Manchester by the Sea

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Sopravvivere Valutazione 4 stelle su cinque

di Zarar


Feedback: 13464 | altri commenti e recensioni di Zarar
venerdì 24 febbraio 2017

C’è in questo film spiazzante l’atmosfera dei racconti di Elizabeth Strout: un paesaggio (il Maine della Strout, il Massachusetts di Lonergan) dai toni chiari e freddi, un mare gelido e spazzato dal vento, un ambiente di piccola città molto americano, dove consuetudini e riti e codici di comportamento sembrano organizzati per  controllare, mediare, rimuovere qualsiasi eccesso o estremo:  gioie e dolori, esuberanza giovanile e famiglie disfunzionali, drammi e lacerazioni, malattia e morte.  Come la Strout, anche Lonergan esplora questo mondo con sguardo penetrante e ‘onesto’, senza sentimentalismi,  attraverso gente qualunque, storie quotidiane, comportamenti adeguati alle aspettative, che tuttavia in momenti chiave scoprono abissi vertiginosi, rivelando  – come direbbe Emily Dickinson,  “how red the fire rocks below, how insecure the sod…”. I due personaggi chiave sono qui Lee e Patrick Chandler, zio e nipote. Dopo la morte del fratello nella natia Manchester by the Sea, Lee scopre che costui lo ha nominato tutore di Patrick nel suo testamento. Lee, portinaio a Boston (un grande C. Affleck),  ci si presenta grigio e apatico in superficie,  ma con qualcosa di terribile che preme da dentro – non sappiamo che cosa, all’inizio -  qualcosa che esplode episodicamente in accessi improvvisi di aggressività.  Lee si sente l’ultima persona adatta ad occuparsi del nipote, eppure non può farne a meno, perché ogni alternativa gli appare impossibile o peggiore. Inizia quindi un difficile percorso, che appare irto di ostacoli per tutti e due. Perché questo adulto cupo e impacciato che non sa che fare di sé e ancora meno del nipote e il ragazzotto spavaldo con il suo sport, la sua band e le sue fidanzatine,  hanno ambedue un inferno alle spalle su cui non dicono una parola, ma che emerge dal profondo, quando meno te lo aspetti, in reazioni apparentemente inspiegabili, o  in potenti flash back che gettano una luce drammatica sui precari equilibri che i due cercano di mantenere in se stessi e tra loro. Così scopriamo che Lee ha abbandonato Manchester dopo aver causato involontariamente l’incendio della sua casa in cui sono morti i suoi tre figli, dopo esser stato maledetto e abbandonato dalla moglie e trattenuto a forza dal suicidarsi; Patrick da parte sua ha alle spalle una madre alcolizzata e a un certo punto sparita, la malattia senza speranza di un padre adorato che lo ha lasciato ora completamente solo, un tentativo fallito di recuperare i rapporti con  la madre .  Ferite troppo profonde perché un qualsiasi risarcimento sia possibile, e il regista non fa l’errore di offrire facili soluzioni.  Patrick resisterà agli incerti progetti di Lee su di lui: non vorrà seguirlo a Boston, non vorrà continuare a studiare,  vedrà il suo futuro nella barca da pesca del padre, la barca dei giorni felici,  per salpare verso il mare aperto, lasciandosi alle spalle la morsa del dolore e dei ricordi… Per Lee non è ragionevole né economico, ma lentamente, dal fondo delle ceneri del suo cuore, troverà delle ragioni per cedere e per accettare, riconoscendo in Patrick una capacità di elaborare il lutto (simbolico il momento in cui finalmente il figlio riuscirà a seppellire il padre in terra, dopo il gelido inverno), una vitalità  che lui non ha più e che potrà aiutarlo meglio di lui. Le loro strade si divideranno, almeno per il momento,  e   poi, più in là,  chissà.  Film emozionante senza far mai appello alle emozioni. Grande regia, ottima recitazione, qualche lentezza. 

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