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La stella di Algeri, fra Islam e Occidente

Allo spazio Oberdan di Milano, nel contesto del Festival del cinema africano, è stato presentato il film di Rachid Benhadj.
di Pino Farinotti

mercoledì 29 marzo 2017 - News

Allo spazio Oberdan di Milano, nel contesto del Festival del cinema africano, è stato presentato La stella di Algeri, diretto da Rachid Benhadj, tratto dal romanzo di Aziz Chaouki che nel 2005 ha ottenuto il premio Flaiano. Il nuovo film del regista algerino è fedele al suo riconoscibile percorso artistico e culturale. Benhadj (1949) ha una storia particolare, è nato in Algeri ma, giovanissimo si è trasferito a Parigi, dove non ha perso tempo. Un dato: nel 1973 si è laureato in architettura alla "Scuola nazionale superiore delle arti figurative". Ho incontrato Benhadj e ho avuto modo di conoscere dal vivo la sua personalità. La sua formazione è dunque europea, prima Parigi e poi Roma, dove insegna alla Scuola di cinema di Cinecittà. Parla un italiano perfetto e conosce le lingue più importanti.

Benhadi è un artista tout court, conosce le arti figurative, dipinge. E frequenta con passione la letteratura, come emerge dai suoi film, tratti spesso da opere letterarie.
Pino Farinotti

Questo bagaglio così completo e assunto così direttamente gli consente una prospettiva alta e opportuna di lettura dei fatti umani, politici e mistici, e ideologici. Essendo algerino, la piattaforma, l'abbrivio, non possono che essere quello, ma la visione generale è quella, compiuta, detta sopra. Gli sta a cuore la vicenda umana, i diritti, la sofferenza, la sopraffazione, in tutti gli scenari. Soprattutto gli sta a cuore il confronto fra culture.
Benhadj è autore con una storia importante. Presente spesso nei festival che contano. Due titoli vanno fatti: Mirka (2000), un film discusso e premiato, riconosciuto dall'Unesco come modello contro le atrocità della guerra. Lo scenario sono i Balcani. È la storia di un ragazzo, nato da uno stupro, che cerca di ritrovare sua madre. Nomi importanti in gioco, come Vanessa Redgrave e Franco Nero, e poi Depardieu, e Storaro alla fotografia. Il pane nudo (2005): ancora una vicenda di formazione, violenta, e di identità di un giovane. Tratto dal romanzo di Mohamed Chukri, che fu al centro di una vasta dialettica, anche perché censurato in molti paesi arabi. Si racconta la vicenda dell'adolescente Mohamed, che cresce in un ambiente infernale. In prigione fa la conoscenza che gli cambierà la vita. Ha modo di imparare a leggere e scrivere, dunque gli si aprono prospettive che prima ignorava del tutto. Un segnale di evoluzione, e di presa di coscienza di altre realtà rispetto a quelle in cui era cresciuto sta in una sua battuta. "Non posso bere vino, è peccato. Tutte le cose buone sono peccato".


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