di rimanere gemella oltre la morte del fratello e il desiderio di diventare individuo singolo. Il partire, l’andare oltre, il superare il confine equivale a mettere una distanza che non è solo fisica ma anche mentale: è un distanziarsi dall’altro per poter riconoscere le parti di sé nascoste che ora possono essere liberate e quindi ritrovate. Questo lei chiede al fratello gemello con quel suo “sei in pace?”. Ecco allora il lavoro di “Personal Shopper” che la Kristen si sceglie: lei sostituisce, in maniera del tutto riparativa, la dipendenza dal fratello gemello morto, agita sul registro del mentale, con una analoga dipendenza, agita questa volta sul registro del reale, con una donna manager: priva o privata della sua volontà, esegue alla lettera i desideri, le indicazioni, i comandi dell’Altra. Persino il contatto con il proprio corpo è in parte compromesso e se avviene, come poi avviene in quel delicato accenno di masturbazione, può solo avvenire con addosso i vestiti di un’altra, della sua manager: come se la protagonista non potesse accedere all’intimità del suo corpo, come se non potesse possedere un “Io” riservato e privato, sganciato dal legame con l’altro. Solo quando la sua manager muore, uccisa dal suo amante che, ironia della sorte, lui sì non voleva separarsi da lei, la Kristen si ritrova nuda, ma al contempo libera e pacificata con se stessa: solo in questo stato di ritrovata grazia può, da sola, darsi la risposta che aveva affidato ad altri: “sei in pace?.... Si, sono in pace…. Ora posso incominciare”.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a brizio »
[ - ] lascia un commento a brizio »
|
|
d'accordo? |
|
brizio
|
martedì 2 maggio 2017
|
anemos ovvero soffio, presnza
|
|
|
|
“Ma almeno, sei in pace?”. E’ questa l’unica domanda che la Kristen Stewart, protagonista del film di Olivier Assayas “Personal Shopper”, vorrebbe rivolgere al fratello gemello morto alcuni mesi prima, e che infine riesce a fare, seppure con una modalità infantile e regressiva (“se ci sei batti un colpo”) in una delle ultime scene del film.
E’ evidente che quel “sei in pace?” non è la domanda di una generica rassicurazione nei confronti del fratello ma è qualcosa di più profondo, di più intimo: è qualcosa che riguarda la stessa protagonista, la sua richiesta di uno svincolo dal fratello gemello perché lei possa trovare pace e iniziare a vivere e ad amare.
Non è poi un caso che la Kristen riesca ad “entrare in contatto” e a parlare al fratello gemello morto solo quando si allontana da quella Parigi che una disfunzione cardiaca, identica in entrambi, li teneva uniti come dei fratelli siamesi, rendendoli ancora più gemelli.
[+]
“Ma almeno, sei in pace?”. E’ questa l’unica domanda che la Kristen Stewart, protagonista del film di Olivier Assayas “Personal Shopper”, vorrebbe rivolgere al fratello gemello morto alcuni mesi prima, e che infine riesce a fare, seppure con una modalità infantile e regressiva (“se ci sei batti un colpo”) in una delle ultime scene del film.
E’ evidente che quel “sei in pace?” non è la domanda di una generica rassicurazione nei confronti del fratello ma è qualcosa di più profondo, di più intimo: è qualcosa che riguarda la stessa protagonista, la sua richiesta di uno svincolo dal fratello gemello perché lei possa trovare pace e iniziare a vivere e ad amare.
Non è poi un caso che la Kristen riesca ad “entrare in contatto” e a parlare al fratello gemello morto solo quando si allontana da quella Parigi che una disfunzione cardiaca, identica in entrambi, li teneva uniti come dei fratelli siamesi, rendendoli ancora più gemelli.
Ed ecco allora la necessità di lei di rompere questa “unione di cuori” e di partire per un’altra terra, in un altrove sconosciuto in cui potersi ritrovare ed essere trovata. Per questa ragione il film tratta del processo di creazione della propria identità seppur all’interno di uno spazio potenziale (il giocare a essere medium), spazio che si colloca tra immaginazione e realtà, tra il bisogno di rimanere gemella oltre la morte del fratello e il desiderio di diventare individuo singolo.
Il partire, l’andare oltre, il superare il confine equivale a mettere una distanza che non è solo fisica ma anche mentale: è un distanziarsi dall’altro per poter riconoscere le parti di sé nascoste che ora possono essere liberate e quindi ritrovate. Questo lei chiede al fratello gemello con quel suo “sei in pace?”.
Ecco allora il lavoro di “Personal Shopper” che la Kristen si sceglie: lei sostituisce, in maniera del tutto riparativa, la dipendenza dal fratello gemello morto, agita sul registro del mentale, con una analoga dipendenza, agita questa volta sul registro del reale, con una donna manager: priva o privata della sua volontà, esegue alla lettera i desideri, le indicazioni, i comandi dell’Altra.
Persino il contatto con il proprio corpo è in parte compromesso e se avviene, come poi avviene in quel delicato accenno di masturbazione, può solo avvenire con addosso i vestiti di un’altra, della sua manager: come se la protagonista non potesse accedere all’intimità del suo corpo, come se non potesse possedere un “Io” riservato e privato, sganciato dal legame con l’altro.
Solo quando la sua manager muore, uccisa dal suo amante che, ironia della sorte, lui sì non voleva separarsi da lei, la Kristen si ritrova nuda, ma al contempo libera e pacificata con se stessa: solo in questo stato di ritrovata grazia può, da sola, darsi la risposta che aveva affidato ad altri: “sei in pace?.... Si, sono in pace…. Ora posso incominciare”.
[-]
|
|
[+] lascia un commento a brizio »
[ - ] lascia un commento a brizio »
|
|
d'accordo? |
|
|